Riforme Istituzionali
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Corriere della Sera - 22/03/2000

di Giovanni Sartori
 
Per cinque anni siano stati «maggioritari» e i maggioritaristi hanno spadroneggiato nel fare, disfare e discettare. Ma i maggioritaristi hanno purtroppo spadroneggiato e discettato male. E così oggi i «proporzionalisti» hanno agio e titolo per rialzare la testa. Li ha rintuzzati l'altro giorno Angelo Panebianco (Corriere del 13 marzo). Ma debbo confessare che la sua difesa del maggioritario non mi ha convinto.

Se la discussione resta - come intendo farla restare - una discussione tra studiosi che si intendono dei problemi che discutono, allora dovrebbe accantonare le demonizzazioni, i processi alle intenzioni, e le confutazioni ad hominem. Comincio dall'ad hominem ricordando una battuta di Piero Calamandrei, che all'accusa di essere un «utile idiota» del Pci - siamo attorno al 1950 - rispose così: ma se un comunista dice che piove, dobbiamo dire per forza che non piove? Alla stessa stregua, se la proporzionale piace a Andreotti, è questa una buona e sufficiente ragione per dichiararla cattiva? Ovviamente no.

Anche i processi alle intenzioni e la denunzia di sinistri complotti e di sinistri interessi, anche di questo tipo di polemica non ci dobbiamo occupare né preoccupare, come studiosi, più di tanto. C'è un complotto per restaurare un «grande centro» e con esso una grande Dc? Lo asserisce Veltroni; io no, io non lo so. So però che i complotti riescono quando chi li deve sventare è un babbeo. Il centro riemergerà, se riemergerà, perché è fallito il bipolarismo. E se è fallito la colpa è di chi lo ha gestito in modo disastroso.

E gli interessi? Più o meno sinistri che siano, è scontato che in politica così come in economia, il gioco sia sempre di interessi o che ci siano sempre interessi in gioco. Ma il padre dell'economia, Adam Smith, ha già spiegato secoli fa che nel servire un nostro interesse particolare possiamo anche servire l'interesse generale. E dunque poco importa che le due armate (entrambe variopinte) di Berlusconi e Bertinotti da un lato, e di Veltroni e Fini dall'altro, perseguano il loro «utile elettorale». Importa invece, se capiscono bene quale il loro vero interesse sia (nel caso di Fini e di Veltroni lo escluderei) e, secondo, se quell'interesse di parte (di parte propria) coincida o no con l'interesse del Paese in una legge elettorale migliore.

Infine non possiamo accettare la demonizzazione della proporzionale. Perché il fatto è - come ogni studioso deve sapere - che nella letteratura internazionale è la proporzionale che è in auge e il maggioritario che è in disgrazia. Lo è persino in Inghilterra - la patria di quel sistema maggioritario che tanto manda in estasi nirvanica Pannella - dove da gran tempo l'Economist patrocina una riforma di tipo proporzionale. E dunque non è possibile che tutti i Paesi siano, salvo l'Italia, vittime di un sistema demoniaco.

Propongo, allora, che la premessa del nostro dibattere sia questa: che né il proporzionalismo né il maggioritarismo sono da idolatrare o esecrare in blocco. Per i nostri problemi esistono proporzionalismi buoni e proporzionalismi cattivi, così come esistono maggioritarismi vincenti (migliori di tutte le loro alternative proporzionalistiche) e maggioritarismi disastrosi. Ciò premesso e - spero - convenuto, veniamo al merito. Perché è sul merito che dobbiamo dibattere.

Nel merito la questione pregiudiziale è se l'esito frammentante del Mattarellum, del nostro sistema maggioritario- misto, sia da addebitare alla sua componente maggioritaria. È da quattro anni che spiego meticolosamente che è proprio così.

Ma alla domanda se la «frantumazione della rappresentanza è colpa del maggioritario» Panebianco risponde con il classico alibi del rinvio alla storia: «Penso di no. Penso che questa frantumazione non sia affatto causata dal sistema elettorale che abbiamo. Penso che sia invece l'effetto della caduta del vecchio sistema dei partiti...». Sarà (anche se ne stradubito). Ma in questa chiave come si spiega il caso della Spagna, e cioè di un Paese il cui passato è ancora più friabile di quello italiano, e che ha tuttavia istituito (con la proporzionale) un funzionantissimo sistema bipolare che addirittura approda a un bipartitismo quasi- perfetto di tipo australiano? Analogamente, Panebianco come spiega il felice passaggio francese dalla Quarta alla Quinta Repubblica? Sarebbe riuscito con il Mattarellum? Glielo escludo senza tema di smentite.

Panebianco va anche all'attacco della proposta proporzionalistica di Urbani, e cioè del sistema tedesco. Ma siccome su questo è Urbani (Corriere del 17 marzo) che controbatte, mi limito sul punto a rispondere a Augusto Barbera quando osserva, sull'Unità, che «la legge elettorale tedesca fotografa un bipolarismo che già c'è e che è il frutto della storia politica di quel Paese». Questa poi. Prima della Repubblica di Bonn c'era Hitler, e prima di Hitler la frantumatissima e multipolare Repubblica di Weimar. Da quale «storia» proviene, allora, il bipolarismo tedesco che comincia nel secondo dopoguerra e con la legge elettorale adottata allora?

Concludo. Anche una buona causa - quella del maggioritario - diventa cattiva se difesa male. Il fronte antiproporzionalista si deve decidere ad ammettere che le formule maggioritarie sperimentate o proposte finora sono sbagliate, e così riconvergere su un «buon maggioritarismo». Sul quale dovremmo tornare a discutere senza fissazioni e partiti presi.



 
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