Grande è il disordine
sotto il cielo. E questa volta la cosa non presenta alcun aspetto
positivo. Mentre Rifondazione comunista, i Cobas e molti comitati propagandano
l'astensione, i sindacati nazionali, la sinistra sindacale, le RSU e altri
raccomandano di recarsi alle urne per pronunciare il proprio "NO" ai quesiti
antisociali. Non vi è dubbio che i fautori del "NO", con l'unica
eccezione di chi espone i lavoratori ad una sonora sconfitta pur di non
contraddire l'indicazione in favore del maggioritario secco, siano mossi
da nobili intenti. Ma poiché non riusciranno a convincere buona
parte di coloro che intendono difendere i diritti duramente conquistati
dal movimento sindacale astenendosi dal voto, cosa che non faranno i fautori
del "SI", il rischio, e si tratta di un rischio assai grave, è quello
di attribuire il quorum a un referendum nel quale i "SI" prevarranno inevitabilmente
sui "NO".
E' sorprendente che il sindacato sembri, in quest'occasione, mancare
totalmente di quel "realismo" del quale ha dato tante prove quando
meglio avrebbe fatto a organizzare la resistenza dei lavoratori. Realistico,
infatti, non è certamente il proposito di seppellire il referendum
sotto una "valanga di NO", come se la propensione all'astensionismo potesse
essere battuta con una tardiva e, tutto sommato, debole campagna, e neppure
è realistico pensare che il futuro governo di destra si ritenga
vincolato dall'esito della consultazione. Il dilemma si fa a questo punto
angoscioso, perché, anche se, nonostante l'apporto dei fautori del
NO, il quorum non venisse raggiunto, una maggioranza di "SI" priverà
il movimento sindacale della possibilità di opporsi a un governo
che volesse imporre per legge l'abolizione di qualsiasi tutela contro i
licenziamenti arbitrari, mentre, qualora diversa fosse stata la posizione
assunta dai sindacati, il mancato raggiungimento del quorum, pur prestandosi
a pretestuose interpretazioni, avrebbe lasciato intatta la possibilità
di opporsi a un simile tentativo.
Stando le cose come stanno,
volentieri accantoneremmo la questione di principio (l'opportunità
di contrastare la svalutazione di un importante istituto rifiutando qualsiasi
risposta alla petulante insistenza dei radicali) e accoglieremmo le indicazioni
dei sindacati, ferma restando la necessità di impedire l'abolizione
della quota proporzionale, per sottrarli alla sconfitta che si stanno preparando.
Ma se non è illogico pensare che il risultato del referendum, anche
nella migliore delle ipotesi, non costituirebbe una barriera insormontabile
contro i progetti della destra e che la migliore delle ipotesi è
molto meno probabile della peggiore, pare necessario dedurne che,
in ogni caso, non vale la pena di correre il rischio più grave:
quello di regalare il quorum ai fautori del "SI".
Questi sono gli ultimi giorni
in cui ci si offre l'occasione di chiarire il significato dell'astensione
- che non è qualunquistica indifferenza ma netto e sdegnato rifiuto
delle proposte radicali - in maniera da non delegittimare la lotta che
i lavoratori saranno costretti a condurre, con o senza i sindacati,
contro la progressiva erosione di ogni loro diritto, della quale proprio
i sindacati avranno avuto la pesantissima responsabilità. Nonostante
tutto, quindi, è più che mai necessario dichiarare ad alta
voce la nostra scelta, che è l'unica a non essere preventivamente
perdente e non deve lasciare alcuno spazio a strumentali interpretazioni.
Lo staff di "Controcorrente"