Riforme Istituzionali
Interventi
 
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29/11/2000
Giorgio Cadoni
 
27 novembre 2000: E Bush si autoproclama presidente...

    Bancarotta politica, morale, istituzionale, giudiziaria. Questa, la situazione della superpotenza da cui dipendono i destini del mondo.
    Politica: chiunque sia eletto rappresenterà il 25% dei cittadini con diritto di voto ed è lecito domandarsi fino a che punto terrà conto dei loro interessi, visto che entrambi i concorrenti hanno speso 4 miliardi di dollari per la loro campagna elettorale, in gran parte elargiti dalle grandi corporations.
    Morale: il computo dei voti è sicuramente errato, ma è stato finora impossibile pervenire ad un conteggio veritiero per le connivenze trovate, col pieno appoggio del suo partito, dal candidato che si è autoproclamato presidente.
    Istituzionale: un certo numero di schede è stato annullato perché votate in modo leggibile per gli umani ma non per le macchine. Altre schede, dette "a farfalla", erano state progettate in modo da favorire l'errore. A tutto questo si è rinunciato a porre rimedio. Per non parlare del paradosso che consentirebbe di attribuire la presidenza al candidato che ha ottenuto meno voti e della determinante influenza del denaro sulle elezioni.
    Giudiziaria: la Corte suprema della Florida ha dichiarato la legittimità di un nuovo conteggio manuale, ma ha fissato termini che non avrebbero consentito alla contea di Miami-Dade di condurlo a termine. Oppure la commissione elettorale di Miami-Dade ha avanzato un pretesto per sospendere una verifica che si stava dimostrando favorevole a Gore? La cosa singolare è che la Corte suprema della Florida abbia respinto un'istanza tendente ad imporre alla commissione elettorale di Miami-Dade di continuare il conteggio.
    Porsi qualche domanda è naturale. Perché il costo delle campagne elettorali ha raggiunto cifre astronomiche? Le ragioni sono probilmente più di una. Ma è inevitabile pensare che meno sono resi espliciti e distiguenti i contenuti programmatici tanto più la competizione si riduce ad uno spettacolo il cui scarso interesse è testimoniato dall'altissima percentuale di astensioni. Per attirare l'attenzione del corpo elettorale, non resta dunque che ricorrere a tutti gli strumenti della retorica mediatica, dalla scenografia coinvolgente all'iterazione di tutte le varianti dell'identico.
I costi salgono vertiginosamente. La maggior parte dei fondi provengono dalle grandi corporations, verso le quali chiunque vinca avrà eguali obblighi di "gratitudine". E' una spirale perversa, che, appiattendo le differenze, rende sempre più necessario il ricorso ai costosissimi mezzi necessari per offrire uno "spettacolo" capace di assicurare il successo. E sempre meno autonomi i canditati.
    Non sorprende, per conseguenza, che quasi tutti, cittadini e finanziatori, si mostrino assai più desiderosi di avere un qualsiasi presidente, piuttosto che di avere il presidente che hanno sostenuto e votato. Che gli elettori democratici non si siano riversati nelle piazze, pur sapendosi vittime di una colossale mistificazione, viene indicato come un esempio di alta civiltà politica. Errore. E' solo un esempio di sostanziale e comprensibile indifferenza. Perché ciò che è in questione è l'accertamento della reale volontà espressa dai votanti, cardine di ogni democrazia. Rinunciarvi significa rinunciare all'essenza stessa del sistema che si pretende di difendere con la propria rassegnazione. Ma le corporations, che notoriamente non amano sprecare il loro denaro? Ebbene, è più che probabile che, nonostante qualche eccezione, pur avendo ciascuna le sue preferenze, quasi tutte abbiano  evitato di mostrarsi troppo avare verso uno dei due principali competitori, affinché chiunque avesse vinto fosse egualmente vincolato nei loro confronti, sopratttutto pensando alla prossima campagna elettorale. E anche se così non fosse, il loro interesse primario è evitare tensioni che potrebbero innescare sommovimenti ben più radicali.
Così stando le cose, Gore sa benissimo che, sebbene, esigendo che tutti i voti siano contati, si ponga oggettivamente, quale che sia il suo reale movente, come il campione della democrazia, la pervicacia che sta dimostrando lo destina a una sicura impopolarità. Gioca l'ultima carta.
Arriverà fino in fondo con gli unici strumenti di cui può disporre in un paese dove la politica, che è per definizione dialettica di volontà e progetti antagonistici, è definitivamnete scomparsa e il governo si sta riducendo davvero al "comitato d'affari della classe dominante".


 

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