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Corriere della Sera - 22/04/2000
 
Giovanni Sartori

La sinistra lo invoca, ma ci rimetterebbe

IL PARADOSSO DEL REFERENDUM

Due quesiti: primo, se sia proprio vero che la sinistra ha subito il 16 aprile una déb-acle elettorale; e, secondo, a cosa approderà, se avverrà, il referendum del 21 maggio.

Al primo quesito la risposta è no. D'Alema ha perso come leader della sinistra, ma i numeri elettorali non indicano una disfatta. D'Alema si è dimesso perché si era esposto troppo, e si era esposto troppo anche perché aveva purtroppo creduto ai sondaggi della Swg. Secondo me ha fatto bene a dimettersi anche per altre ragioni. Ma tra queste ragioni non c'è una disfatta elettorale.

Gli esiti di una elezione si misurano in voti e in seggi. In questa occasione i seggi importanti erano le presidenze regionali delle regioni maggiori. E a quest'ultimo effetto la sinistra aveva già perso il Nord (salvo la Liguria) alle precedenti elezioni amministrative anche quando Bossi sbeffeggiava Berlusconi. Figurarsi ora. Le novità sono, questa volta, che la sinistra ha perso in più, oltre all'Abruzzo, due regioni chiave, la Liguria e il Lazio, ma in meno la Campania, passata a Bassolino.

Né queste sconfitte devono essere considerate una sorpresa. Quella nel Lazio era nel novero delle possibilità, visto che nel '95 il Polo fu danneggiato dalla fronda di Rauti e che un candidato più sbiadito di Badaloni era difficile da trovare. Quanto alla Liguria, anche lì è stato ripresentato un candidato debole (tutti i sondaggi lo davano perdente), e lì si sapeva che il voto della Lega poteva essere determinante (come è stato).

Veniamo ai voti. Qui i conteggi sono controversi perché in Lombardia e in Veneto alcuni partiti si sono mescolati. Ma anche stando alla stima più bassa (quella del 18 per cento) i Ds sono pur sempre in leggera crescita rispetto alle elezioni europee del '99. Anche se è vero che il trend del voto ds dal '94 ad oggi è stato in discesa (dopo la punta massima del 25 per cento alle Regionali del '95), il fatto resta che domenica scorsa le perdite sono state di alleati minori.

In realtà i voti delle ultime amministrative sono stati sorprendentemente stabili per un elettorato che tutti i sondaggi danno come fluido e con un 30 per cento di indecisi. Sarà. Ma fatto sta che Mannheimer (Corriere del 19 aprile) dice l'esatto vero quando rileva che domenica scorsa i soli voti che hanno davvero «fluttuato» sono stati i voti radicali. Per le europee gli spot di Berlusconi avevano regalato alla Bonino un 5 per cento di voti in più. E quel regalo si è rivelato - scrive Mannheimer - un «prestito» di voti che sono tornati alla casa originaria. Dissi allora che i voti Bonino erano stati gonfiati dalle circostanze, e che la consistenza dei radicali sarebbe tornata al 2-3 per cento. Peccato che D'Alema e Veltroni siano stati di diverso avviso. Comunque sia, il dato davvero significativo è che mentre il voto radicale si dissolveva, Bossi ha mantenuto il grosso dei suoi voti ed è riuscito a traghettarlo a destra. Il che cambia tutte le prospettive. Come andremo a vedere.

Passo al tormentino, ma oramai tormentone, dei referendum di maggio. Il Polo chiede elezioni subito, mentre il centro-sinistra si arrocca sulla necessità di effettuare il referendum sul sistema elettorale (degli altri farebbe volentieri a meno) perché rivotare con il Mattarellum non avrebbe senso. Al che il Polo risponde che l'adempimento referendario è un pretesto per restare in sella. Non so, e nemmeno mi interessa sapere, se l'arroccamento di D'Alema e Veltroni sull'adempimento referendario sia pretestuoso. Perché in ogni caso il referendum rischia di essere per chi oggi lo vuole ad ogni costo una operazione suicida.

Ammettiamo, in ipotesi, che i referendum avvengano e che sul quesito elettorale vinca il sì. In tal caso restiamo con un sistema uninominale a un turno. Verrà modificato da una legge di attuazione che lo trasformi in meglio? Prevedo di no, visto che proprio Veltroni dichiara da qualche mese che il monoturno sta bene anche a lui. Nel qual caso gli deve anche star bene che il suo partito e con esso tutta la sinistra esca distrutto dalle elezioni che verranno. Come passo a dimostrare.

Con un sistema di collegi uninominali in ognuno dei quali vince il primo arrivato, stando le cose come stanno, la sinistra sparirà quasi totalmente al Nord, vincerà la Toscana e l'Emilia-Romagna, e risulterà drasticamente decimata in tutto il resto del Paese. I numeri sono all'ingrosso questi. Toscana ed Emilia daranno 61 seggi; ai quali vanno aggiunti un quarto dei seggi che spettano ai secondi vincitori o primi perdenti, e cioè 157 seggi. Togliendo ai 157 la quota della Toscana e dell'Emilia, restiamo con 142 seggi. Dunque, alla sinistra andrebbero 61 seggi più 142, eguale a 203 seggi. Arrotondiamo a 230 seggi. Al Polo ne restano 400: una maggioranza schiacciante.

Il problema non è, allora, che alle amministrative la sinistra ha fatto peggio del previsto. È che esiste oramai tra destra e sinistra un distacco di 10 punti percentuali che viene consolidato dall'apporto di Bossi e che non può in alcun modo essere compensato (anzi) dall'apporto, all'altro estremo, di Bertinotti. Dunque il problema è che mutando sistema elettorale - e cioè passando dal Tatarellum delle amministrative all'uninominale secco prefigurato dal referendum - le stesse distribuzioni di voto approdano a una distribuzione di seggi che stritola la sinistra. È davvero paradossale che il referendum veda impegnati ad oltranza coloro che rischiano di uscirne annientati.

 



 
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