Riforme Istituzionali
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L'Espresso - 13/04/2000
 
Bastasse il referendum
Occorre un maggioritario che funzioni. La cattiva difesa di un cattivo sistema non serve. Eppure Barbera e Panebianco...

di Giovanni Sartori

Finalmente sta penetrando che il sistema elettorale esco-gitato nel '94 è disastroso, che fa più danni della grandine, che proprio non funziona. Perché non funziona? I referendari sostengono che non funziona perché è un sistema misto che è ancora parzialmente proporzionale. Ma è una tesi indifendibile. Lo è a tal punto da sollevare questa curiosità: come mai venga difesa anche da persone manifestamente non stupide. La spiegazione sta, credo, nell'aggrovigliamento referendario.
In Italia nulla si muove - nel riformare il sistema politico - senza una minaccia referendaria. Ma i nostri referendum hanno due difetti: il primo è che sono mal capitanati (da Pannella), e il secondo è che sono soltanto abrogativi. Per esempio, non possono proporre un nuovo sistema elettorale; possono soltanto eliminare qualcosa del vecchio sistema. Pertanto il referendum sul quale si voterà il 21 maggio si limita a eliminare la porzione proporzionale (un quarto) del Mattarellum. Di più non può fare. Ma quel che fa, così facendo, è pressoché nulla, o forse anche peggio di nulla. Perché il referendum ci lascerebbe con un sistema maggioritario "secco", e così con il vizio fondante del sistema che ci sta disastrando.
Come ne usciamo? In un paese non stupido e non capitanato da stupidi, ne usciremmo senza problemi. I referendum abrogativi, proprio perché sono tali, richiedono, o comunque possono richiedere, leggi di attuazione conformi che ne migliorino (se occorre) l'indicazione. Nel caso del sistema elettorale, siccome è manifestamente vero che il referendum pannelliano manterrebbe il difetto costitutivo del Mattarellum, dovrebbe risultare manifestamente vero, di conseguenza, che non ha senso attuarlo con una legge fotocopia. La soluzione intelligente sarebbe, invece, di proporre una legge di attuazione atta a trasformare l'indicazione referendaria in un sistema maggioritario funzionale e funzionante. Che sappiamo benissimo (salvo stupidità o difesa di meschini interessi) quale sia o possa essere. Invece no. I nostri referendaristi si sono impuntati e si stanno incastrando nel difendere una cattiva causa - la tesi che il referendum deve essere attuato come è - con cattivi argomenti.

Il cattivo argomento più cattivo di tutti - visto che sorregge tutti gli altri - è che la responsabilità della nostra frantumazione non è del sistema elettorale e che non è, in particolare, del sistema elettorale maggioritario a un turno. Ma se si ritiene che i sistemi elettorali sono ininfluenti, allora perché chi li ritiene tali si impiccia? Chi nega l'importanza dei sistemi elettorali e poi ne combatte uno e ne difende un altro, gioca un doppio gioco, e cioè bara al gioco. Il problema è, allora, se è il maggioritario che abbiamo che produce i guasti che lamentiamo. Io ritengo di sì. E chi sostiene di no dovrebbe rispondere a questa precisa catena di quesiti: se sia vero o no che il collegio uninominale "secco" attribuisce ai partitini uno smisurato potere di ricatto, che a sua volta produce frammentazione, che a sua volta produce maggioranze di governo scollate e paralizzate. Vero o falso? Rispondere che queste asserzioni non sono vere è difficilissimo, è come negare che il sole splende. Pertanto la soluzione è di non rispondere. Divagando fuori tema.

Il fuori tema prediletto dagli evasori (del problema) è di tirare in ballo la storia. Ma nel problema che stiamo dibattendo la storia c'entra davvero poco. I sistemi elettorali sono "meccanismi" - strumenti equiparabili a macchine - che, primo, organizzano il modo di votare degli elettori e, secondo, convertono voti in seggi. E per una macchina il problema è soltanto se le sue ruote girano e se girano bene, se girano producendo il prodotto richiesto (e cioè ai fini proposti). Pertanto il quesito, qui, è soltanto se le ruote del nostro maggioritario a un turno girano servendo i fini perseguiti e che ne hanno giustificato l'adozione. A questo quesito la risposta è no, assolutamente no. E sfido chicchessia a dimostrare (senza divagare) il contrario.

Vengo ai vari argomenti - cattivi argomenti - di contorno.

Prima tesi: «Non si può tornare indietro... il proporzionale sarebbe solo un modo per tornare al passato» (Adriana Poli Bortone, già ministro per An di Berlusconi). Risposta. Tornare indietro implica che venga riproposto quel che c'era «indietro». Ma così non è. Il sistema tedesco proposto dai Forzisti è un sistema diverso da quello del passato. Nessuno, o quasi nessuno, vuole tornare al passato. Vorremmo invece uscire da un pessimo presente.

Seconda tesi: che il modello tedesco in Italia «fallirebbe». È la tesi, tra gli altri, di Augusto Barbera, che viene da lui sviluppata anche sul versante costituzionale. A quest'ultimo effetto Barbera osserva che il modello tedesco «prevede l'elezione del cancelliere da parte del Parlamento; esattamente il percorso contrario di quello intrapreso (in Italia) per i comuni e per le regioni». Embè? Fare il contrario di quel che si fa in Italia è prova di errore? Il paese sfasciato è il nostro, non la Germania. E quindi è semmai verosimile che sia l'Italia che imbocca percorsi sbagliati. Stupefacente è poi l'asserzione che da noi non funzionerebbe nemmeno il voto di sfiducia costruttiva. Perché no? Perché, spiega il Nostro, «la sfiducia costruttiva prevede che i governi cadano per un voto di sfiducia delle Camere. Da noi non succede». Sì, da noi non succede - svelo l'arcano - proprio perché non abbiamo il voto di sfiducia costruttivo. Se lo avessimo, è sicuro che i nostri governi il voto di fiducia-sfiducia lo chiederebbero sempre. Anche perché in ogni caso il capo dello Stato dovrebbe rinviare alle Camere - sarebbe un suo obbligo costituzionale - un presidente del Consiglio che si dimissiona da sé.

Sul versante elettorale, l'argomento di Barbera è che «in un sistema proporzionale per vincere bisogna raggiungere il 50 per cento dei voti più uno, e che in Italia nessun partito e nessuna coalizione lo raggiungono». Ergo, conclude trionfalmente Barbera, la governabilità non ci sarebbe, da noi, nemmeno con il sistema tedesco. Ma il discorso del 50 per cento non sta così. Nei sistemi proporzionali non esistono più numeri magici né vittorie assolute. In Germania vincere significa, per i liberali e i Verdi, superare lo sbarramento del 5 per cento. Sarebbe lo stesso in Italia; e i calcoli di Barbera ignorano il fatto che una soglia del 5 per cento (corredata, s'intende, da un divieto di alleanze) sarebbe già sufficiente a sterminare quasi tutti i nostri partitini. Consento che la sicurezza della governabilità non c'è mai; è però sicuro che la governabilità sarebbe più probabile se il numero dei partiti venisse dimezzato.

E vengo alla tesi, la terza del mio elenco, che si riassume in questa asserzione di Angelo Panebianco: che «i nostri proporzionalisti vogliono annullare il nostro sia pure imperfetto bipolarismo e farci tornare a un'epoca in cui gli accordi tra i partiti si facevano dopo le elezioni in Parlamento (e non prima delle elezioni come accade in regime maggioritario)». Non so se l'intenzione dei proporzionalisti sia davvero di annullare il bipolarismo. Se lo fosse avranno, prevedo, una vita dura. Perché il fatto è che i 12 paesi (su un totale di 15) proporzionalisti dell'Europa occidentale sono anche, al tempo stesso, bipolari. Il che dimostra che nei sistemi politici non-polarizzati una configurazione bipolare è fisiologica. Comunque, il mio contenzioso con Panebianco non è su questo punto ma sul suo paragone tra l'epoca (implicitamente immonda) nella quale gli accordi tra i partiti si facevano in Parlamento dopo le elezioni, e l'epoca (implicitamente radiosa) nella quale gli accordi si fanno prima.

Contesto, e cioè la mia lettura dei due sistemi è l'esatto rovescio della sua. Nel primo caso stiamo infatti parlando di un normale sistema parlamentare (collaudato da un secolo un po' dappertutto). Nel secondo caso abbiamo invece un sistema parlamentare "bastardo" (di italica invenzione) che ha prodotto una Repubblica fondata sul ricatto, sulle desistenze e su un commercio dei candidati che svuota il voto proprio perché lo precede. È vero che in passato il nostro sistema parlamentare era malfunzionante. Ma è ancor più vero, mi sembra, che il bastardo con il quale l'abbiamo sostituito ne costituisce un peggioramento (che ci stiamo sempre più adoperando a peggiorare).

Sia chiaro: io sono e resto per un buon maggioritario. Ma non sono - è altrettanto chiaro - per la cattiva difesa di un cattivo maggioritario.
 



 
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