Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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il manifesto - 02/03/2000

281 parlamentari contro la libertà di licenziare

Il referendum per la libertà di licenziamento divide i parlamentari del centro-sinistra: da un lato 281 senatori e deputati dei partiti di maggioranza e di Rifondazione lanciano un appello "in difesa dei diritti dei lavoratori", per il "no" al quesito referendario che vuole permettere il licenziamento senza giusta causa e contro qualsiasi legge che vada nella stessa direzione proposta dal duo Bonino-Pannella (e sostenuta dalla Confindustria). Dall'altro lato i gruppi parlamentari "centristi" (Ppi, Democratici, Rinnovamento, Sdi e Udeur) annunciano per oggi la presentazione di un progetto di legge che eviti il referendum (accogliendone i contenuti). Come alcuni deputati possano conciliare la firma dell'appello contro i licenziamenti e l'appartenenza a partiti che perseguono la libertà assoluta dell'impresa sui lavoratori è fatto un po' misterioso, ma tali sono - a volte - i misteri della politica.

 I 281 firmatari dell'appello per il "no" al referendum antisociale hanno spiegato ieri, in una conferenza stampa, le ragioni della loro iniziativa a partire dal fatto che quel referendum "rappresenta un pericolo per la grave limitazione dei diritti e delle libertà dei lavoratori". E analogo giudizio viene espresso per un'eventuale legge che vada nel senso del quesito proposto dai radicali, perché "qualunque processo riformatore deve salvaguardare fondamentali conquiste di civiltà e non può innescare un processo di progressiva precarietà del lavoro". Aggiunge Antonio Pizzinato, uno tra i promotori dell'appello, che "il diritto al reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa è uno dei perni della legislazione del diritto del lavoro". E di fronte alle obiezioni che sollecitano una maggiore velocità per le decisioni della magistratura in questa materia, l'ex sottosegretario al lavoro ricorda che "serve l'assunzione di 1.500 funzionari negli uffici del lavoro che seguano i tentativi di conciliazione tra le parti (propedeutici alle sentenze dei giudici) e non l'introduzione dell'arbitrio aziendale e la monetizzazione attraverso il meccanismo dell'arbitrato". Secondo Pizzinato spetta allo stato, con un numero adeguato di funzionari e un moderno sistema informatico, rendere più agili le procedure dei giudizi. Senza intaccare i diritti e i - pochi - poteri rimasti ai lavoratri.

 Ma è proprio sull'arbitrato che si fonda la proposta di legge che oggi presenteranno i "centristi". E', in sostanza, l'ipotesi elaborata dall'ex ministro del lavoro Tiziano Treu, e che viene fatta propria dagli "esperti economici" di Ppi, Udeur, Democratici, Sdi e Rinnovamento italiano. Tra i promotori di quest'iniziativa legislativa (un'altra, sostanzialmente analoga, era stata preannunciata da An), gli ex ministri Fantozzi, Pinza, Lombardi, Menzione. L'arbitrato viene qui presentato come chiave di volta per "rendere più flessibili le conseguenze del licenziamento ingiustificato affidando al giudice o all'arbitro la scelta di decidere se reintegrare il lavoratore o dargli un indennizzo pecuniario". Cioè privando i lavoratori di qualunque alternativa a una "buonuscita" che non può certo compensare le garanzie offerte da un posto di lavoro.



 
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