Riforme Istituzionali
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La Stampa 23-03-2001
 
Pretesto costituzionale

di Massimo Luciani

Come era prevedibile, la Cassazione ha dichiarato la regolarità delle richieste di referendum costituzionale sulla cosiddetta riforma federale. Si tratta di vedere, ora, quando si voterà. In questi giorni vi sono state voci autorevoli che hanno contestato la possibilità tecnica di un voto il 13 maggio, contemporaneo alle elezioni politiche. Questo perché, si è detto, la Costituzione lascia tre mesi di tempo per chiedere il referendum e sarebbe impossibile indirlo prima, visto che potrebbero sopravvenire altre richieste.

Questa tesi non convince. Anzitutto, le richieste di referendum cotituzionale hanno un contenuto obbligato: sì o no alla legge costituzionale approvata dal Parlamento. Nuove richieste non aggiungerebbero e non toglierebbero nulla a quelle già presentate. In secondo luogo, la legge che disciplina la materia è molto chiara: il capo dello Stato emana il decreto di indizione del referendum entro 60 giorni dalla comunicazione della decisione della Cassazione.

Quindi il Presidente non solo non deve, ma non può attendere tre mesi. Se si volesse far presto la sovrapposizione tra elezioni politiche e voto referendario sarebbe tecnicamente possibile. Possibile, però, non significa auspicabile. Chiamare il popolo a votare, in contemporanea, sulle sorti di una legislatura e su quelle di una Costituzione non va per niente bene, perché la discussione sulla politica contingente guarda ai tempi brevi, mentre quella sulla Costituzione deve guardare ai tempi lunghi. E' tutta la vicenda di questo referendum, però, che intristisce.

Il centrodestra spara a zero su una riforma che è ben vista da molti dei suoi amministratori locali e che ha accolto moltissime delle sue richieste. Il suo auspicio è di silurarla perché fa troppo poco, sicché, inopinatamente, chiede di perdere quello che ha già ottenuto. Il centrosinistra, una volta approvata la riforma, la sottopone al voto popolare, dimenticando che il referendum costituzionale è uno strumento di garanzia delle minoranze, a tutela della Costituzione vigente.

Il referendum chiesto dalla maggioranza si chiama plebiscito, e sbalordisce che il centrosinistra legittimi una pratica che sembra tanto cara proprio al suo principale avversario. La verità è che tutti fanno un uso strumentale del dibattito sulla Costituzione, contando di guadagnare qualche voto oggi, ma senza rendersi conto che domani pagheranno (pagheremo) con gli interessi, con la perdita di dignità e di valore del patto costituzionale.



 
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