Riforme Istituzionali
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La Stampa 14-03-2001
 
Il referendum sul federalismo
Un voto contro i due Poli

di Michele Ainis 

Facciamoci coraggio: c'è in vista una triplice campagna elettorale. Per le politiche? Quella è cominciata da un bel pezzo. Per le amministrative? Anche, ma non solo. Da oggi è scattato il conto alla rovescia per un referendum tutto nuovo: un sì o un no al federalismo dell'Ulivo. Contro il quale la Casa delle libertà ha appena raccolto le firme d'un centinaio di senatori, come prevede la Costituzione per le riforme varate a stretta maggioranza, ma come fin qui non era mai accaduto.

Un referendum «confermativo», che serve per l'appunto a interpellare il popolo quando la legge costituzionale non ottenga in Parlamento il quorum dei due terzi, perché in caso contrario si presume che l'ampio consenso del Palazzo rifletta un consenso altrettanto ampio del paese.

Lo strumento ha dunque una sua logica; l'applicazione, come succede non di rado alle nostre latitudini, fa invece a pugni con la logica, e anzi apre una spirale di controsensi e paradossi.

Innanzitutto perché il referendum non viene chiesto da chi vorrebbe lasciare le cose come stavano (del tipo: divorzio sì, divorzio no), bensì da chi avrebbe voluto viceversa una riforma ancora più riformatrice, un federalismo più avanzato. Come se un uomo mandasse al diavolo una donna perché gli ha dato un bacio, mentre se ne aspettava due.

In secondo luogo la prima richiesta è stata subito affiancata da un'analoga richiesta firmata dai parlamentari dell'Ulivo: cioè da quelli che hanno votato la riforma, e che hanno quindi tutto l'interesse a conservarla. Come se un uomo chiedesse una donna in sposa, dopo averla già sposata. E in terzo luogo si preannuncia un'iniziativa dello stesso segno da parte di vari consigli regionali, di destra e di sinistra; e a questo punto chi ci capisce è bravo.

L'unica cosa certa è che se il federalismo verrà rifiutato dal corpo elettorale perderanno tutti, la sinistra ma simultaneamente anche la destra. La sinistra perché la sua riforma non sarà mai promulgata. La destra perché il no al federalismo dell'Ulivo, nella logica dei costituenti, equivale a un sì al regionalismo che c'è già; e infatti per almeno sei mesi di federalismo non si potrebbe riparlare (lo vieta l'istituto della «preclusione»).

Un paradosso? Certo, ma è la conseguenza dell'uso paradossale che destra e sinistra fanno di questo referendum. E oltretutto bastano poche schede per innescare il paradosso, dato che nella fattispecie non occorre un quorum minimo di votanti. Come a dire che la riforma federale, approvata da una maggioranza risicata, potrebbe essere respinta da una risicata minoranza. Pensiamoci, appena verrà il momento: quando ci ricapita l'occasione di bocciare con un solo voto entrambi i poli?



 
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