Riforme Istituzionali
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il manifesto - 22/03/2000

Pietro Di Siena (Sinistra DS)

Quel turno unico proprio non funziona

Forza Italia ha dunque sciolto gli indugi e sembra volersi impegnare in un'iniziativa politica che punta a una legge elettorale proporzionale simile a quella in vigore in Germania.

 E' bastato questo per far gridare al segretario dei Ds della necessità di far quadrato, innnanzitutto dentro il suo partito, contro il perfido tentativo di ricostruire un sistema politico che cancelli la possibilità dell'alternanza e ritorni alle pratiche proprie del pentapartito di Andreotti, Forlani e Craxi. "Vogliono ricostruire la Dc e voi gli date una mano!", è stato il motivo ricorrente della polemica politica condotta in questi giorni all'interno della sinistra da parte di Walter Veltroni.

A esserne oggetto è stata non solo Rifondazione comunista, ma anche la Sinistra dei Ds. E gli ingredienti di questa polemica (conservazione contro innovazione) sono gli stessi che sempre più stancamente si ripetono da anni.

 Il segretario dei Ds non è nemmeno sfiorato dal sospetto che l'operazione politica di cui si è fatta protagonista Forza Italia è potuta venire così prepotentemente alla ribalta anche perché l'applicazione al sistema politico italiano di una legge maggioritaria fondata sul turno unico di collegio (che è quella attualmente esistente e solo parzialmente corretta dal 25% dei seggi assegnati con la proporzionale) è venuta meno alle sue promesse.

 I suoi sostenitori hanno sempre argomentato che la sua coerente applicazione avrebbe portato a una stabile democrazia dell'alternanza. Sarebbe forse così in un paese a tradizione bipartica. Ma l'Italia non è un siffatto paese. E l'esperienza di questi anni ha dimostrato che il principio ispiratore di tutte le riforme elettorali che si sono fatte in Italia nell'ultimo decennio non è tanto quello di costruire una stabile regime democratico fondato sull'alternanza di schieramenti contrapposti, ma quello della trasformazione in senso neo-notabilare e personalistico della rappresentanza politica.

 Lo dimostra il fatto che anche in un sistema sostanzialmente proporzionale come è quello con il quale si vota per le Regioni si è voluta introdurre l'elezione diretta del presidente disgiunta dall'espressione di voto per un partito della coalizione che lo sostiene. Si può cioè, per esempio in Campania, votare contemporaneamente per Bassolino e Forza Italia, o per i Ds e il candidato del Polo alla presidenza. Come tutto ciò, insieme alle ammucchiate senza alcuna coesione politico-programmatica che si fanno nelle elezioni politiche per far prevalere nei collegi uninominali un candidato rispetto ad un altro, contribuisca a creare negli elettori una matura cultura dell'alternanza è un mistero che ancora deve essere svelato.

 Se si vuole evitare un ritorno puro e semplice a un sistema proporzionale dove non si sa in anticipo quale sia la maggioranza che governerà il paese, perché questa scelta viene sottratta al giudizio dell'elettorato? Bene. Ma allora bisogna spiegare perché ci si è sempre rifiutati di prendere in considerazione la proposta, ribadita di recente dalla sinistra Ds nella sua mozione congressuale, di un "doppio turno di coalizione" (il primo su base proporzionale, caso mai con una soglia di sbarramento per correggere l'eccessiva dispersione della rappresentanza; il secondo fondato sull'assegnazione di un premio di maggioranza alla coalizione vincente).

 Più guardo all'evolversi del dibattito politico in materia di legge elettorale e più resto persuaso che questa sarebbe la soluzione che, nel modo più equilibrato, riuscirebbe a soddisfare l'esigenza di garantire a tutte le forze politiche rappresentatività insieme a quella di dare stabilità a governi fondati su coalizioni contrapposte.

 Sarebbe l'unica scelta che riuscirebbe veramente a sconfiggere chi è tentato dal desiderio di "ricostruire la Dc", ma anche a invertire il corso politico che è andato avanti in questo decennio (e che si affermerebbe irreversibilmente se i "sì" vincessero al referendum) fondato sul notabilitato e su un'idea della rappresentanza politica ridotta a coalizione non di partiti ma di una rete di personalismi e di lobbies.

 Abbiamo a sufficienza riflettuto sui campanelli d'allarme che su questi aspetti sono suonati nel corso della formazione delle liste per le elezioni regionali?
 


La Stampa - 23/03/2000

Massimo Luciani

L'importanza di scegliere e decidere

L’uscita allo scoperto di Silvio Berlusconi, che non ci si aspettava subito così esplicita, contro il sistema elettorale maggioritario cambia di molto le prospettive dell’incerto bipolarismo italiano.
Le cambia nell’immediato, perché i rapporti con Alleanza Nazionale, già corrosi dall’accordo con la Lega, saranno ancora più difficili, ma le cambia anche nel medio e lungo periodo. La porta per la ricostruzione del centro orfano della Dc, ormai, è aperta, e si tratta solo di capire se da quella porta si vorrà e si saprà davvero passare.
Gli interessi delle forze politiche hanno fatto ormai ricominciare la partita del sistema elettorale, forse più di quanto abbia potuto lo stesso referendum. Il problema, però, è che oltre a quegli interessi ci sarebbero da considerare anche i diritti degli elettori che, al di là delle diverse posizioni politiche, hanno una loro comune oggettività.
In una democrazia che vuole avere un rendimento soddisfacente, le elezioni non servono solo a scegliere i governi, ma non servono nemmeno a dare solo una rappresentazione fotografica delle opzioni ideologiche dell’elettorato. Sapere che il proprio voto servirà a decidere quale sarà la maggioranza di governo è una bella soddisfazione, ma in bocca resta un sapore molto amaro se per ottenere questo risultato si debbono scegliere "obtorto collo" candidati molto lontani dalle proprie posizioni ideali. Specularmente, scegliere candidati ideologicamente vicini fa molto piacere, ma il piacere si paga col rinvio delle scelte di governo alla dialettica partitica e con la perdita di peso del proprio voto. Se i sistemi elettorali si concepissero per soddisfare i principi del diritto costituzionale e della teoria politica, il problema starebbe tutto qui, e cioè nel dare agli elettori sia la possibilità di "decidere" che quella di "scegliere". Se fosse così, allora, l’alternativa tra proporzionale e maggioritario si potrebbe stemperare, a favore di sistemi a base proporzionale (per "scegliere"), ma con l’innesto di meccanismi di razionalizzazione come, ad esempio, il premio di maggioranza (per "decidere"). Così, però, non è, sicché il sistema elettorale che avremo (se davvero si riuscirà a cambiare l’attuale) non sarà un esercizio di buona legislazione ma, come sempre, il frutto di una dura battaglia politica.
 



 
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