Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
 
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Corriere della sera 02-11-2001
 
I rapporti tra Ciampi e Berlusconi

 IL PRESIDENTE SUPER PARTES

di Giovanni Sartori
 

Da più parti risulta che il capo dello Stato è in disagio, che non è contento della piega presa dagli eventi, ma che non ci può nulla, che può soltanto subire. Davvero? Fino a che punto? È il punto che vorrei chiarire. La premessa di rito è che un capo dello Stato è super partes , al di sopra delle parti. Sì; ma questa premessa cosa comporta? Per esempio, anche un giudice sta sopra le parti; il che non toglie che «giudichi» e mandi eventualmente in galera. Analogamente anche l’arbitro di una partita sportiva è super partes , eppure molto fischietta e molto interviene. Dunque essere sopra le parti non vuol dire «chiamarsi fuori» o praticare lo struzzismo. Vuol dire che il capo dello Stato, il giudice, l’arbitro devono essere imparziali, che non debbono parteggiare per partito preso, a priori, e così sempre per Biancobello e sempre contro Nerobrutto.
È vero, peraltro, che ogni sopra-parte deve operare secundum quid , a seconda della cosa, e quindi anche nei limiti di quel che gli è consentito o vietato di fare. Nel caso del capo dello Stato, quali sono questi limiti? Di recente ho udito due strane dottrine. La prima è che siccome in democrazia comanda la maggioranza ne conseguirebbe che il Quirinale deve sempre stare dalla parte del governo. La seconda è che un presidente «di tutti» non si può mettere contro nessuno. L’ultima è una dottrina così balorda da non meritare commenti. Quanto alla prima, mettiamo che alla tesi della minoranza che Ciampi è il presidente della Repubblica la maggioranza contrapponga la tesi che non lo è. Ciampi cosa fa? Scappa di notte, alla chetichella, dal Quirinale; oppure dichiara che la maggioranza si sbaglia, che il presidente è lui? Confido che in questo caso darebbe torto alla maggioranza e ragione alla minoranza. Dunque, il capo dello Stato ha il diritto di pensare e di «esternare» quello che pensa. Può rinunziare a farlo per motivi di opportunità. Ma quel diritto ce l’ha.
Il vincolo non si dà sulle esternazioni, sul far sapere al Paese non soltanto che il governo è bravissimo ma anche, putacaso, che non lo è (quando non lo è). Il vincolo esiste invece in materia di controfirma delle leggi debitamente approvate dal Parlamento. Su queste il presidente deve soltanto effettuare un controllo di legittimità (specialmente sulla copertura finanziaria); dopodiché la sua firma è un «atto dovuto».
Veniamo ai casi del momento. Nei suoi primi cento giorni il governo Berlusconi non si è mosso male su altri fronti, ma su quello degli interessi dobbiamo registrare un trasparente perseguimento di interessi privati in atti di ufficio: eliminazione della tassa di successione, cancellazione del falso in bilancio, impiombatura delle rogatorie internazionali, sanatoria sul rientro dei capitali illegalmente all’estero. È possibile che questi provvedimenti siano anche di interesse generale (ma non certo quello sulle rogatorie, in merito al quale Business Week scrive che «nell’adoperarsi così assiduamente nel proteggere i propri interessi Berlusconi rischia anche di promuovere quelli di Bin Laden»). Ma è sicuro che sono provvedimenti resi altamente sospetti dal fatto che provengono da chi ne beneficia. Il che viene ovviamente visto e sottolineato dai media di tutto il mondo civile. L’altro giorno Sergio Romano ha ricordato la recente offensiva anti-Berlusconi del New York Times , del già citato Business Week , dell’ Economist , della Bbc, persino dell’agenzia di stampa Reuters. Una breve lista preceduta tempo fa dalle critiche di El Paìs , di El Mundo , della Frankfurter Allgemeine Zeitung e altre autorevoli testate. Romano conferma che all’origine di queste critiche c’è il conflitto d’interessi.
Lamenta, peraltro, che la stampa estera non spieghi le buone ragioni che hanno indotto tanti italiani a votare Berlusconi. Sì; ma la spiegazione non cancella il peccato. Che fare? È chiaro che Berlusconi tira diritto con sempre maggior baldanza. Lo conferma il fatto che tra tutti i vari progetti il Cavaliere ha scelto la formula Frattini, che è - ai fini della risoluzione del problema del conflitto d’interessi - la più risibile di tutte (come ho già avuto occasione di spiegare). Né Berlusconi si lascia scuotere dall’opinione internazionale, che fronteggia con spavalderia con l’alibi di sempre: si tratta, questa volta via estero, della solita congiura ai suoi danni delle si nistre. Ma siccome così non è, temo che questa volta il Cavaliere sottovaluti troppo il mondo che lo osserva e lo giudica. Comunque sia, tra non molto le Camere avranno debitamente approvato il disegno di legge Frattini e la patata bollente arriverà sul tavolo del presidente Ciampi. Che potrà fare tre cose:
1) controfirmare e applaudire (il problema è risolto);
2) controfirmare e tacere;
3) controfirmare e dissociarsi (esternando, come può benissimo fare, le sue riserve).
Se farà la prima cosa, insulterà l’intelligenza di tutti coloro che ce l’hanno e non riuscirà lo stesso, temo, a salvare la credibilità di Berlusconi. Rischia, semmai, di danneggiare la propria. L’uscita di sicurezza è allora la seconda: firmare e zitto? Ma a parte il fatto che chi tace acconsente (così dice il detto), la partita è troppo clamorosa per poter essere chiusa con il silenzio. Vedi caso, il conflitto d’interessi di Berlusconi lo vede in primissimo luogo come un quasi-monopolista dell’informazio ne. Riassume argutamente Enzo Biagi: «Tre reti tv sono sue, ed altre tre Rai lo servono con l’intervistatore di servizio che si impegna persino a chiedere che domande intendono fargli i frequentatori dei salottini televisivi». Vedi caso, l’altro giorno è anche inopinatamente deceduta la possibile televisione concorrente di Montecarlo. Piccola cosa; ma non avere nemmeno concorrenti-pulce è sempre meglio. Aggiungi che Berlusconi ha già in tasca metà della stampa che ne ha sposato sin dall’inizio la causa, e che la restante metà non ne può ignorare i pesanti condizionamenti. Dunque, in Italia sta scomparendo un principio fondante della democrazia: la pluralità e concorrenzialità degli strumenti di formazione dell’opinione. Come può un capo dello Stato, «custode della Costituzione», far finta di niente e lasciar passare senza fiatare un fatto di tanta gravità? Io spero, allora, che il presidente Ciampi dica esplicitamente che firma come atto dovuto, ma che lui non avalla. Questa esternazione è un suo diritto. Mi auguro che se ne avvalga.
 
Corriere della sera 03-11-2001
 
Il Quirinale e il conflitto di interessi Confronto tra Sartori e Baldassarre

MILANO - Il capo dello Stato potrebbe firmare una legge, come quella sul conflitto di interessi prospettata dal governo, e allo stesso tempo manifestare il proprio dissenso? Lo scenario, avanzato dal politologo Giovanni Sartori sul Corriere di ieri, fa discutere. Il giurista Antonio Baldassarre, ad esempio, esclude che ciò possa accadere. «Se il presidente della Repubblica promulga una legge - sostiene il presidente emerito della Corte Costituzionale - lo fa perché ritiene che non ci siano vizi di costituzionalità. E se non sussistono eccezioni di costituzionalità, dunque, il capo dello Stato non può prima promulgare e poi avanzare riserve. Se lo facesse cadrebbe egli stesso in una grave forma di incostituzionalità». Ribatte il professor Sartori: «Baldassarre mi attribuisce una tesi che non ho sostenuto e poi la demolisce. Non ho mai detto che il capo dello Stato debba prima promulgare la legge e poi avanzare riserve, ma che ne ha il diritto. Sul prima e sul dopo non sono intervenuto, anche se implicitamente ritengo che debba farlo prima. Volevo solo sostenere che il presidente della Repubblica non è un muto e può esternare quando ritiene sia opportuno».
A giudizio di Baldassarre il capo dello Stato potrebbe piuttosto «esprimere un veto sospensivo e inviare un messaggio al Parlamento. Se però le Camere approvassero nuovamente la legge a maggioranza assoluta, il presidente sarebbe costretto a promulgare il provvedimento». «Tante grazie - replica Sartori - Sappiamo che la Casa delle libertà ha la maggioranza in questo Parlamento. Sarebbe un modo di procedere perfettamente inutile». Aggiunge il politologo: «All’articolo 87 della Costituzione è scritto che "il presidente della Repubblica autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del governo". Vuole dire che ha facoltà di autorizzare o meno. Mi chiedo: che cosa succederebbe se il presidente non autorizzasse il progetto sul conflitto d’interessi?».



 
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