In un "paese normale", la lettura del contenuto dei quesiti referendari
ed il risultato finale contrario alla loro approvazione non lascerebbero
dubbi riguardo al segno politico da dare al comportamento elettorale espresso
dagli elettori.
In Italia, invece, è sufficiente che il leader di una parte
della destra decida di saltare sul carro del vincitore soltanto dieci giorni
prima la scadenza referendaria, per trasformare, nei commenti politici,
una chiara vittoria contro dei referendum inconfutabilmente di destra e
dalla matrice fortemente antidemocratica in una vittoria politica della
destra.
Nessuno che tenti di leggere l'attualità politica alla luce
delle tendenze di lungo periodo. No, la peculiarità della politica
italiana è quella di ricordare soltanto gli ultimi cinque minuti.
Ma il primo dato che emerge dal confronto dei risultati dei quesiti
politici con le precedenti consultazioni referendarie, è che risulta
ulteriormente confermata l'inversione di tendenza già registrata
lo scorso anno, quando il quorum non fu raggiunto anche senza la "scesa
in campo" di Berlusconi.
Il quesito contro la quota proporzionale non attira più neanche
buona parte di chi vota.
Nel giro di 7 anni si è passati dai circa 29 milioni di Sì
del '93 ai 21 milioni del '99, per finire con gli 11.637.524 del 2000.
Berlusconi non ha quindi fatto altro, dieci giorni prima del voto,
che cercare di trasformare l'ormai prevedibile sconfitta della destra,
sul piano politico del contenuto dei 7 referendum che di lì a pochi
giorni sarebbero risultati sconfitti dall'astensione, in una sua vittoria
personale contro il Governo di centro-sinistra.
Gli va dato atto che c'è riuscito, ma non per merito suo, bensì
per merito di chi, nel centro-sinistra, Comunisti Italiani, DS e Democratici,
passando per gli autorevoli commentatori politici, preferisce oggi
evitare di indagare le proprie responsabilità per aver sostenuto,
invitando al voto ed invitando a votare alcuni Sì, un'iniziativa
referendaria dai contenuti antidemocratici per la quale non c'era altra
possibilità di risposta politica che un forte voto di delegittimazione
attraverso l'astensione.
Come lo scorso anno, il mancato raggiungimento del quorum è
stata la vittoria delle formichine. E' stata la vittoria delle minoranze,
politiche e sociali, che con forza si sono opposte ad una concezione autoritaria
e totalitaria delle decisioni delle maggioranze elettorali occasionali.
Senza questa opposizione dura, di fondo, in grado di far fallire la
consultazione referendaria anche soltanto per pochi punti percentuali,
il risultato sarebbe stato diverso.
Anzichè vedere Berlusconi costretto a salire sul carro dell'astensione,
per tentare di salvare i cocci di una sconfitta ormai maturata, lo avremmo
visto alla guida dello schieramento di destra per sostenere l'iniziativa
referendaria. E allora sì che Berlusconi avrebbe vinto davvero:
ma non una mera vittoria d'immagine, bensì una vittoria sui contenuti.
CO.P.A.R. – Comitato Politico per l’Astensione ai Referendum
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