Gli argomenti usati da Luigi Ferrajoli (Manifesto del 9-1-2000), per
dimostrare l’incostituzionalità di gran parte dei quesiti abrogativi
presentati dai radicali, sono certamente condivisibili e fondati.
Non risolvono, però, il problema di fondo: che fare di fronte
alla prevedibile accettazione di molti di questi quesiti, da parte della
Consulta, nonostante l’evidente incostituzionalità?
Molte delle obiezioni di Ferrajoli, come si ricorderà, furono
sollevate in occasione dell’esame dei referendum elettorale del ’93 e del
’99: anch’essi lesivi di diritti fondamentali delle minoranze, manipolativi,
e persino in grado di sconvolgere equilibri istituzionali chiaramente funzionanti,
secondo gli schemi di garanzie previsti, soltanto in un regime elettorale
di tipo proporzionale.
Oggi ci si ritrova, quindi, ad avanzare questioni analoghe, dopo aver
subito silenziosamente che si consumassero palesi violazioni di altre garanzie
costituzionali.
Perché silenziosamente?
Perché mai è stata avviata una riflessione ed una battaglia
politica intesa a fare chiarezza, ma, soprattutto, per mettere in discussione
un sistema di tutela costituzionale inefficiente e inefficace.
In primo luogo l’informazione
C’è un forte deficit di conoscenza relativamente a questioni
complesse come quelle affrontate da Ferrajoli. Ma più che la complessità
delle questioni, quello che più contribuisce a confondere il senso
comune delle persone è la presunta incongruenza tra l’enormità
delle critiche rivolte a determinati processi di riforma, lesivi di diritti
costituzionalmente garantiti, e la totale assenza di iniziative legali
tese a contrastarli.
“Perché, si chiede il sig. Rossi, non date seguito,
legalmente, alle questioni di costituzionalità che sollevate?”
Ma chi lo spiega al sig. Rossi che è praticamente impossibile,
per il cittadino o anche per forze politiche meglio organizzate, sollevare
questioni di costituzionalità per le leggi cosiddette “autoapplicative”
(in quanto non richiedono, per il raggiungimento dei propri fini, un'applicazione
giudiziaria – “La giustizia costituzionale”, Zagrebelsky)?
Come si fa a sollevare la questione incidentale nel corso di un giudizio,
se per alcune leggi non c’è modo alcuno di finire davanti a un giudice?
E chi lo spiega al sig. Rossi che l’esame per l’ammissione
dei quesiti referendari non investe anche problemi di presunta incostituzionalità
della legge di risulta, come ribadito dalla Consulta stessa nella sentenza
N° 26 del 1987?
- … quanto all’eventualità che a seguito del risultato del
referendum non accompagnato da un immediato intervento del legislatore
si dia luogo a situazioni normative non conformi alla Costituzione, va
ancora una volta ribadito che in questa sede “non viene di per sé
in rilievo l’eventuale effetto abrogativo del referendum”. La prospettata
illegittimità costituzionale di una sua possibile conseguenza “non
può essere presa in considerazione e vagliata al fine di pervenire
a una pronuncia di inammissibilità del quesito referendario”, tanto
più che la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo,
se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimità costituzionale,
nelle forme, alle condizioni e nei limiti previsti (sentenza N°
26 1987).
Come si vede, un serpente che si morde la coda, viste “le
forme, le condizioni e limiti previsti” che di fatto escludono un possibile
ricorso per tutelare dei diritti a seguito della presunta incostituzionalità
di una legge, come quella elettorale, che non ha le caratteristiche per
finire davanti ad un giudice.
Unica eccezione di fatto operata dalla Corte Costituzionale,
per le leggi elettorali, è stata quella di entrare nel merito al
fine di garantire la rielezione degli organi costituzionali:
“Un organo elettivo, previsto dalla Costituzione, non può
essere neppure temporaneamente privato delle norme elettorali che ne rendono
costantemente possibile l'operatività” (sentenza N° 29 1987).
“I referendum abrogativi delle leggi elettorali degli organi costituzionali
non devono paralizzare i meccanismi di rinnovazione, che sono strumento
essenziale della loro necessaria e costante operatività” (sentenza
N° 26 1997).
Iniziativa politica
La gravità delle questioni e l’impossibilità, di fatto,
di ricevere adeguata tutela, impongono scelte politiche conseguenti.
Se i processi di riforma avvengono in dispregio delle garanzie costituzionali,
può essere sufficiente la semplice presa di posizione contraria?
Come spiegare, ancora una volta, la “gentilezza” della risposta?
Si può, di fronte ad un simile “strappo” di democrazia, accettare
di scendere sullo stesso piano, partecipando ai processi che concretamente
permettono lo strappo?
Evidentemente no.
Se si fa un certo tipo di denuncia, la risposta politica deve essere
coerente sino in fondo. La partecipazione a questi referendum va rifiutata
in blocco, perché lesivi di diritti fondamentali nella totale assenza
di Istituti in grado d’impedire forme di totalitarismo della maggioranza.
L’unico impedimento reale oggi opponibile è l’astensione, in
quanto meccanismo di delegittimazione che parte dal basso in assenza di
un controllo credibile di “legalità.
Altresì, non va abbandonata del tutto la strada del ricorso al
“buon senso”.
Se la Corte Costituzionale ha negli anni in qualche modo esteso la
sua competenza nel giudicare l’ammissibilità dei quesiti abrogativi,
perché non insistere affinché questo controllo si estenda
nel merito, in riferimento alla legittimità costituzionale, per
quelle leggi che, come si è visto, non è poi concretamente
possibile dar luogo ad un successivo controllo da parte della Consulta?
In tal senso, appare gravissima la posizione assunta dal Governo D’Alema
di non opporsi innanzi alla Corte.
Una “posizione di garanzia” è stata definita la scelta
del Governo. Ma di quale garanzia si parla?
Se posizione di garanzia voleva esserci, allora scopo principale del
Governo era quello di dare voce, attraverso un suo intervento diretto,
anche ai soggetti che di fatto sono impossibilitati ad averne al fine di
poter sollevare questioni di incostituzionalità, prima, durante
e dopo lo svolgimento dei referendum.
Altresì, compito del Governo era anche quello di verificare
la correttezza della sentenza della Cassazione che ha permesso la ripresentazione
del medesimo quesito elettorale, non approvato nell’aprile scorso, prima
della scadenza dei 5 anni prevista dalla legge.
L’invito è quindi quello di esercitare il massimo di pressione
sul Governo e sugli altri Poteri dello Stato affinché venga realmente
assunto un ruolo di garanzia nel rispetto dei diritti di tutti.
Franco Ragusa – Riforme istituzionali: http://www.malcolmx.it/riforme