Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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L'Espresso - 03/02/2000

Devil

Né liberali né ammissibili i referendum dei radicali
La Confindustria è liberista nel senso del "tutto è lecito". Ma dovrebbe rileggere Einaudi

Liberali e liberisti sono stati qualificati i referendum «sociali» presentati dai radicali e accolti a braccia aperte dalla Confindustria, cioè dalla nostra classe dirigente economica. In sintesi il loro contenuto è questo. Libertà di ogni licenziamento, anche capriccioso, venir meno di ogni garanzia imposta ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, a tempo parziale e a domicilio, soppressione della operatività obbligatoria del servizio sanitario nazionale e dell'assicurazione Inail contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali: abolizione delle pensioni d'anzianità; divieto di trattenute in busta paga dei contributi degli iscritti ai sindacati e soppressione del finanziamento pubblico agli istituti di patronato sindacale.

Tre ordini di considerazioni si impongono.

Il primo, più evidente, è l'assoluta illegalità e inammissibilità di questi referendum, che distruggono con un solo colpo di spugna i «principi fondamentali» della Costituzione: la Repubblica fondata sul lavoro (art. 1): la garanzia dei diritti inviolabili (art. 2) e il principio di uguaglianza giuridica (art. 3). E ancora l'art. 4, 32, 35, 36 e 38 sul diritto al lavoro, alla salute e alla tutela pubblica del lavoratore. La Corte costituzionale, in varie sentenze, ha già riaffermato questi principi e non avrà difficoltà a rigettare questo tentativo maldestro e superficiale, visti anche svarioni «tecnici» che lo accompagnano, di sovvertire la nostra carta costituzionale.

La seconda considerazione è ancor più grave, poiché la «legislazione operaia e altrettali provvedimenti (...) non solo non erano antiliberali, sì invece sanamente liberali, in quanto concorrevano all'elevazione dell'uomo». Queste sono parole di Benedetto Croce (B. Croce - L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, Ricciardi, 1958, p. 153). Ad esse va aggiunta la severa critica dei liberisti del «tutto è lecito» di Luigi Einaudi, per il quale «le norme seguenti: "non è lecito far lavorare le donne di notte, i fanciulli ... (minori), non è lecito licenziare gli operai capi o addetti a associazioni operaie ... è obbligatoria l'assicurazione degli operai contro gli infortuni del lavoro, contro l'invalidità e la vecchiaia ..." sono la condizione necessaria per attuare un ordinamento concreto il quale si avvicini quanto sia possibile all'ipotesi astratta della libera concorrenza» (ivi, p. 157). Continuava poi, precisando che «il legislatore liberista dice invece ... se sei industriale, potrai liberamente scegliere i tuoi operai ... li dovrai assicurare contro gli infortuni del lavoro, la invalidità, la vecchiaia, le malattie e dovrai osservare i patti (con le loro associazioni) stipulati» (ivi, p. 171). Ora, con una risicata maggioranza referendaria, si vorrebbero abolire questi diritti irrinunciabili, frutto di lotte e conquiste civili, che neppure l'unanimità dei cittadini potrebbe conculcare. La cultura che sta alla base dei nostri referendum forcaioli non è dunque quella né di Croce, né di Einaudi, bensì quella dell'incolta arroganza delle brioches di Maria Antonietta. E perché non aggiungere che questa operazione di presunta democrazia diretta è in realtà un atto sconfortante di negazione degli istituti fondamentali di ogni democrazia costituzionale e di ogni civiltà giuridica?

Terza e ultima osservazione. La Confindustria si è subito accodata alla campagna referendaria, dimostrando ancora una volta che la sua ideologia non è cambiata da quando suonava i tamburi di guerra contro la legislazione antitrust. Anch'essa liberista nel senso dei radicali, cioè del «tutto è lecito», pretende di ispirarsi a principi resi necessari dalla concorrenza, dalla globalizzazione e dalla libertà di impresa. Le uniche riforme che, invece, sembra pronta ad accettare sono quelle che preludono al ritorno dei «padroni delle ferriere».

Ma liberalismo e globalizzazione esigono ben diversa cultura e serietà e, in ogni caso, impongono l'abbandono di ogni provinciale faciloneria demagogica.



 
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