"D'Alema e soci, io vi denuncio". La via giudiziaria
dei radicali
Querela per D'Alema, Castagnetti, Mascia, i leader confederali,
Nomisma e Datamedia
Tutti denunciati: Massimo D'Alema e il segretario dei popolari Castagnetti, la coordinatrice della segreteria di Rifondazione comunista Graziella Mascia, i leader di Cgil, Cisl, Uil Cofferati, D'Antoni, Larizza, e per la Cgil anche il numero due Epifani; denunciati anche il vicepresidente di Nomisma Cacace e il direttore di Datamedia Crespi. Autore del ricorso alla procura della repubblica di Roma è Marco Pannella - insieme a Emma Bonino e altri rappresentanti del comitato che ha promosso i venti referendum presentati dai Radicali - il quale evidentemente resta il più indefesso fautore della via giudiziaria alla politica.
L'accusa, per tutti, è di attentato ai diritti politici dei cittadini, che i Radicali spiegano così: "In queste settimane tutti i denunciati hanno reiteratamente diffuso informazioni false, vere e proprie menzogne, sul contenuto dei referendum, e in particolare del quesito relativo all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e di quelli in materia di sanità e di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro". Dunque, la via giudiziaria si sostituisce alla battaglia politica, proprio per quei referendum anti-sociali che intendono cancellare ogni freno a una deregolamentazione dei diritti che sta aumentando le diseguaglianze.
Ma veniamo alle presunte "menzogne" propalate da politici, sindacalisti, ricercatori. I radicali sostengono che il loro referendum per la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto "non introduce alcuna libertà di licenziamento e non cancella il principio della 'giusta causa', ma si limita ad abolire, per le imprese con più di 15 dipendenti la norma che consente al giudice il reintegro del lavoratore licenziato". Marco Pannella aggiunge anche - un altro apparente colpaccio mediatico - che "dal 1990 partiti e sindacati hanno abolito per sé proprio l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che il nostro referendum vuole abolire": "lo ha stabilito il parlamento di questi farabutti".
Concentriamoci su questi due punti che riguardano la libertà di licenziare perché hanno un nesso comune, e a ben vedere rafforzano la convinzione che il referendum radicale va respinto. Primo. Alla lettura dei promotori, opponiamo quella inoppugnabile quanto a competenza giuridica di un uomo di diritto: Luigi Ferrajoli. Ferrajoli premette che questo referendum garantisce una sola libertà, "quella imprenditoriale, cui verrebbe consegnato il potere di disporre del lavoro come di una qualsiasi merce, nonché dei relativi diritti fondamentali".
Certo, il referendum non chiede "l'abolizione del divieto di licenziamento senza giusta causa", semplicemente "ne sopprime la principale garanzia, la reintegrazione nel posto di lavoro", lasciando sopravvivere solo la sanzione del risarcimento del danno: e per di più quantificata contro il principio di uguaglianza, cioè non secondo il danno prodotto, ma "nella misura irrisoria della retribuzione" fino a un massimo di sei mensilità.
Il risultato non è la semplice libertà di licenziamento, conclude Ferrajoli, "che già esiste ed è ampiamente praticata, ma la libertà del licenziamento illegittimo". E questo è appunto la sostanza di ciò che dicono anche i radicali, ci pare. Quanto alla legge 108 del maggio 1990, secondo la quale non c'è obbligo di riassunzione per datori di lavoro che svolgono senza fini di lucro attività politica, sindacale, culturale, di religione, di culto, è singolare che sia proprio Pannella a denunciarla: lui vuole estendere a tutti la libertà di licenziamento, dunque quella legge fa già un primo ingiusto passo proprio nella direzione dei radicali.