Costretti a dover attendere altri giorni prima di poter conoscere il
nome del prossimo presidente degli Stati Uniti, l'unico dato certo che
si può ricavare dalle presidenziali USA del nuovo millennio è
che il sistema istituzionale americano ha chiaramente mostrato di essere
entrato in una profonda crisi.
Crisi di rappresentanza, in primo luogo.
Lasciando da parte le ormai note considerazioni sugli effetti pratici
della scarsa affluenza alle urne (il presidente degli USA viene di fatto
eletto dal 25-30% degli aventi diritto al voto), lo scontro Gore-Bush potrebbe
addirittura riservare la sorpresa che ad essere eletto presidente sarà
il candidato meno votato.
Virtù del federalismo e di un sistema di elezione indiretta
trasformato in elezione diretta dalla prassi e dalla legislazione elettorale
di competenza dei singoli Stati membri.
La Costituzione americana, infatti, non prevede l'elezione diretta
del Presidente, bensì l'elezione di un certo numero di cosiddetti
"grandi elettori", da eleggere nei singoli Stati, i quali, a loro volta,
procederanno poi ad eleggere il Presidente.
La prassi di dichiarare in anticipo, da parte di questi "grandi elettori",
il Presidente che voteranno, ha praticamente trasformato questo tipo di
elezione indiretta in elezione diretta; il tutto grazie anche, alla faccia
dell'autonomia federale, all'uniformità sostanziale del metodo di
conta elettorale adottato nei Singoli stati.
La Costituzione americana, d'impianto federalista, lascia infatti agli
Stati la scelta del modo di elezione della propria quota di grandi elettori.
Questi grandi elettori potrebbero quindi essere designati, Stato per
Stato, sulla base di un sistema di elezione proporzionale; oppure in collegi
uninominali; oppure, ed è quanto avviene, attribuendo tutti questi
grandi elettori alla lista collegata al candidato Presidente che abbia
ottenuto il maggior numero di voti.
E' evidente che si tratta di una forzatura e del principio costituzionale
stesso, che non prevedeva l'elezione diretta; e del principio maggioritario
che con questo sistema di designazione dei grandi elettori viene accentuato
al massimo.
Come e perché si sia consolidato questo meccanismo di elezione
si può facilmente spiegare con il dominio esercitato dai due maggiori
partiti sulla vita politica ed istituzionale del paese: un bipolarismo
che viene mantenuto tale grazie a meccanismi elettorali in grado di impedire
che altre forze politiche possano consolidarsi al punto di poter mettere
in discussione uno dei due partiti maggiori.
Alle forze politiche nascenti o emergenti, in pratica, non viene lasciata
alcuna possibilità di eleggere grandi elettori, visto il meccanismo
elettorale che assegna tutti i grandi elettori dei singoli Stati ad una
sola lista.
Ma dopo il danno di un federalismo condizionato dalle forze politiche
dominanti a preferire un meccanismo elettorale di tipo "unitario", al solo
fine di preservare l'attuale equilibrio bipolare, ciò che rimane
di federalista è in grado soltanto di aggravare ulteriormente l'irrisolto
problema di come far specchiare, quanto più possibile, il risultato
elettorale con la volontà espressa dagli elettori.
Logica federale vuole, infatti, che il voto espresso in ogni singolo
Stato conti come Stato e non come, in termini quantitativi fedeli al risultato,
volontà espressa dagli elettori in quanto tali: attraverso l'elezione
di un numero prefissato di "grandi elettori", gli elettori di ogni singolo
Stato vedono limitata la portata del loro voto alla sola determinazione
del come la percentuale di rappresentanza assegnata loro, in quanto entità
statale, verrà spesa per l'elezione del Presidente.
Con questo meccanismo, vincere in uno Stato per pochi voti o con tutti
è la stessa cosa: quale che sarà l'entità del voto
popolare sui singoli candidati, il numero dei grandi elettori di ogni Stato
verrà comunque assegnato secondo il principio che ad ogni Stato
spetta un numero fisso di grandi elettori.
Vi è, infine, un problema di non secondaria importanza che mina
profondamente la credibilità del sistema nel suo complesso, dovuto
sempre alla competenza dei singoli Stati di legiferare in forma autonoma
dagli altri sulla materia elettorale.
Come abbiamo potuto vedere in questi giorni, le schede elettorali erano
diverse da Stato a Stato; in alcuni Stati è stato possibile votare
per posta; in altri non veniva addirittura richiesto un documento di riconoscimento
per espletare il diritto di voto; ecc. ecc.
Come stiamo sempre vedendo in questi giorni, la discrezionalità
di aver scelto un tipo di scheda rispetto ad un altro, visti i problemi
di leggibilità riscontrati, potrebbe essere stata la causa dell'annullamento
di un numero considerevole di schede a danno di Gore e a tutto vantaggio
di Bush.
In altre parole, questo potere di legiferare di cui godono i singoli
Stati potrebbe in qualche modo aver favorito un candidato al posto di un
altro (addirittura, anche nell'ipotesi di meccanismi per l'esercizio del
voto facilmente soggetti a brogli), condizionando, così, la vita
politica di tutti gli altri Stati. Ed il caso della Florida, con il peso
politico costituito dai suoi 25 "grandi elettori", è emblematico
dell'assurdità di un sistema di attribuzione di competenze legislative
in grado di mettere in seria discussione la corretta determinazione e tutela
degl'interessi comuni.