Riforme Istituzionali
Interventi
 
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19/06/2000
Giorgio Cadoni
 
Democrazia virtuale

        Dell'aggettivo "virtuale", spesso impiegato a sproposito, il Devoto-Oli dà una definizione precisa: "Ciò che è in potenza, e non in atto". Se è così, dobbiamo dire che le democrazie occidentali sono, o sono diventate, delle democrazie virtuali. Che cosa sia la democrazia ce lo ha spiegato, verso la metà del Settecento, Jean-Jacques Rousseau: essere soggetti soltanto alle norme che ci si è dati. O, meglio, che  la maggioranza si è data. E qui nasce la prima delle molte difficoltà che fanno della democrazia un ideale al quale tanto più ci si accosta quanto più intenso e instancabile è lo sforzo che si compie per realizzarlo, pur sapendo, o piuttosto proprio perché si sa, che non lo si realizzerà mai pienamente. Ma la definizione di Rousseau resta il criterio di giudizio o, se si vuole, il metro con cui misurare la "democraticità" di uno stato. Ammettiamo (è un'ipotesi di lavoro necessaria) che gli eletti rappresentino davvero gli elettori e domandiamoci chi compie le scelte più importanti, quelle che maggiormente incidono sulla nostra vita. Sono le assemblee dette "rappresentative"? La risposta è un secco no: è una serie di organismi sovranazionali, sui quali molto influiscono le imprese e per nulla i cittadini, il WTO, la Banca Mondiale, l'OCSE, il G8 e così via. Tali organismi mantengono stretti rapporti con una serie di altri organismi che debbono considerarsi a tutti gli effetti enti privati e, restando nell'ombra, promuovono gli interessi delle multinazionali. Infine, dopo aver appreso ciò che vogliono "quelli che contano", gli danno esecuzione, riunendosi con la massima discrezione possibile dove ritengono più opportuno, e, protetti da una polizia il cui nervosismo aumenta in proporzione al diffondersi della consapevolezza di quest'enorme espropriazione, prendono provvedimenti che hanno valore cogente per i singoli stati sebbene restino per lo più sconosciuti ai loro cittadini. La situazione non è mutata dalle strumentali offerte di dialogo che sempre più spesso vengono rivolte ai contestatori, perché non si tratta di esprimere in quelle sedi opinioni  e critiche di cui, con ogni probabilità, non si terrà alcun conto, ma di procedre ad una  riforma radicale che assicuri la trasparenza e la democraticità dei processi decisionali. Lo stesso discorso vale, purtroppo, per la Commissione europea, che è arrivata fino al punto di stilare due versioni dell medesimo rapporto, una per gli addetti ai lavori e una, per il volgo, nella quale sono state soppresse le frasi che potevano allarmare la "gente comune".
        Ci resta almeno il controllo della politica estera? Assolutamente, no. Alla Serbia è stata mossa guerra senza consultare il parlamento, con la scusa che si trattava di un'operazione di polizia internazionale. Dell'adesione dell'Italia al "nuovo concetto strategico", che prevede l'intervento della Nato in qualsiasi parte del mondo dove ritenga minacciati gli interessi occidentali, il parlamento è stato sommariamente informato a cose fatte. E ora, senza che vi sia stato alcun dibattito e che il popolo sovrano  ne abbia preso adeguata conoscenza,  è stata approvata a larghissima maggioranza una riforma dell'esercito che tradisce il concetto costituzionalmente legittimo di difesa.
        Quando ci raccontano che le istituzioni che decidono il nostro futuro sono l'analogon internazionale dei parlamenti nazionali, o piuttosto di ciò che questi dovrebbero essere, ci mentono spudoratamente. Nella migliore delle ipotesi, dovremmo dire che l'esecutivo ha usurpato le funzioni dell'organo legislativo. Ma, come sempre, la menzogna lascia trasparire  una parte della verità. Poiché, sempre più, esecutivo e legislativo sono egualmente condizionati dall'unico potere reale, quello del capitale e del mercato, del quale è espressione la stessa amministrazione della superpotenza ai cui voleri ci siamo di recente piegati due volte: firmando un avventuristico trattato militare e lasciandoci coinvolgere in un conflitto, ipocritamente definito "umanitario", conclusosi con la trasformazione dei perseguitati in persecutori.
        La costituzione italiana aveva gettato le basi di un'organizzazione democratica della Repubblica. Possiamo domandarci se ciò sia mai   accaduto davvero. P. P. Pasolini non aveva esitato a rispondere di no. Se, invece, per qualche tempo così è stato, ci troviamo  (con buona pace di Aristotele) di fronte a un miracoloso passaggio retrogrado  dall'atto alla potenza. Ma c'è chi pensa che per il nostro paese anche questa democrazia virtuale sia ormai di  troppo e sogna un cancelliere di ferro che abbia modo di mostrare  tutte le sue provvidenziali qualità.


 

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