Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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La Repubblica - 15/03/2000

Ma Veltroni non ci sta
"Vedo rinascere la Dc"
Il leader dei Ds: "I neo-proporzionalisti vogliono l'eutanasia del bipolarismo"

di Massimo Giannini
 
ROMA - Onorevole Walter Veltroni, lei crede davvero che dietro le mentite spoglie dei "proporzionalisti" di tutti i Poli stia per rinascere la Dc?
"Il disegno politico è evidente. La Dc in quanto tale appartiene ad un altro tempo della storia italiana, e poteva esistere, nelle sue diversità, in un mondo separato in blocchi. Oggi c'è semmai il tentativo di ricostituire un aggregato neocentrista, un partito conservatore egemonizzato da Berlusconi, che come è noto nei suoi cromosomi ha ben poco di democratico e di cristiano".
Il fatto è che gli vanno dietro in parecchi, con l'obiettivo di un modello tedesco, cioè il proporzionale uninominale con uno sbarramento del 5%.
"L'obiettivo di questo aggregato neocentrista è uno solo: riportare l'Italia a una condizione da Anni '80. Cioè all'eutanasia del bipolarismo. Berlusconi e le forze che lavorano a questo progetto di legge vogliono cancellare la principale innovazione politica raggiunta in questi ultimi anni: il potere, finalmente attribuito ai cittadini, di scegliere il governo del Paese. Vogliono tornare a una situazione tipica della Prima Repubblica".
Quale?
"Un partito conquista il centro del campo, e nella vecchia logica dei due forni pretende di condizionare la formazione delle maggioranze politiche, scegliendo di volta in volta la destra o la sinistra. E' la logica della Prima Repubblica. Dell'Italia dei 56 governi in 50 anni, dei governi balneari, dei comuni che cambiavano maggioranze e sindaci secondo gli equilibri tra le correnti. E allora io dico: stiamo molto attenti a quello che sta succedendo intorno a Berlusconi e ai cespugli del centro. Qui c'è in gioco una partita decisiva: l'evoluzione della democrazia italiana e la sua modernità".
Prima ancora c'è in gioco il referendum elettorale. Berlusconi e i suoi amici proporzionalisti mirano come minimo a far mancare il quorum a giugno.
"Questo è il pericolo immediato che abbiamo di fronte. Posso capire il no al referendum dei partiti minori. Più inquietante è la posizione di Berlusconi. Il Berlusconi che ha cambiato idea, che era nato come teorico della 'religione del maggioritario' e che oggi pensa di riunire sotto le sue insegne un partito di centro che tiene insieme Bossi e Buttiglione, oggi deve per forza scommettere sull'astensionismo al referendum. Ora il problema è questo: cosa vogliono gli italiani? Io sto ai dati del referendum dell'anno scorso, quando comunque 21 milioni di elettori dissero sì al maggioritario, e ai sondaggi di oggi secondo i quali la maggioranza dei cittadini vuole meno frammentazione e una politica più semplice, fatta di due coalizioni o due partiti che si scontrano per il governo del Paese. Se è questo che gli italiani vogliono, vadano a votare a giugno, e dicano un no chiaro alle manovre neocentriste berlusconiane".
Lei continua a parlare di Berlusconi, ma dietro quelle manovre ci sono anche personaggi come Andreotti, un bel po' di popolari che oggi governano insieme a voi, e persino qualche pezzo del suo partito, come il diessino Novelli...
"E' vero. Ma questo, vede, è l'effetto della crisi del bipolarismo all'italiana. Certe tentazioni trasversali a tornare alla politica centrista dei due forni nascono dall'ambiguità persistente del nostro sistema elettorale, che io non difendo affatto e che convive con un assetto costituzionale pensato per il proporzionale e con un insieme di partiti ancora intrisi di cultura proporzionalistica. Il referendum dell'anno scorso doveva cambiare questo sistema. Non cogliere quell'opportunità, anche da parte di alcuni di noi, è stato un errore storico che oggi paghiamo a caro prezzo. Se quel referendum fosse passato, avremmo approvato una legge a doppio turno, Berlusconi avrebbe subito un danno altissimo, e le nostalgie proporzionalistiche alle quali assistiamo non sarebbero mai potute risorgere. A giugno quell'occasione si ripresenta: fallire di nuovo sarebbe un suicidio politico, per un Paese che chiede bipolarismo, democrazia dell'alternanza, governi che durino 5 anni in base alla scelta consapevole dei cittadini".
Il suo appello quindi è agli elettori, ma anche ai partner di maggioranza, primi tra tutti i popolari di Castagnetti, a loro volta in larga parte proporzionalisti?
"Sì. A Castagnetti e a tutti coloro che hanno a cuore l'evoluzione democratica di questo Paese voglio ricordare che non avremmo fatto l'Ulivo senza il maggioritario, non avremmo potuto fare incontrare i riformismi che hanno portato l'Italia in Europa e la stanno cambiando senza un bipolarismo, ancorchè imperfetto. Dobbiamo tornare a un regime dove comandano i partiti o dobbiamo andare davvero verso una democrazia dell'alternanza, bipolare, con governi decisi dai cittadini, senza più ribaltoni e consimili?".
Può riuscire il tentativo del sottosegretario alle Riforme Franceschini di trovare un accordo dopo il referendum sulla base di una legge elettorale tipo quella del Senato?
"Lo spero. In ogni caso, per risolvere il problema per me ci sono solo due modi: il doppio turno o il turno unico, col premio di maggioranza, il diritto di tribuna e l'indicazione del premier e del vice premier sulla scheda. Si scelga uno dei due. Ma quello che conta è che anche su questo punto il centrosinistra ritrovi una sua linea, una sua identità, una sua missione. Non è un caso che certe nostalgie da Prima Repubblica rispuntino adesso, e non si avvertivano invece nel '96, quando l'Ulivo trasmetteva agli elettori l'idea di un progetto politico forte e coeso, nel quale le ragioni della coalizione venivano prima di quelle dei partiti".
Recuperare lo "spirito dell'Ulivo". E' un bello slogan, del quale vi riempite troppo spesso la bocca. Intanto però su Napoli c'è uno scontro non proprio edificante tra Ds e Ppi, tra Bassolino e Bianco.
"La vicenda di Napoli è la conferma della necessità di privilegiare la coalizione sui partiti. I problemi posti dai popolari hanno una loro fondatezza, e la coalizione ha ritenuto giusti dialogare con essi. Mi auguro che si possa evitare una spaccatura dannosa per la coalizione, anche perché lo spettacolo che stiamo fornendo rischia di allontanare ulteriormente i cittadini e i nostri elettori dalla politica".
Il trionfo di Aznar in Spagna non esercita suggestioni forti, anche per i centristi italiani?
"Io, dal voto spagnolo, traggo due insegnamenti. Il primo: la sinistra vince se riesce a coniugare la propria identità e i propri valori, ai quali mai deve rinunciare, con un programma riformista realistico e moderno, capace di motivare l'elettorato di sinistra e convincere quello di centro: mai solo l'uno, mai solo l'altro. Radicalità e riformismo insieme, altrimenti c'è il secondo insegnamento: il rischio astensionismo...".
C'è anche in Italia, come dicono i sondaggi di Mannheimer sulle regionali.
"Per questo sostengo da mesi che bisogna rianimare il conflitto con la destra, valorizzare ciò che di nuovo abbiamo fatto con i nostri governi, mettere in evidenza gli elementi di discontinuità con il passato. L'astensionismo mi preoccupa molto, ma mi convince una volta di più della necessità che la sinistra italiana sappia lanciare segnali forti. Ora il Paese è più forte, è in crescita e dunque possiamo farlo. E non bisogna perdere un minuto di più. Per due ragioni...".
E quali sarebbero?
"La prima ragione è che abbiamo di fronte una destra imbarazzante. Un'alleanza tra Berlusconi che vuole rifare la Dc, Fini che preme per il maggioritario, Rauti che inneggia a Haider e Bossi che invoca il parlamento padano, è quanto di più impresentabile e lontano dal sano moderatismo di cui un Paese può aver bisogno. E qui, voglio dirlo, mi ha stupito il silenzio intorno al 'kit' berlusconiano: l'idea che in questa epoca nuova la politica si faccia con i manualetti ideologici da anni '40, o peggio con le battutacce sui paraplegici, a me pare agghiacciante".
La seconda ragione?
"E' in atto la rivoluzione più radicale degli ultimi 20 anni: la New Economy. Con la Rete cambia il sapere, il modo di fare finanza e commercio, il modo di comunicare e di vivere della gente. L'America corre perché 50 delle prime 100 aziende di Wall Street operano in Internet. Allora, o la politica capisce questo, e ci entra di prepotenza, o verrà spazzata via. La sinistra al governo ha avuto il merito di abbattere l'inflazione, piegare il deficit, coniugare la crescita economica con la riduzione delle diseguaglianze sociali. Ma adesso è a un passaggio di fase: ha il dovere di cavalcare la modernizzazione, attraverso l'alta tecnologia, la formazione e la lotta alla burocrazia. L'atteggiamento peggiore, di fronte alla New Economy, sarebbe quello di ripiegarsi, impaurita, e di voler imbrigliare il fenomeno. Invece bisogna lasciarlo correre. Poche norme sulla privacy, e poi briglia sciolta alla Rete e incentivi a chi vuole entrarci".
Onorevole Veltroni, dall'Africa a Internet. Il suo "sincretismo" non ha confini. Ma dove porta?
"Per me la sinistra del 2000 è esattamente questo: Internet e Africa. Cioè il massimo della modernità e il massimo della condivisione del dolore e del disagio. Di fronte all'Europa che rischia di ripiegarsi verso l'individualismo e l'iperliberismo senza regole, a me non interessa fare la macchietta della destra".



 
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