Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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Il Corriere della Sera - 16/12/1999

di Giovanni Sartori

Dall'alternanza Dc alla giungla bipolare
PICCOLI BRIGANTI IN UN ACQUITRINO

Al cospetto della ennesima crisi dei promessi (da marinaio) governi di legislatura, D'Alema e molti commentatori gridano «basta con la vecchia politica». Quel «basta» è sacrosanto, ed è anche il grido di dolore e di disgusto che emerge dal Paese. Ma qual è la «vecchia politica» alla quale non dobbiamo tornare e che deve finire? D'Alema lascia intendere che è la politica dell'era democristiana, e anche molti commentatori riferiscono la vecchia politica da ripudiare alla cosiddetta Prima Repubblica. Ma qui si fa confusione.

Certo, anche la vecchia politica dell'era democristiana era orrendina; e nei decenni del dominio Dc io ne ho detto peste e corna. Oggi sono costretto ad ammettere di aver esagerato. Perché la politica che prende l'avvio con il Mattarellum, le elezioni del 1994 e il promesso (da marinaio) bipolarismo, non è migliore di quella di prima. È sì «meno vecchia»; ma direi senza troppa tema di smentite che la politica degli ultimi sei anni (o quasi) è ancora peggiore, ancora più insulsa e inaccettabile della politica che muore con l'ultimo governo Andreotti.

D'Alema descrive il «ritorno al passato» che lui rifiuta come un «ritorno a un gioco irresponsabile di veti, ricatti, pregiudiziali». Ma D'Alema è sicuro dei tempi? A me sembra che attribuisca al passato il suo presente, ai veti e ai ricatti che stanno oggi pitoneggiando il suo governo.

Diciamo la triste verità: al paragone dei briganti che imperversano oggi, i Dc del passato erano quasi dei gentiluomini. Si facevano sì le scarpe tra di loro; ma con regole che rispettavano, come si fa tra uomini e donne (se teniamo conto di Rosa Russo Jervolino) d'onore. Il manuale Cencelli, e cioè il manuale che distribuiva i posti alle varie correnti del partito, e con esso il tacito accordo che ha governato il potere democristiano, era che quel potere doveva essere spartito in rotazione. Per i loro presidenti del Consiglio il principio era, grosso modo, «un anno a me, un anno a te»; con l'intesa che poi i capintesta tornavano a governare (e difatti abbiamo avuto sette governi Andreotti, sei governi Fanfani e Rumor, cinque governi Moro). Per i ministri e sottosegretari il principio era che i governi dovevano cadere spesso perché così si creavano poltrone per tutti. Pertanto i governi apparentemente instabili della Prima Repubblica non ne erano la cancrena; erano, piuttosto, il lubrificante della pax democristiana. Insomma, i Dc hanno religiosamente praticato tra di loro l'alternanza, uscendo e rientrando nella casa del potere con la flemma di un gentiluomo inglese. La rabbia manifesta con la quale Berlusconi e Prodi hanno lasciato Palazzo Chigi, i Dc non l'hanno mai manifestata.

Aggiungo che nell'età della proporzionale i «ricatti» evidenziati da D'Alema pesavano poco. In proporzionale un partito che ha soltanto il 2 per cento ha soltanto il 2 per cento; ma in un sistema maggioritario anche chi ha un 2 per cento può pesare cinquanta volte tanto, e cioè decidere se un governo cade o se una maggioranza vince o perde. Il potere smodato di ricatto del quale D'Alema giustamente si lamenta è frutto e figlio del Mattarellum, e sarà ancor più decisivo se passeremo al maggioritario puro a un turno che stranamente piace non solo a Pannella (da sempre e costitutivamente fautore di insensatezze), ma anche ai più sensati (fino ad oggi) Fini e Veltroni.

Come ne usciamo? Dalla crisi del governo vedremo a giorni. Ma dalla crisi del sistema bipolare possiamo uscire solo riconoscendo che finora è soltanto una giungla nella quale tutti si scannano e basta. Il governo D'Alema è malato perché la politica italiana è sempre più malata. D'Alema dichiara che «lo scopo della politica non è di durare nel potere». Ma il nostro bravo Presidente della Repubblica si è fissato sulla stabilità; e stabilità è, appunto, durare nel potere.

Ci siamo cacciati in un girotondo dal quale così non usciamo.



 
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