Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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il manifesto - 18/01/2000

Galapagos

Antisociali e sconvenienti

I referendum radicali minano i diritti. E danneggiano l'economia
Uno studio di Ares 2000 sottolinea non solo i limiti costituzionali dei quesiti referendari, ma rivela anche i pesanti costi economici che comporterebbe una loro vittoria

Obiettivo prioritario: fare chiarezza sui dieci quesiti refendari che incidono direttamente sul "sociale" per cercare di evidenziarne "i difetti giuridici che viziano in partenza i referendum, rendendoli improponibili e inamissibili". Ma anche dimostrare come l'eventuale vittoria del sì "non apporterà sicuramente alcun vantaggio a lavoratori e cittadini, ma potrà avere al contrario effetti negativi anche gravi sulle condizioni di vita di gra parte dei cittadini". Con questi obiettivi, una Onlus impegnata nel sociale, Ares 2000, ha presentato ieri una ricerca ("Tutte le cifre dei referendum: lavoro, salute, previdenza") estremamente documentata, sulle incongruenze (non solo giuridiche) dei referendum e sui costi (economici, ma anche di peggioramento del livello di vita) che comporterebbe una eventuale vittoria dei "sì".

 Per almeno quattro dei referendum, gli esperti di Ares 2000 ritengono che vi siano forti probabilità che la Corte costituzionale si pronunci per la loro "inammissibilità". Queste le obiezioni di Ares 2000 sui dieci referendum, partendo proprio dai quattro che quasi sicuramente non saranno ammessi salla suprema corte.

 1 - Abrogazione del monopolio Inail: la Corte dovrà esaminare il quesito in base all'articolo 75 della Costituzione che vieta i referendum su materie relative "alle leggi tributarie e di bilancio". E questo perchè "l'abrogazione del sistema finanziario di un ente pubblico come l'Inail, chiamato alla realizzazione dei compiti sanciti dall'articolo 38 della Costituzione (...) non può non suscitare gravi perplessità sulla sua ammissibilità". Secondo Ares 2000, i radicali, assimilando l'attività dell'Inail a qualsiasi attività economica, vorrebbero eliminare il monopolio introducendo la concorrenza delle assicurazioni private. In realtà l'attività dell'Inail è improntata a principi diversi che non sono assicurativi, cioè non mirano al profitto. Tanto che l'Istituto per gli infortuni sul lavoro interviene obbligatoriamente con l'erogazione di prestazioni a chi si infortuna, indipendentemente dal pagamento dei premi da parte del datore di lavoro.

 Se passasse il referendum, avverte l'Ares 2000, nel settore industriale si potrebbe creare una situzione bizzarra: le compagnie assicurative del settore privato potrebbero scegliere (con tariffe concorrenziali) i clienti migliori, i dipendenti cioè delle imprese a basso rischio, mentre l'Inail si troverebbe a dover assicurare le imprese ad elevato tasso di rischiosità "magari surrogandosi alla mancata copertura delle assicurazioni private in caso di inadempienza dei datori di lavoro. Con necessità quindi di elevare i premi". Avverte l'Ares 2000: il sistema misto fu già sperimentato nel ventennio fascista, con aggravi di bilancio per i progressivi deficit accumulati.

 Ares 2000 stima che non potendo ipotizzare l'automaticità delle prestazioni, è prevedibile che "centinaia di migliaia di infortunati potrebbero rimanere privi di indennizzo". Una stima prevede che oltre 2 milioni di lavoratori potrebbe rimanere senza copertura asicurativa.

 2 - Abrogazione fondi pubblici dei patronati: "il carattere pubblico e solidaristico di tale finanziamento dovrebbe far propendere la Corte per l'inammissibilità". Anche in questo caso il riferimento è all'articolo 75 della Costituzione. Questo referendum più che a rendere più efficiente il mercato del lavoro, sembra mirare unicamente a colpire i sindacati e l'opera di assistenza (non sempre eccezionale, ma preziosa) che svolgono a favore dei lavoratori, soparattutto quelli non più in attività.

 3 - Abrogazione dell'obbligarietà del Servizio sanitario nazionale: La Corte costituzionale in due occasioni si è pronciata su quesiti analoghi. Con sentenza numero 2 del 1995 "ha dichiarato inammissibile la richiesta in quanto vertente su leggi tributarie e di bilancio che sono sottratte alla consultazione referendaria". Con sentenza n. 39 del 1997 la Corte ha sottolineato come il quesito referendario "ponesse all'elettore una falsa alternativa: da un lato il cittadino avrebbe potuto chiamarsi fuori dall'obbligo contributivo (...) dall'altro avrebbe continuato ad avere diritto alle prestazioni offerte dal sistema pubblico". Ma non vi sono solo aspetti giuridici contro questo referendum, ma ragioni di equità e di costo economico.

 Il tutto analizzato sulla base di confronti con i sistemi sanitari degli altri paesi industrialiazzati. In particolare se si optasse per un modello simile a quello tedesco, rispetto alla situazione attuale la spesa sanitaria rispetto al Pil salirebbe di almeno 3,5 punti rispetto all'attuale 14% per cento. Se invece si prendesse a riferimento il sistema sanitario svizzero o quello statunitense (con 37 milioni di americani senza copertura sanitaria) la spesa salirebbe di sette punti rispetto al Pil. Ares 2000 stima in circa 4 milioni le famiglie (tutte di ceto medio alto) che potrebbero scegliere il sistema privato con un maggior costo tra i 25 e i 40 mila miliardi. E sul sistema privato, viene riprosto nella ricerca un recente intervento di Clinton, secondo il quale il sistema statunitense "è sfavorevole per gli individui, le famiglie e le piccole imprese. Milioni di americani hanno perso l'assicurazione quando si sono ammalati e ne hanno avuto più bisogno. Le persone con malattie diagnosticate prima che la persona richeda una polizza non possono ottenerla o possono ottenerla solo a prezzi esorbitanti".

 4 - Abrogazione della regolametazione sul lavoro a domicilio. Per Ares 2000 i radicali fanno un vero papocchio giuridico: chiedono, infatti, l'abrogazione della legge 18/12/73 n. 877 (fatti salvi i primi due articoli). In questo modo, però, secondo autorevoli giuristi, sarebbe abrogato anche l'articolo 14 che a sua volta aveva abrogato la vecchia legge (la 264 del 1958) che così tornerebbe in vigore, visto che certamente il lavoro a domicilio rimarrebbe regolamentato. Quindi un referendum contraddittorio e incoerente che la Corte costituzionale quasi sicuramente respingerà.

 A parte questi primi quattro referendum, a parere di molti giuristi, vi sarebbe comunque per tutti i referendum proposti un profilo di illeggittimità e inamissibilità: appaiono soprattutto in contrasto con i diritti fondamentali che l'articolo 2 della costituzione dichiara inviolabili. Ares 2000, nella sua analisi va oltre, e ne dimostra l'incongruità e la non economicità. Vediamo più in dettaglio le osservazioni:

 5 - Trattenute sindacali. I radicali dicono di voler abrogare il prelievo automatico sulle quote associative sui trattamenti pensionistici erogati dall'Inps e dall'Inail. In realtà l'abrogazione del referendum è relativa alla legge 311 del '73 che riguarda non le trattenute dei pensionati, ma quelle dei lavoratori attivi (per i pensionati il riferimento è, invece, la legge 485 del '72). Di più: dopo il referendum del '95, la legge 311 è ormai inefficace e l'attuale sistema di trattenute è regolato dai contratti collettivi. Quindi, il referendum proposto è solo in funzione antisindacale e si pone un obiettivo "falso", anche se sottende la volontà di rendere più complicato e caro il pagamento delle quote ai lavoratori iscritti ai sindacati. Infatti, se il versamento fosse effettuato anzichè gratuitamente dall'ente erogatore, dai singoli lavoratori, questi sarebbero costretti o al pagamento in un unica soluzione della quota (e la cifra rischia di essere troppo grande creando disagio economico) ovvero tramite rate mensile pagate con conto corrente postale o con disposizione bancaria. Entrambi le forme rateali di pagamento comporterebero un costo supplementare superiore alle 20 mila lire annue per ogni iscritto.

 6 - Pensioni di anzianità la richesta è di anticipare la scadenza della riforma Dini per impedire, prima del 2007, a poche miglia di lavoratori con meno di 57 anni di età di godere della pensione, a meno che non aver già maturato 40 anni di contributi lavorativi. Per Ares 2000 si tratta di un referendum inutile: la riforma Dini ha già messo a regime il sistema pensionistico. Di più: la maggior spesa previdenziale italiana (2,5 punti sul Pil) rispetto agli altri paesi (nel contesto, però, di una spesa per il welfare che vede l'Italia fanalino di coda con 4 punti al di sotto della media europea: 24,8% contro il 28,6% secondo le statistiche Eurostat relative al 1996) deriva dal fatto che la spesa pensionistica italiana comprende (al contrario di quanto contabilizzato negli altri paesi) voci relative ad interventi assistenziali come ad esempio i prepensionamenti, le pensioni sociali, le pensioni di invalidità, le agevolazioni contributive. L'eventuale vittoria del "sì" rinvierebbe la pensione per alcune decine di migliaia di lavoratori, ma non avrebbe alcun effetto sui conti dell'Inps.

 7 - Liberalizzazione dei vincoli dei contratti a termine. E' questo il primo dei referendum teso a dare piena flessibilità al mercato del lavoro, anche se, come dimostrano i grafici e le tabelli elaborati da Ares 2000 e che pubblichiamo a documentazione, in pochissimi anni di flessibilità ne è stata intrdotta in abbondanza e il fisco ha alleggerito nell'ultimo decennio le imprese di quasi 40 mila miliardi di costo del lavoro, favorendo i contratti di formazione lavoro e quelli di apprendistato.

 Questo referenduma vuole "liberalizzare completamente il lavoro a termine sia nell'atto della sua costituzione, sia nel suo svolgimento e cessazione, istituzionalizzando soprattutto un'estrema facilità di recesso del datore di lavoro". Se fosse abrogato (come richiesto) l'articolo 5 della legge 230 del 1962, il datore di lavoro sarà esonerato dal pagamento delle ferie, della tredicesima mensilità e del premio di fine lavoro in proporzione alla durata del contratto". Sulla base dei dati di fonte Istat e Censis, Ares 2000 calcola che, visto che nei contratti a termine sono coinvolti 1,4 milioni di lavoratori, il risparmio garantito alle imprese dalla vittoria di questo referendum sarebbe di quasi 5000 mila miliardi. Ma la cifra è destinata a salire, visto che tutte le imprese vorranno utilizzare in maniera sempre più massiccia questa forma contrattuale. E il trend diverrebbe esponenziale se dovesse essere approvato anche il referendum successivo.

 8 - Libertà di licenziamento, ovvero abrogazione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. In pratica, se questo referendum venisse approvato troverebbero applicazione anche alle imprese medio-grandi le norme previste per le imprese con meno di quindici dipendenti. La conseguenza sarebbe l'eliminazione dell'"imgombrante" vincolo secondo il quale il licenziamento può avvenire solo per giusta causa. Ai lavoratori licenziati verrebbe corrisposta unicamente una indennità, cioè un risarcimento individuale pari a alcune mensilità di retribuzione. Secondo Ares 2000 l'assoluta insicurezza del posto di lavoro si tradurrà in aggravio di disturbi mentali, eccesso di alcool e droghe ed è facile prevedere un aumento delle giornate di degenza (almeno 500 mila) con un costo di oltre 500 miliardi, ai quali occorrerà "aggiungere le aumentate spese per consumo di psicofarmaci e di spese per asistenza quanrtificabili in diverse centinaia di miliardi".

 9 - Collocamento Ovviamente piena liberalizzazione. Tra i vincoli da cancellare anche quello che le agenzie private svolgano l'attività "come attività esclusiva e con competenze professionali idonee". La cosa più odiosa è che i lavoratori dovrebbero pagare le agenzie che trovano loro (magari per pochi giorni) un posto di lavoro. Per Ares 2000 si tratta di "un ritorno al caporalato, anche se con l'aiuto dei computer".

 10 - Part time L'obiettivo del referendum è "l'abolizione di alcuni dei principali ostacoli alla diffusione del lavoro part-time in Italia, fino a oggi osteggiato anche e soprattutto da parte del sindacato". Su questo referendum pubblichiamo in queste pagine il parere di Sergio Tosini. Ares 2000 sottolinea da parte sua, come dimostra la tabella che pubblichiamo, che in Italia negli ultimi anni c'è stata una forte crescita del lavoro part-time. "A ostacolare l'ulteriore crescita non è certo la normativa che prevede vincoli disincentivanti, quanto piuttosto la scarsa propensione dei datori di lavoro che vorrebbero pagare come part-time una disponibilità a pieno tempo, ciò che oggi leggi e contratti non consentono".



 
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