di Massimo Giannini
ROMA - Onorevole Walter Veltroni, lei crede davvero che dietro le mentite
spoglie dei "proporzionalisti" di tutti i Poli stia per rinascere la Dc?
"Il disegno politico è evidente. La Dc in quanto tale appartiene
ad un altro tempo della storia italiana, e poteva esistere, nelle sue diversità,
in un mondo separato in blocchi. Oggi c'è semmai il tentativo di
ricostituire un aggregato neocentrista, un partito conservatore egemonizzato
da Berlusconi, che come è noto nei suoi cromosomi ha ben poco di
democratico e di cristiano".
Il fatto è che gli vanno dietro in parecchi, con l'obiettivo
di un modello tedesco, cioè il proporzionale uninominale con uno
sbarramento del 5%.
"L'obiettivo di questo aggregato neocentrista è uno solo: riportare
l'Italia a una condizione da Anni '80. Cioè all'eutanasia del bipolarismo.
Berlusconi e le forze che lavorano a questo progetto di legge vogliono
cancellare la principale innovazione politica raggiunta in questi ultimi
anni: il potere, finalmente attribuito ai cittadini, di scegliere il governo
del Paese. Vogliono tornare a una situazione tipica della Prima Repubblica".
Quale?
"Un partito conquista il centro del campo, e nella vecchia logica dei
due forni pretende di condizionare la formazione delle maggioranze politiche,
scegliendo di volta in volta la destra o la sinistra. E' la logica della
Prima Repubblica. Dell'Italia dei 56 governi in 50 anni, dei governi balneari,
dei comuni che cambiavano maggioranze e sindaci secondo gli equilibri tra
le correnti. E allora io dico: stiamo molto attenti a quello che sta succedendo
intorno a Berlusconi e ai cespugli del centro. Qui c'è in gioco
una partita decisiva: l'evoluzione della democrazia italiana e la sua modernità".
Prima ancora c'è in gioco il referendum elettorale. Berlusconi
e i suoi amici proporzionalisti mirano come minimo a far mancare il quorum
a giugno.
"Questo è il pericolo immediato che abbiamo di fronte. Posso
capire il no al referendum dei partiti minori. Più inquietante è
la posizione di Berlusconi. Il Berlusconi che ha cambiato idea, che era
nato come teorico della 'religione del maggioritario' e che oggi pensa
di riunire sotto le sue insegne un partito di centro che tiene insieme
Bossi e Buttiglione, oggi deve per forza scommettere sull'astensionismo
al referendum. Ora il problema è questo: cosa vogliono gli italiani?
Io sto ai dati del referendum dell'anno scorso, quando comunque 21 milioni
di elettori dissero sì al maggioritario, e ai sondaggi di oggi secondo
i quali la maggioranza dei cittadini vuole meno frammentazione e una politica
più semplice, fatta di due coalizioni o due partiti che si scontrano
per il governo del Paese. Se è questo che gli italiani vogliono,
vadano a votare a giugno, e dicano un no chiaro alle manovre neocentriste
berlusconiane".
Lei continua a parlare di Berlusconi, ma dietro quelle manovre ci sono
anche personaggi come Andreotti, un bel po' di popolari che oggi governano
insieme a voi, e persino qualche pezzo del suo partito, come il diessino
Novelli...
"E' vero. Ma questo, vede, è l'effetto della crisi del bipolarismo
all'italiana. Certe tentazioni trasversali a tornare alla politica centrista
dei due forni nascono dall'ambiguità persistente del nostro sistema
elettorale, che io non difendo affatto e che convive con un assetto costituzionale
pensato per il proporzionale e con un insieme di partiti ancora intrisi
di cultura proporzionalistica. Il referendum dell'anno scorso doveva cambiare
questo sistema. Non cogliere quell'opportunità, anche da parte di
alcuni di noi, è stato un errore storico che oggi paghiamo a caro
prezzo. Se quel referendum fosse passato, avremmo approvato una legge a
doppio turno, Berlusconi avrebbe subito un danno altissimo, e le nostalgie
proporzionalistiche alle quali assistiamo non sarebbero mai potute risorgere.
A giugno quell'occasione si ripresenta: fallire di nuovo sarebbe un suicidio
politico, per un Paese che chiede bipolarismo, democrazia dell'alternanza,
governi che durino 5 anni in base alla scelta consapevole dei cittadini".
Il suo appello quindi è agli elettori, ma anche ai partner di
maggioranza, primi tra tutti i popolari di Castagnetti, a loro volta in
larga parte proporzionalisti?
"Sì. A Castagnetti e a tutti coloro che hanno a cuore l'evoluzione
democratica di questo Paese voglio ricordare che non avremmo fatto l'Ulivo
senza il maggioritario, non avremmo potuto fare incontrare i riformismi
che hanno portato l'Italia in Europa e la stanno cambiando senza un bipolarismo,
ancorchè imperfetto. Dobbiamo tornare a un regime dove comandano
i partiti o dobbiamo andare davvero verso una democrazia dell'alternanza,
bipolare, con governi decisi dai cittadini, senza più ribaltoni
e consimili?".
Può riuscire il tentativo del sottosegretario alle Riforme Franceschini
di trovare un accordo dopo il referendum sulla base di una legge elettorale
tipo quella del Senato?
"Lo spero. In ogni caso, per risolvere il problema per me ci sono solo
due modi: il doppio turno o il turno unico, col premio di maggioranza,
il diritto di tribuna e l'indicazione del premier e del vice premier sulla
scheda. Si scelga uno dei due. Ma quello che conta è che anche su
questo punto il centrosinistra ritrovi una sua linea, una sua identità,
una sua missione. Non è un caso che certe nostalgie da Prima Repubblica
rispuntino adesso, e non si avvertivano invece nel '96, quando l'Ulivo
trasmetteva agli elettori l'idea di un progetto politico forte e coeso,
nel quale le ragioni della coalizione venivano prima di quelle dei partiti".
Recuperare lo "spirito dell'Ulivo". E' un bello slogan, del quale vi
riempite troppo spesso la bocca. Intanto però su Napoli c'è
uno scontro non proprio edificante tra Ds e Ppi, tra Bassolino e Bianco.
"La vicenda di Napoli è la conferma della necessità di
privilegiare la coalizione sui partiti. I problemi posti dai popolari hanno
una loro fondatezza, e la coalizione ha ritenuto giusti dialogare con essi.
Mi auguro che si possa evitare una spaccatura dannosa per la coalizione,
anche perché lo spettacolo che stiamo fornendo rischia di allontanare
ulteriormente i cittadini e i nostri elettori dalla politica".
Il trionfo di Aznar in Spagna non esercita suggestioni forti, anche
per i centristi italiani?
"Io, dal voto spagnolo, traggo due insegnamenti. Il primo: la sinistra
vince se riesce a coniugare la propria identità e i propri valori,
ai quali mai deve rinunciare, con un programma riformista realistico e
moderno, capace di motivare l'elettorato di sinistra e convincere quello
di centro: mai solo l'uno, mai solo l'altro. Radicalità e riformismo
insieme, altrimenti c'è il secondo insegnamento: il rischio astensionismo...".
C'è anche in Italia, come dicono i sondaggi di Mannheimer sulle
regionali.
"Per questo sostengo da mesi che bisogna rianimare il conflitto con
la destra, valorizzare ciò che di nuovo abbiamo fatto con i nostri
governi, mettere in evidenza gli elementi di discontinuità con il
passato. L'astensionismo mi preoccupa molto, ma mi convince una volta di
più della necessità che la sinistra italiana sappia lanciare
segnali forti. Ora il Paese è più forte, è in crescita
e dunque possiamo farlo. E non bisogna perdere un minuto di più.
Per due ragioni...".
E quali sarebbero?
"La prima ragione è che abbiamo di fronte una destra imbarazzante.
Un'alleanza tra Berlusconi che vuole rifare la Dc, Fini che preme per il
maggioritario, Rauti che inneggia a Haider e Bossi che invoca il parlamento
padano, è quanto di più impresentabile e lontano dal sano
moderatismo di cui un Paese può aver bisogno. E qui, voglio dirlo,
mi ha stupito il silenzio intorno al 'kit' berlusconiano: l'idea che in
questa epoca nuova la politica si faccia con i manualetti ideologici da
anni '40, o peggio con le battutacce sui paraplegici, a me pare agghiacciante".
La seconda ragione?
"E' in atto la rivoluzione più radicale degli ultimi 20 anni:
la New Economy. Con la Rete cambia il sapere, il modo di fare finanza e
commercio, il modo di comunicare e di vivere della gente. L'America corre
perché 50 delle prime 100 aziende di Wall Street operano in Internet.
Allora, o la politica capisce questo, e ci entra di prepotenza, o verrà
spazzata via. La sinistra al governo ha avuto il merito di abbattere l'inflazione,
piegare il deficit, coniugare la crescita economica con la riduzione delle
diseguaglianze sociali. Ma adesso è a un passaggio di fase: ha il
dovere di cavalcare la modernizzazione, attraverso l'alta tecnologia, la
formazione e la lotta alla burocrazia. L'atteggiamento peggiore, di fronte
alla New Economy, sarebbe quello di ripiegarsi, impaurita, e di voler imbrigliare
il fenomeno. Invece bisogna lasciarlo correre. Poche norme sulla privacy,
e poi briglia sciolta alla Rete e incentivi a chi vuole entrarci".
Onorevole Veltroni, dall'Africa a Internet. Il suo "sincretismo" non
ha confini. Ma dove porta?
"Per me la sinistra del 2000 è esattamente questo: Internet
e Africa. Cioè il massimo della modernità e il massimo della
condivisione del dolore e del disagio. Di fronte all'Europa che rischia
di ripiegarsi verso l'individualismo e l'iperliberismo senza regole, a
me non interessa fare la macchietta della destra".