Riforme Istituzionali
L'Opinione
 
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02/03/2001
 
Franco Ragusa
 
Ulivo e Polo: Riformatori con vocazione plebiscitaria
  
Dopo l'allarme per le dichiarazioni del Polo di voler procedere sulla strada delle riforme istituzionali a colpi di maggioranza, l'Ulivo ha infine votato, con soli quattro voti di scarto, in seconda lettura alla Camera, il disegno di legge costituzionale in tema di federalismo.
Sin qui, a dirla tutta, nulla di eccessivamente grave.
Ci sono circostanze nelle quali è auspicabile, anzi doveroso, ricercare il più largo consenso prima di procedere a modifiche sostanziali della Carta Costituzionale; in modo particolare quando sono in ballo le strutture portanti del patto costituzionale.
Meno doveroso è ricercare questo largo consenso laddove si rendano necessarie modifiche costituzionali e leggi ordinarie per rendere più efficaci i meccanismi di garanzia o per dare piena efficienza a norme costituzionali troppo facilmente eludibili.
Non si deve dimenticare, ad esempio, che ci sono voluti “soltanto” 22 anni per varare le norme di attuazione del referendum previste dall'art. 75 Cost.; come anche sono stati necessari 20 anni per definire  “il sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri regionali” previsto dall'ex-art. 122 della Cost.

Riguardo alla riforma federalista in votazione in queste ultime battute della legislatura, è sin troppo evidente la strumentalità dell'opposizione del Polo: il progetto di riforma, infatti, ricalca le linee guida votate a larga maggioranza in sede di Commissione Bicamerale; ed in ogni caso, non sono messi in discussione presunti diritti acquisiti delle Regioni.
Diversamente, motivi di censura potrebbero esservi proprio per i motivi opposti di quelli lamentati dal Polo: non si è infatti tenuto conto dell'altra opposizione, dell'opposizione che vede invece messa in discussione l'uniformità dei diritti di cittadinanza.
Ma qui siamo nel pieno rispetto della logica bipolare, per cui nessun problema nel cancellare le ragioni delle minoranze non allineate.

L'aspetto però più inquietante di questa polemica tra i Poli, non è tanto la dichiarata volontà di procedere a colpi di maggioranza, quanto quella di voler legittimare la loro scarsa propensione a tenere conto dei diritti delle minoranze utilizzando i meccanismi classici dei regimi plebiscitari.
Il referendum previsto dall'art. 138 Cost., da difesa dei diritti dei cittadini da parte delle opposizioni, diventa referendum confermativo per avallare l'operato di maggioranze parlamentari di parte.
Tutti lo invocano, da Berlusconi a Rutelli, ma non per contrastare le modifiche costituzionali approvate a colpi di maggioranza dalla parte avversa, secondo lo spirito dell'art. 138 Cost., bensì per dare forza al proprio operato.
Le dichiarazioni dell'Ulivo e del Polo di questi giorni sono eloquenti: "... su un tema così importante per il nostro Paese si pronuncino tutti gli elettori" è la sfida di Rutelli; "Rifaremo tutto noi", la replica di Berlusconi.
Da far cadere le braccia.
Il primo che non si fa vergogna di "recuperare" il peggior populismo di destra, invocando anch'esso, come il Fini della campagna elettorale del '96, il diritto di fare le riforme a maggioranza con il concorso, sempre secondo la limitativa logica del "prendere o lasciare", del pronunciamento popolare.
Non da meno il secondo che, per non essere scavalcato a destra, non pensa nemmeno per un istante di ricorrere al referendum previsto dall'art. 138 Cost. per contrastare i progetti di revisione costituzionali eventualmente approvati dall'Ulivo, preferendo la strada della "riscrittura" a colpi di maggioranza per poi, dopo sì, invocare il pronunciamento del "popolo".

 


 

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