Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
www.riforme.net


La Repubblica - 04/10/2000
 
La Carta europea dei diritti
una vittoria dimezzata

di Stefano Rodotà
 
Si è aperta lunedì una pagina nuova della costruzione europea, che già fa discutere, impone scelte politiche, sollecita l'opinione pubblica e la cultura. Il progetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è ormai realtà. Esce dalla "Convenzione", lo speciale organo creato per la sua redazione, ed approda alla riunione dei capi di Stato e di Governo, che la esamineranno a Biarritz il 13 ottobre.
Come giudicare la Carta? Anzitutto sfuggendo all'estremismo, e dunque senza enfasi e senza pregiudizi. Chi ha partecipato alla Convenzione, e quindi conosce le molte trappole di cui è stato disseminato il suo lavoro, è inevitabilmente portato a misurarne significato e portata avendo davanti agli occhi tutti i conservatorismi - politici, culturali, nazionali - che hanno cercato di impedire che si arrivasse alla stesura di una Carta. Questo è sicuramente un criterio assai soggettivo. Ma, quando si valuta un documento così ambizioso, non si può trascurare il contesto in cui è nato.
Il luogo e i tempi, allora. La stesura della Carta era stata affidata ad un organismo assolutamente inedito, dove per la prima volta si trovavano a lavorare insieme i rappresentati della Commissione di Bruxelles, del Parlamento europeo, di Parlamenti nazionali e dei governi. È stata così individuata una nuova dimensione istituzionale, nella quale scompariva la distanza tra le diverse realtà dell'Europa, obbligate ad un confronto continuo e ravvicinato, dove le miopie di molti governi dovevano immediatamente fare i conti con la diversa sensibilità di chi, per convinzione personale o ruolo (i parlamentari europei), è ormai convinto delle angustie d' ogni nazionalismo.
È stata, questa, una regressione rispetto alla diversa via di una assemblea costituente europea che, con ben altra evidenza davanti ai popoli, avrebbe potuto scrivere un testo tanto ambizioso? In astratto, sì. In concreto, la via costituente avrebbe significato accantonare per un tempo imprevedibile il disegno di cominciare a far entrare nella costruzione europea la dimensione dei diritti. Questo, invece, oggi è uno dei passaggi necessari per cominciare a liberare l'Europa dalle molte servitù che ne rallentano o impediscono la crescita come entità politica, come luogo di riconoscimento comune. E la Convenzione ha dato una significativa prova di efficienza: in un tempo in cui le riforme istituzionali, nazionali ed europee, hanno tempi infiniti, e spesso finiscono nel nulla, la Convenzione ha concluso i suoi lavori in soli dieci mesi. Si è così sperimentato un metodo di lavoro che molti suggeriscono di tener presente per la futura revisione dei trattati, per la definitiva messa a punto di una Costituzione europea.
In quale spazio si è mossa la Convezione? Le era stato dato un mandato assai restrittivo, che escludeva la possibilità di innovazioni e per quanto riguardava i diritti sociali ed economici, limitava addirittura la possibilità di ricorrere alle indicazioni già contenute in altri documenti europei. Molte delle critiche che potrebbero essere rivolte alla Convenzione, quindi, dovrebbero avere come bersaglio chi diede quel mandato, il Consiglio europeo, timoroso d'una vera innovazione istituzionale.
Ma quei limiti sono stati spesso forzati. Nella Carta compaiono i più importanti tra i cosiddetti nuovi diritti, quelli riguardanti la bioetica, le tecnologie dell'informazione, l'ambiente. Si cerca di disegnare un orizzonte più largo, che include la responsabilità dell'Unione europea verso altri paesi e verso le generazioni future. Naturalmente, questo non autorizza toni trionfalistici. È indubbio, però, che siamo di fronte ad una scelta per molti versi controcorrente. In un momento in cui risuonano sempre forti le parole d'ordine del liberismo, in cui si coltiva l'insofferenza per ogni regola, la Carta indica un diverso orizzonte.
Abbiamo mille volte lamentato che l'Europa fosse solo quella degli Stati e dei mercati: oggi comincia a profilarsi un'Europa dei cittadini e dei diritti. Siamo spaventati dalle teorizzazioni dell'egoismo, dalla rottura d' ogni legame sociale: nella Carta ricompare una parola aborrita, "solidarietà", e la dignità diventa il filo conduttore per la costruzione della personalità, per il riconoscimento della forza delle relazioni personali e sociali. Abbiamo letto troppe teorizzazioni che negavano ai diritti economici e sociali proprio la natura di diritti, ne facevano una categoria separata: nell'architettura della Carta vengono abbandonate le vecchie distinzioni, i diritti si presentano come indivisibili, partecipano tutti della stessa natura.
Se si perde di vista questo orizzonte, si rischia di non cogliere un'occasione importante per una rinnovata riflessione culturale e per una adeguata azione politica ed istituzionale. Non stiamo vivendo un'alta congiuntura europea, che ci autorizzerebbe ad essere esigenti, a chiedere molto. Attraversiamo una fase di difficoltà grandi, nella quale dovrebbero essere valorizzati tutti gli elementi che ci allontanano da un'idea d'Europa non solo contraddittoria con le speranze di molti, ma ormai inadeguata, come dimostra l'esperienza della Banca europea priva di un adeguato retroterra politico. La logica della costruzione europea, peraltro, è da tempo quella dei piccoli passi. E questo della Carta non mi sembra così piccolo. E, soprattutto, va nella direzione giusta.
Consapevoli di tutto questo, possiamo cogliere i limiti della Carta senza perdere di vista il cammino lungo il quale si colloca. Il giudizio d'insieme deve tener conto di diverse debolezze tecniche del testo, d'una lingua che non suscita entusiasmi, e delle lacune, visto che, ad esempio, non compare un esplicito riconoscimento dei diritti di ciascuno all'autodeterminazione, come momento essenziale dello sviluppo della personalità, o del diritto alla libertà delle scelte sessuali e procreative. Inoltre, mentre il principio di dignità risulta rafforzato grazie al riconoscimento della sua inviolabilità, il principio di eguaglianza è formulato in modo insoddisfacente, se si guarda alla ben maggiore ricchezza dell'art. 3 della nostra Costituzione (di cui proprio il confronto con alcuni articoli della Carta dovrebbe indurre a riscoprire forza e modernità, dopo gli scriteriati insulti degli ultimi quindici anni).
Il quadro dei diritti economici e sociali presenta luci ed ombre. Ma nessuno dovrebbe trascurare l'importanza del riconoscimento come diritti fondamentali (cosa mai finora avvenuta) del diritto dei lavoratori di essere informati e consultati, di non essere licenziati senza un giusto motivo, che sono oggi i diritti sottoposti alle critiche più radicali. Inoltre, la Carta contiene una clausola che già rende possibile un rafforzamento delle garanzie previste.
Rimane aperto il problema del valore della Carta, testo giuridicamente vincolante o solenne dichiarazione politica. Ma, se pure fosse scartata la prima soluzione, ovviamente quella più desiderabile, si avrebbe in ogni caso un significativo mutamento della dimensione istituzionale dell'Unione europea. Saremmo comunque di fronte ad un testo che afferma un nucleo di valori comuni, impegnativi per vecchi e nuovi membri dell'Unione. A quel testo potranno già variamente riferirsi i diversi organismi dell' Unione (Corte di Giustizia compresa). E la Carta dei diritti fondamentali diverrebbe un elemento essenziale, ineludibile, nel processo di revisione dei trattati, primo e fondamentale nucleo d'una futura costituzione europea.
La Carta non è la vittoria di chi avrebbe voluto che altre fossero le parole di questa che si presenta come la prima dichiarazione dei diritti del nuovo millennio. Ma certo è una sconfitta dell'Europa mediocre, che altrimenti di nuovo rischia d'essere prigioniera dei suoi demoni.



 
Indice "Rassegna Stampa"