Dell'aggettivo "virtuale",
spesso impiegato a sproposito, il Devoto-Oli dà una definizione
precisa: "Ciò che è in potenza, e non in atto". Se è
così, dobbiamo dire che le democrazie occidentali sono, o sono diventate,
delle democrazie virtuali. Che cosa sia la democrazia ce lo ha spiegato,
verso la metà del Settecento, Jean-Jacques Rousseau: essere soggetti
soltanto alle norme che ci si è dati. O, meglio, che la maggioranza
si è data. E qui nasce la prima delle molte difficoltà che
fanno della democrazia un ideale al quale tanto più ci si accosta
quanto più intenso e instancabile è lo sforzo che si compie
per realizzarlo, pur sapendo, o piuttosto proprio perché si sa,
che non lo si realizzerà mai pienamente. Ma la definizione di Rousseau
resta il criterio di giudizio o, se si vuole, il metro con cui misurare
la "democraticità" di uno stato. Ammettiamo (è un'ipotesi
di lavoro necessaria) che gli eletti rappresentino davvero gli elettori
e domandiamoci chi compie le scelte più importanti, quelle che maggiormente
incidono sulla nostra vita. Sono le assemblee dette "rappresentative"?
La risposta è un secco no: è una serie di organismi sovranazionali,
sui quali molto influiscono le imprese e per nulla i cittadini, il WTO,
la Banca Mondiale, l'OCSE, il G8 e così via. Tali organismi mantengono
stretti rapporti con una serie di altri organismi che debbono considerarsi
a tutti gli effetti enti privati e, restando nell'ombra, promuovono gli
interessi delle multinazionali. Infine, dopo aver appreso ciò che
vogliono "quelli che contano", gli danno esecuzione, riunendosi con la
massima discrezione possibile dove ritengono più opportuno, e, protetti
da una polizia il cui nervosismo aumenta in proporzione al diffondersi
della consapevolezza di quest'enorme espropriazione, prendono provvedimenti
che hanno valore cogente per i singoli stati sebbene restino per lo più
sconosciuti ai loro cittadini. La situazione non è mutata dalle
strumentali offerte di dialogo che sempre più spesso vengono rivolte
ai contestatori, perché non si tratta di esprimere in quelle sedi
opinioni e critiche di cui, con ogni probabilità, non si terrà
alcun conto, ma di procedre ad una riforma radicale che assicuri
la trasparenza e la democraticità dei processi decisionali. Lo stesso
discorso vale, purtroppo, per la Commissione europea, che è arrivata
fino al punto di stilare due versioni dell medesimo rapporto, una per gli
addetti ai lavori e una, per il volgo, nella quale sono state soppresse
le frasi che potevano allarmare la "gente comune".
Ci resta almeno il controllo
della politica estera? Assolutamente, no. Alla Serbia è stata mossa
guerra senza consultare il parlamento, con la scusa che si trattava di
un'operazione di polizia internazionale. Dell'adesione dell'Italia al "nuovo
concetto strategico", che prevede l'intervento della Nato in qualsiasi
parte del mondo dove ritenga minacciati gli interessi occidentali, il parlamento
è stato sommariamente informato a cose fatte. E ora, senza che vi
sia stato alcun dibattito e che il popolo sovrano ne abbia preso
adeguata conoscenza, è stata approvata a larghissima maggioranza
una riforma dell'esercito che tradisce il concetto costituzionalmente legittimo
di difesa.
Quando ci raccontano che
le istituzioni che decidono il nostro futuro sono l'analogon internazionale
dei parlamenti nazionali, o piuttosto di ciò che questi dovrebbero
essere, ci mentono spudoratamente. Nella migliore delle ipotesi, dovremmo
dire che l'esecutivo ha usurpato le funzioni dell'organo legislativo. Ma,
come sempre, la menzogna lascia trasparire una parte della verità.
Poiché, sempre più, esecutivo e legislativo sono egualmente
condizionati dall'unico potere reale, quello del capitale e del mercato,
del quale è espressione la stessa amministrazione della superpotenza
ai cui voleri ci siamo di recente piegati due volte: firmando un avventuristico
trattato militare e lasciandoci coinvolgere in un conflitto, ipocritamente
definito "umanitario", conclusosi con la trasformazione dei perseguitati
in persecutori.
La costituzione italiana
aveva gettato le basi di un'organizzazione democratica della Repubblica.
Possiamo domandarci se ciò sia mai accaduto davvero.
P. P. Pasolini non aveva esitato a rispondere di no. Se, invece, per qualche
tempo così è stato, ci troviamo (con buona pace di
Aristotele) di fronte a un miracoloso passaggio retrogrado dall'atto
alla potenza. Ma c'è chi pensa che per il nostro paese anche questa
democrazia virtuale sia ormai di troppo e sogna un cancelliere di
ferro che abbia modo di mostrare tutte le sue provvidenziali qualità.