E' come se Bush avesse perduto ieri, a scoppio ritardato, un pezzo di
quella elezione che aveva strappato in novembre e aveva sbagliato a leggere
come qualcosa che non era mai stata, un mandato di restaurazione ideologica.
È stato uno yankee, un nordista del Vermont, a rimettere in
sesto la barca sbandata dal "texano" sudista che si è dovuto subito
difendere, dicendo che «l'America della strada è con me, non
con il senatore». Un senatore della destra moderata del Nord, un
repubblicano "turbato" dall'estremismo del presidente texano, è
passato all'opposizione e ha trasformato con un solo passo la maggioranza
in minoranza nel Senato. Ora, tutta la formidabile macchina legislativa
della camera alta, la presidenza dei lavori, l'agenda delle proposte di
legge, il controllo delle onnipotenti commissioni, il consenso e la scelta
dei giudici, ministri, ambasciatori passa sotto il controllo dell'opposizione
democratica. E quell'arte del compromesso centrista che Bush aveva sempre
predicato in campagna e dimenticato nella sua marcia forzata e suicida
a destra, diviene da oggi l'imperativo della sua presidenza.
Quando, ieri mattina nel suo Stato del Vermont, il senatore repubblicano
James Jeffords ha annunciato ai suoi elettori che avrebbe fatto il "salto
della quaglia" e sarebbe divenuto un "Indipendente" affiliato al gruppo
dei Democratici, l'assoluto equilibrio di volo del Senato prodotto dalle
elezioni a causa dell'arretramento dei repubblicani - 50 senatori Repubblicani,
50 Democratici, voto di spareggio assegnato al vicepresidente Cheney -
s'è ovviamente spezzato. La maggioranza dei seggi è passata
all'opposizione, che ha ora 51 senatori contro i 49 repubblicani e se queste
cifre non consegnano un mandato "di sinistra" al partito di Ted Kennedy
e di Hillary Clinton e Tom Daschle, esse sono abbastanza per ribaltare
tutta la dinamica procedurale e quindi politica del Senato.
Presidenti repubblicani di commissione già insediati dovranno
questa mattina lasciare il loro ufficio a un collega del partito opposto.
Centinaia d'assistenti, consiglieri, segretari, stagisti assunti in massa
quattro mesi or sono per fare corte attorno alla maggioranza, torneranno
a casa, rimpiazzati dai cortigiani dei nuovi padroni che si ridividono
le spoglie, come se fosse avvenuta una nuova elezione. E, soprattutto,
le proposte di legge, di incarichi, di nomine, di trattati avanzate da
Bush che ora stavano in cima alla pila di carte da sbrigare, finiscono
nel fondo, rimpiazzate da proposte, incarichi, nomine preferiti dall'opposizione.
Nulla cambia, formalmente, ma il potere procedurale di un presidente di
commissione è, nel Senato americano, assoluto. Nomine e leggi sgradite
possono restare a marcire per mesi e mesi, fino alla decomposizione, sulle
loro scrivanie.
Ma se questo è l'effetto meccanico del tradimento, è
il significato politico del suo tradimento quello sta risuonando in America
e che naturalmente avrà i suoi riverberi sul mondo. Il 66enne senatore
Jeffords non è un ideologo. La sua è una vicenda politica
grigia, educata e pallida, come lo stato yankee del Vermont, che egli rappresenta
nel nome di un moderatismo illuminato che fa eleggere presidenti democratici
ma riequilibra quel voto spesso con senatori nominalmente di destra, ma
politicamente moderati. Questa è la terra incubatrice dei Puritani,
di un'America bianca e per bene, che ha sempre rifiutato la pena di morte,
che crede nella difesa dell'ambiente coniugato con l'individualismo di
chi "lavora duro", che diffida della scuole confessionali e degli imbonitori,
preferendo l'arte difficile dell'understatement, delle cose dette a bassa
voce e fatte. E manda, unica negli Usa, anche un deputato socialista alla
Camera.
L'esatto opposto di quel che Bush ha fatto finora dalla Casa Bianca.
Basta ascoltare le parole addolorate del transfuga per capirlo. «Non
potevo più accettare una politica fiscale che regala immensi sconti
a chi ha già molto e toglie a chi non ha». «Non riuscivo
a capire perché il Presidente volesse destinare tanti fondi pubblici
a scuole private, lasciando che l'educazione pubblica andasse alla deriva.
Se le scuole pubbliche vanno in malora che facciamo, buttiamo fuori milioni
di studenti?». «Mi sentivo profondamente a disagio davanti
all'unilateralismo di una Presidenza che aveva promesso d'esser bipartigiana
ma di fatto decideva tutto da sola e poi cercava d'imporre al Congresso
le sue scelte».
Scontando pure tutte le ragioni personali, l'ebbrezza del politicante
oscuro che per un giorno prova il brivido della storia, le parole e il
gesto di questo senatore dicono chiaramente che in questi primi 120 giorni
Bush ha perduto la maggioranza in Senato (ne conserva una piccolissima,
di 6 seggi, alla Camera) per avere commesso due enormi errori, uno tattico
e uno strategico. Tatticamente, ha dimenticato di corteggiare o di spaventare
personaggi come questo Jeffords, di solito marginali ma che le circostanze
aveva reso essenziali. «Si governa facendo favori o facendo paura»
insegnava Lyndon Johnson, e George Bush non ha fatto né paura né
favori.
Ma l'errore più grave è stato strategico. È stato
credere che l'inesistenza di un vero mandato elettorale, la mancanza d'una
maggioranza popolare dietro la "vittoria accidentale" uscita per mandato
della Corte Suprema dalle urne introvabili della Florida, fosse un segnale
di via libera per lanciare iniziative sull'energia, il fisco, l'ambiente,
la scuola, la politica estera che creassero attorno a Bush quel consenso
a posteriori che a priori l'elettorato non gli aveva concesso.
Naturalmente, George Bush non sarà il primo presidente a dover
volare senza un'ala. Dal ‘68 ad oggi solo Carter e Clinton, nel ‘93'94,
ebbero Camera e Senato allineati e non furono tempo felici per l'America.
Tutti gli altri dovettero misurare la propria presidenza contro una maggioranza
ostile e temperare le proprie smanie ideologiche contro il Parlamento che
non può sfiduciare un Presidente ma può paralizzarlo. Per
fare passare leggi e iniziative e nomine, Bush dovrà dunque fare
appello direttamente alla nazione, convincerla e poi moderare le sue smanie
radicali di destra per mantenere il resto del suo volo su quella rotta
che l'elettorato aveva chiaramente indicato e che lui aveva tradito. Chi,
dall'estero, puntava su un appoggio o un'asse politica con la destra radicale
americana per giustificare rivoluzioni e restaurazioni in casa propria,
guardi all'umile e ignoto senatore yankee del Vermont e non ai proclami
ideologici del Sudista texano. Vedrà che il timone dell'America
è stabile dove è ormai da anni, saldo al centro.