ROMA - Il grande dubbio è sciolto, la paura di radicali
e referendariè finita: i membri dell'Ufficio centrale per il referendum
della Cassazione hanno accolto le tesi dei comitati: il quesito sugli incarichi
extragiudiziali dei magistrati e quello sull'abolizione della quota
proporzionale, votati nel 1997 e nel 1998 senza che fosse raggiunto
il quorum, possono essere sottoposti nuovamente al giudizio degli elettori.
Dunque niente rinvio alla Corte costituzionale, niente bocciatura sulla
base dei lavori preparatori della legge istitutiva dei referendum. E insieme
alla riproponibilità dei due quesiti l' Ufficio ha dato il
via libera definitivo, anche per gli altri 21 referendum. Hanno raggiunto
tutti il numero di firme richieste e adesso passano al vaglio della Corte
Costituzionale.
Di ufficiale non c'è nulla. Tutto è rimandato a
giovedì, forse, quando potrebbe essere depositata l'ordinanza.
Ma i pochi indizi disponibili portano in una sola direzione: il giudizio
è a favore della
riproponibilità. Ma questo non basta ai radicali, impegnati
a vigilare fino all' ultimo secondo sulla sorte dei referendum. A Marco
Pannella ed Emma Bonino, la scelta dei magistrati di rinviare il deposito
dell'ordinanza nonè piaciuta per niente. Anzi, la giudicano sospetta.
"Questo silenzio ci preoccupa e ci inquieta - scrive il comitato radicale
- non vorremmo che le decisioni non siano in realtà state assunte
e che il tempo della stesura dell'ordinanza divenga il tempo per ripensamenti
e aggiustamenti dell'ultimo minuto".
Preoccupazioni che sono alimentate anche dalla presenza nell'Ufficio
centrale per il referendum di due ex dc: uno e Carlo Casini, il leader
del Movimento per la Vita; l'altro è Giovanni Coco, ex deputato
dc e fonte, secondo Sergio Stanzani, delle indiscrezioni su una presunta
volontà dell'Ufficio di dichiarare non riproponibili i due quesiti.
La presenza dei due, scrivono i radicali, "è cosa che rende quanto
meno lecito chiedersi quali siano le condizioni di terzietà, oltre
che di imparzialità e serenità di giudizio che questa Corte
sia in grado di assicurare al paese". Insomma. fino a quando
non vedono nero su bianco l'ordinanza, i radicali restano scettici
sulle decisione dell'Ufficio.
La decisione della Cassazione però ha il potere di rimettere
in moto un confronto sulla legge elettorale che languiva da tempo. Poco
dopo che i magistrati avevano concluso la loro riunione arriva uno scarno
comunicato dei Democratici che danno come scontato il sì al referendum
elettorale e chiedono subito un vertice dei capigruppo della maggioranza
sulla legge elettorale. L'Asinello, in pratica, mette le mani avanti e
chiede che sia il Parlamento a decidere su una legge più maggioritaria
e bipolare di quella che uscirebbe dal referendum. "Ovviamente questo farebbe
sparire la proporzionale e rilancerebbe alla grande l'Ulivo, costringendo
i partiti del centrosinistra a stringere patti più forti e a presentare
un simbolo unico alle
politiche.
Più o meno nelle stesse ore anche Walter Veltroni rilanciava
la sua ultima proposta di legge elettorale a turno unico e diceva: "Lo
considero un progetto che esprime un buon punto di equilibrio fra scelta
referendaria e l'esigenza indispensabile di assicurare la governabilità.
Io spero che questo progetto possa
passare in Parlamento. Ma se così non sarà, noi sosterremo
il referendum perché svolgerà un ruolo di leva fondamentale
e determinante per modernizzare il nostro paese".
L'ipotesi che il Parlamento metta mano alla legge elettorale e impedisca la tenuta del referendum non piace per niente, invece, a Gianfranco Fini che considera il risultatato referendario, che è autoapplicativo, più che sufficiente. Il leader di An risponde a Massimo D'Alema, che ha nuovamente ripetuto che il referendum può essere uno stimolo al Parlamento e alle forze politiche sulla via di una nuova legge elettorale: "Il referendum elettorale è soltanto uno stimolo? Molto di più, soprattutto se verrà approvato, dal momento che determinerà una nuova legge elettorale", dice Fini. Molto più violenta la riposta al presidente del Consiglio di Pannella: le sue parole, dice il leader radicale sono "un attacco inaudito alla Costituzione e ai diritti del popolo italiano".
Primo abbozzo di uno scontro che si consumerà nei prossimi mesi.
Il giudizio di ammissibilità della Consulta sul quesito elettorale,
infatti, sembra scontato a favore del sì Il testo è uguale
a quello ammesso l'anno scorso e per un no si dovrebbe ipotizzare un clamoroso
cambio di linea della Corte. Questo significa che c'è tempo, molto
tempo, per riavviare la discussione sulla legge elettorale. Visto che i
referendum si debbono svolgere tra il 15 aprile e il 15 giugno, si potrebbe
discutere e votare una nuova legge in Parlamento fino ai primi giorni di
giugno.
il manifesto - 8/12/1999
A. Co.
La corte di cassazione ha approvato il referendum sulla legge elettorale. Ufficialmente la decisione raggiunta ieri non è ancora nota, le motivazioni saranno depositate solo lunedì prossimo. Ma le indiscrezioni danno per certo il via libera al referendum elettorale così come agli altri 22. In realtà, l'ostacolo riguardava solo il primo e più importante tra i referendum. Negli altri casi, infatti, si trattava solo di esaminare l'effettivo raggiungimento delle numero di firme necessario alla presentazione e la loro validità. Ma per il quesito elettorale si presentava un problema in più, se cioè fosse possibile ripresentarlo dopo il mancato raggiungimento del quorum nella consultazione della scorsa primavera. La corte, come previsto, ha detto di sì, permettendo così al referendum di passare la prima prova, anche se l'esame più arduo resta la sentenza della corte costituzionale, a gennaio.
Già ora, tuttavia, il referendum agita le tempestose acque della maggioranza. Ieri mattina, poco prima che la cassazione prendesse la sua decisione, D'Alema si è schierato dai microfoni di Radio anch'io a favore dell'accoglienza del quesito, definendolo "un utile stimolo per le forze politiche". Parole che non sono piaciute a nessuno, né ai referendari né ai nemici del referendum e del maggioritario secco. Sono stati questi ultimi, in concreto i socialisti, a scaldarsi di più. Non per la prima volta, Boselli ha accusato D'Alema di travalicare i confini del suo ruolo istituzionale e di scendere indebitamente in campo senza tener conto delle diverse posizioni interne alla maggioranza che sostiene il suo governo. "D'Alema - ha detto minaccioso Boselli - si esprime come un capo fazione e così mette ai margini chi la pensa in modo diverso".
Così, nella già folta lista dei temi che si ritroveranno sul tavolo della verifica di gennaio, irrompono anche la legge elettorale e il referendum. Temi destinati a rendere ancor meno facile il rapporto dei socialisti, individuati a torto o a ragione dai diessini come l'anello debole del Trifoglio, con gli ulivisti della maggioranza. Al momento, per la verità, lo Sdi non accenna a retromarce. Dopo Cossiga, anche Boselli ha infatti bocciato ieri la proposta di Veltroni di "azzerare le pregiudiziali". "I Ds - ha detto - sono specialisti nello sciogliersi senza cambiare niente. Per questo diciamo di no al contenitore unico".
Ma l'uscita di D'Alema ha mandato su tutte le furie anche l'esercito opposto, i sostenitori del referendum. A nessuno è sfuggito l'uso del termine "stimolo". D'Alema, del resto notoriamente poco simpatizzante con l'istituzione referendaria, dichiara così di voler usare la minaccia delle urne, e forse persino un eventuale risultato, come pungolo per arrivare a un accordo in parlamento. Veltroni, da parte sua, ondeggia sulla fune cercando di tenersi in equilibrio: "Pur avendo fatto una proposta di legge uninominale in cui credo, sono convinto che se vince il referendum sarà una grande leva per il parlamento".
Ma la rassicurazione del segretario diessino non ha raggiunto l'obiettivo. Pannella parla senza mezzi termini di "attacco di D'Alema". Fini, capofila dei referendari nel Polo, ricorda che "il referendum è una riforma, non uno stimolo". Molto più morbida la posizione dei Democratici, a ulteriore riprova della distanza che separa ormai la leadership di Parisi dal pasdaran e primo promotore del referendum Di Pietro. L'asinello fa sapere che "ritiene che il referendum non sollevi parlamento e forze politiche dall'obbligo di una iniziativa tempestiva e coerente". Dunque chiede la convocazione di un vertice dei capigruppo di maggioranza per affrontare la questione.