Riforme Istituzionali
L'Editoriale
 
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25/02/2001
Franco Ragusa
 
La storia si ripete: il Polo "minaccia" di cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza e l'Ulivo fa finta di allarmarsi.
  
E' allarme per le intenzioni dichiarate dal Polo di procedere sulla strada delle riforme istituzionali a colpi di maggioranza.
"La presa del potere" titola oggi Curzio Maltese su Repubblica; "La Costituzione non si cambia a colpi di maggioranza" è l'invito allarmato rivolto dal Ministro Bassanini.
Un'allarme democratico più che giustificato che, però, proprio perché giustificato, mette in evidenza quanto l'Ulivo poteva fare, doveva fare, e non ha fatto.
Il pericolo, infatti, non è di oggi, ma risale alla precedente campagna elettorale. Alcuni titoli del "Corriere della sera" per ricordare il clima arroventato dell'aprile '96:
"Berlusconi e i suoi alleati escludono larghe intese sulle regole del gioco" - 4 aprile 96;
"L'Ulivo: la Costituzione non è di chi vince" - 5 aprile 96;
"Elia: ma non si modifica la Carta impugnando la spada di Brenno" - 5 aprile 96;
"E sulle riforme è scontro Polo-Ulivo. Veltroni: il giorno dopo il voto un tavolo delle regole. Fini: niente ammucchiate, c'è il 138" - 7 aprile 96.

Come è andata a finire nel '96 lo sappiamo: il Polo uscì sconfitto.
Una sconfitta, però, che anziché preludere ad una stagione democratica di riforme in grado di rafforzare i meccanismi istituzionali di garanzia e controllo, fu gestita dall'Ulivo al solo scopo di riformare in peggio e secondo l'agenda dettata dal Polo la Costituzione.
Agli smemorati di oggi, ad esempio, è forse bene ricordare che il Polo incentrò la campagna elettorale del '96 promettendo agli elettori il presidenzialismo, a colpi di maggioranza se necessario.
Bene, con buona pace del responso elettorale, nel giro di pochi mesi i lavori della Commissione Bicamerale sulle riforme si conclusero con l'approvazione di un progetto di riforma costituzionale in senso presidenziale, con un'impianto complessivo sui temi del federalismo e dei rapporti economici tipicamente di destra. Fortuna volle che il Cavaliere, non contento di aver ottenuto quasi tutto sulla giustizia, mandò in aria il tavolo delle "larghe intese".
Ciò non ha però impedito di aprire la stagione del federalismo nel modo peggiore, con l'approvazione dell'elezione diretta dei Presidenti di regione. Una legittimazione diretta, per di più rifiutata dagli elettori vista la scarsa partecipazione al voto, che viene utilizzata come una clava dai presidenti di regione per tentare d'imporre continui "strappi alle regole" alla luce del presunto mutato equilibrio tra i poteri.
Come dimenticare, poi, la disponibilità a votare la proposta di "legge Rebuffa": una sorta di "scherzo legislativo" attraverso il quale permettere lo svolgimento del referendum antiproporzionale a suo tempo bocciato dalla Consulta.
Ed è proprio sui referendum che l'Ulivo ha assunto il ruolo peggiore, lasciando infine a Forza Italia, che sino a pochi mesi prima aveva sostenuto e promosso iniziative legislative ipermaggioritarie, il merito di aver capito l'inversione in atto nel paese; un paese ormai stanco del maggioritario e degli apprendisti stregoni, a dispetto dei desideri veltroniani e dipietristi di liberarsi della presenza scomoda delle formazioni minori non allineate.
Infine, tralasciando di affrontare molti temi, l'approvazione, per il momento soltanto in prima lettura, di un progetto di federalismo che soltanto per motivi elettoralistici il Polo si è ostinato a contrastare.

Parlare quindi di "allarme democratico" è quanto mai opportuno e necessario. Con la consapevolezza, però, che siamo di fronte a due schieramenti che, vuoi per le intenzioni dichiarate e vuoi per i fatti ... allarmano entrambi!
 


 

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