ROMA - Tutto come previsto. L' Ufficio centrale
per il referendum della Cassazione ha dato il via libera ai 23 quesiti
referendari depositati e, soprattutto, ha deciso che sono riproponibili
quello sulla legge elettorale e gli incarichi extragiudiziali dei magistrati.
Tutto come previsto, anche nella motivazione che ha spinto i magistrati
a ritenere che si possa votare prima che siano trascorsi cinque anni su
referendum su cui non si è raggiunto il quorum.
Il 18 aprile del 1999, dicono insomma i giudici, gli
elettori non hanno prodotto "alcuna espressione di voto", non hanno detto
né no né sì alla proposta di cancellare dal nostro
ordinamento giuridico quella parte della legge elettorale che prevede una
ripartizione proporzionale della quota del 25 per cento. In quella occasione,
ragionano i giudici, "si è verificata una situazione in cui il corpo
elettorale non ha potuto validamente esprimersi con efficace manifestazione
del proprio consenso o dissenso sulle richieste di abrogazione della legge".
Nell'articolo 36 della legge sul referendum, continua
la Corte, sono previsti solo i casi di voti favorevoli e di voti contrari
e i loro effetti: cancellazione delle norme sottoposte a referendum o loro
permanenza. In questo caso scatta il divieto di sottoporre un nuovo quesito
sull'argomento prima dei cinque anni. Perché, dicono i giudici,
un no alla richiesta di cancellare una norma significa che quella disposizione
ha una certa resistenza e tornare a votare potrebbe mettere a "disagio"
elettori che hanno appena manifestato la loro volontà. Il limite
dei cinque anni, in pratica, serve a verificare un "presumibile cambiamento
della volontà popolare solo dopo un lungo periodo".
Ma del caso di mancanza del quorum non si parla perché
è un "non evento", qualcosa che non produce effetti giuridici. E
per spiegare questo la Cassazione prende come esempio i regolamenti parlamentari.
Quando la Camera boccia una proposta di legge, dicono i giudici, scatta
immediatamente il divieto di ripresentare quella proposta. Devono passare
sei mesi prima che un deputato possa ripresentare un progetto simile.
Diverso è il caso in cui, durante le votazioni,
manchi il numero legale, cioè sia assente in aula la metà
più uno dei deputati. Il presidente, di fronte ai banchi vuoti,
si limita a sospendere la seduta e riconvoca la Camera. E generalmente
la pausa dura solo un'ora. Salvo, usando la formula di rito "apprezzate
le circostanze", decida un rinvio più lungo.
Ecco, dicono i giudici della Cassazione: il 18 aprile
'99, e nel 1997 - quandò mancò il quorum sugli incarichi
extragiudiziali dei magistrati - è solo mancato il numero legale.
Dunque si può tornare a votare prima dei cinque anni previsti in
caso di bocciatura dei quesiti.
Sciolto questo dubbio, i magistrati hanno solo constatato
che i 23 referendum avevano raggiunto tutti il numero delle 500 mila firme
richieste e hanno trasmesso l'incartamento alla Corte costituzionale. Non
prima di avere adempiuto però a due altri passi formali. Il primo
è quello di stabilire i titoli dei quesiti che gli elettori troveranno
sulle schede al momento del voto. Il secondo passaggio è stato di
unificare due quesiti proposti da radicali ed Elefantino: quello sulla
legge elettorale e quello sul finanziamento pubblico ai partiti. Dunque
i referendum su cui la Consulta si dovrà pronunciare non saranno
23, ma 21. I giudici costituzionali hanno adesso tempo fino al 10 febbraio
del 2000 per decidere cosa è ammissibile e cosa no.