Riforme Istituzionali
L'Opinione
 
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27/05/2001
 
Emilio Colombo
 
I seggi persi da Forza Italia e la volontà popolare.
  
Per quanto possa essere dolorosa per alcuni, ma anche beffarda o provvidenziale per altri, la decisione dell'Ufficio centrale nazionale in ordine ai seggi persi, per imperizia (!?), da FI è a dir poco impeccabile.

Se infatti è vero che la Costituzione (art. 56, comma 2) richiede che la Camera dei deputati sia composta di 630 membri, è altrettanto vero che la legge elettorale per la Camera dei deputati (art. 83, comma 1, lettera 2), T.U.) fissa, per la ripartizione dei seggi in ragione proporzionale, la soglia del 4% dei voti validi espressi su scala nazionale.

E' partendo da questi due limiti che deve essere ricostruito il criterio di attribuzione dei seggi spettanti alle liste di FI, mal ispirate dall'ex radicale on. E. Vito e prive di sufficienti candidati.

La legge Mattarella prevede tre metodi per la distribuzione, nell'ambito delle varie liste che abbiano ottenuto almeno il quattro per cento dei voti validi su base nazionale, dei seggi attribuiti in ragione proporzionale.

I seggi spettanti alle varie liste sono distribuiti nelle diverse circoscrizioni (art. 83, comma 1, numero 4), T.U.); quindi:
1) sono proclamati eletti i candidati della lista circoscrizionale (art. 84, comma 1, primo e secondo periodo, T.U.), fino a concorrenza dei seggi ad essa attribuiti nella circoscrizione;
2) qualora i candidati della lista circoscrizionale risultino tutti eletti, si procede alla proclamazione dei candidati uninominali collegati con la lista stessa e non risultati eletti (art. 84, comma 1, terzo e quarto periodo, T.U.);
3) nel caso in cui manchino anche candidati uninominali collegati e non eletti, i seggi ancora vacanti sono distribuiti alla stessa lista in altre circoscrizioni (art. 84, comma 1, quinto periodo, T.U.).

La legge non dice altro. Ora, l'ormai celebre regolamento d'attuazione della legge Mattarella (art. 11) prevede che i seggi eventualmente non attribuiti a una lista per insufficienza di candidati siano attribuiti alle altre liste che abbiano: a) più del 4% dei voti validi; e b) abbastanza candidati.

E' legittimo che il regolamento disciplini questo vuoto normativo? O meglio: il regolamento non si limita, piuttosto, a enunciare un principio già presente nell'ordinamento?

Abbiamo già avanzato molti dubbi sulla legittimità del regolamento d'attuazione, in particolare con riferimento alla norma che sembrerebbe consentire la presentazione di candidati uninominali con simbolo diverso da quello dell'unica lista collegata.

A questo proposito, è d'uopo sottolineare come, di tutta evidenza, in molti collegi il candidato uninominale del Polo presentato non con il simbolo "Berlusconi presidente", ma con quello della lista "per l'abolizione dello scorporo", potesse facilmente perdere quella manciata di voti utile a far vincere il candidato dell'Ulivo. Ma, come si suol dire, les jeux sont faits...

Ora, il trucchetto delle liste-civetta, gestito da improvvisati esperti delle leggi elettorali (già sabotatori, peraltro, del referendum che avrebbe reso la legge elettorale chiara, semplice e intelligibile ai più: pure a loro stessi...), ha portato la legge Mattarella a quel punto di rottura che
già, anni fa, avevamo con altri denunciato.

Ma torniamo al regolamento; o, meglio, ai principi già contenuti nell'ordinamento giuridico che esso si limita a richiamare.

La legge elettorale per il Senato, contrariamente alla legge per la Camera, contempla una norma cd. di chiusura (art. 17, comma 3, ultimo periodo, d. lgs. 20 dicembre 1993, n. 533): qualora a un gruppo spettino più seggi di quanti siano i suoi candidati, i seggi esuberanti sono distribuiti secondo l'ordine della graduatoria di quoziente (in altri termini, agli altri gruppi di candidati).

Questa norma di chiusura, evidentemente, fonda la propria legittimità nella Costituzione, che fissa il numero dei componenti del Senato della Repubblica.

Applicando per analogia lo stesso principio alla legge per l'elezione della Camera, si deve tuttavia tener conto della norma (legislativa) che rende utilizzabili soltanto i gruppi di voti di consistenza almeno eguale al 4% nazionale.

Per concludere, è il caso di ricordare che, a' termini di legge, una coalizione esiste soltanto in presenza di collegamenti effettivi tra candidati uninominali e più liste proporzionali.

E' dunque irrilevante l'argomento della volontà popolare, sollevato da FI nel disperato tentativo di rimediare al pasticcio.

A questo proposito, peraltro, ricordiamo che in occasione del referendum elettorale del 18 aprile 1999 la volontà popolare è stata vanificata da una manciata di fantasmi iscritti nelle liste elettorali.

Senza quei fantasmi, ora non ci troveremmo neppure a discutere di quei seggi persi da FI per pura idiozia.

Emilio Colombo
Marco Nardinocchi
Comitato per la difesa dei referendum elettorali e del collegio uninominale

 



 
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