IL PRESIDENTE SUPER PARTES
di Giovanni Sartori
Da più parti risulta che il capo dello
Stato è in disagio, che non è contento della piega presa
dagli eventi, ma che non ci può nulla, che può soltanto subire.
Davvero? Fino a che punto? È il punto che vorrei chiarire. La premessa
di rito è che un capo dello Stato è super partes ,
al di sopra delle parti. Sì; ma questa premessa cosa comporta? Per
esempio, anche un giudice sta sopra le parti; il che non toglie che «giudichi»
e mandi eventualmente in galera. Analogamente anche l’arbitro di una partita
sportiva è super partes , eppure molto fischietta e molto
interviene. Dunque essere sopra le parti non vuol dire «chiamarsi
fuori» o praticare lo struzzismo. Vuol dire che il capo dello Stato,
il giudice, l’arbitro devono essere imparziali, che non debbono parteggiare
per partito preso, a priori, e così sempre per Biancobello e sempre
contro Nerobrutto.
È vero, peraltro, che ogni sopra-parte
deve operare secundum quid , a seconda della cosa, e quindi anche
nei limiti di quel che gli è consentito o vietato di fare. Nel caso
del capo dello Stato, quali sono questi limiti? Di recente ho udito due
strane dottrine. La prima è che siccome in democrazia comanda la
maggioranza ne conseguirebbe che il Quirinale deve sempre stare dalla parte
del governo. La seconda è che un presidente «di tutti»
non si può mettere contro nessuno. L’ultima è una dottrina
così balorda da non meritare commenti. Quanto alla prima, mettiamo
che alla tesi della minoranza che Ciampi è il presidente della Repubblica
la maggioranza contrapponga la tesi che non lo è. Ciampi cosa fa?
Scappa di notte, alla chetichella, dal Quirinale; oppure dichiara che la
maggioranza si sbaglia, che il presidente è lui? Confido che in
questo caso darebbe torto alla maggioranza e ragione alla minoranza. Dunque,
il capo dello Stato ha il diritto di pensare e di «esternare»
quello che pensa. Può rinunziare a farlo per motivi di opportunità.
Ma quel diritto ce l’ha.
Il vincolo non si dà sulle esternazioni,
sul far sapere al Paese non soltanto che il governo è bravissimo
ma anche, putacaso, che non lo è (quando non lo è). Il vincolo
esiste invece in materia di controfirma delle leggi debitamente approvate
dal Parlamento. Su queste il presidente deve soltanto effettuare un controllo
di legittimità (specialmente sulla copertura finanziaria); dopodiché
la sua firma è un «atto dovuto».
Veniamo ai casi del momento. Nei suoi primi cento
giorni il governo Berlusconi non si è mosso male su altri fronti,
ma su quello degli interessi dobbiamo registrare un trasparente perseguimento
di interessi privati in atti di ufficio: eliminazione della tassa di successione,
cancellazione del falso in bilancio, impiombatura delle rogatorie internazionali,
sanatoria sul rientro dei capitali illegalmente all’estero. È possibile
che questi provvedimenti siano anche di interesse generale (ma non certo
quello sulle rogatorie, in merito al quale Business Week scrive
che «nell’adoperarsi così assiduamente nel proteggere i propri
interessi Berlusconi rischia anche di promuovere quelli di Bin Laden»).
Ma è sicuro che sono provvedimenti resi altamente sospetti dal fatto
che provengono da chi ne beneficia. Il che viene ovviamente visto e sottolineato
dai media di tutto il mondo civile. L’altro giorno Sergio Romano ha ricordato
la recente offensiva anti-Berlusconi del New York Times , del già
citato Business Week , dell’ Economist , della Bbc, persino
dell’agenzia di stampa Reuters. Una breve lista preceduta tempo fa dalle
critiche di El Paìs , di El Mundo , della Frankfurter
Allgemeine Zeitung e altre autorevoli testate. Romano conferma che
all’origine di queste critiche c’è il conflitto d’interessi.
Lamenta, peraltro, che la stampa estera non spieghi
le buone ragioni che hanno indotto tanti italiani a votare Berlusconi.
Sì; ma la spiegazione non cancella il peccato. Che fare? È
chiaro che Berlusconi tira diritto con sempre maggior baldanza. Lo conferma
il fatto che tra tutti i vari progetti il Cavaliere ha scelto la formula
Frattini, che è - ai fini della risoluzione del problema del conflitto
d’interessi - la più risibile di tutte (come ho già avuto
occasione di spiegare). Né Berlusconi si lascia scuotere dall’opinione
internazionale, che fronteggia con spavalderia con l’alibi di sempre: si
tratta, questa volta via estero, della solita congiura ai suoi danni delle
si nistre. Ma siccome così non è, temo che questa volta il
Cavaliere sottovaluti troppo il mondo che lo osserva e lo giudica. Comunque
sia, tra non molto le Camere avranno debitamente approvato il disegno di
legge Frattini e la patata bollente arriverà sul tavolo del presidente
Ciampi. Che potrà fare tre cose:
1) controfirmare e applaudire (il problema è
risolto);
2) controfirmare e tacere;
3) controfirmare e dissociarsi (esternando, come
può benissimo fare, le sue riserve).
Se farà la prima cosa, insulterà
l’intelligenza di tutti coloro che ce l’hanno e non riuscirà lo
stesso, temo, a salvare la credibilità di Berlusconi. Rischia, semmai,
di danneggiare la propria. L’uscita di sicurezza è allora la seconda:
firmare e zitto? Ma a parte il fatto che chi tace acconsente (così
dice il detto), la partita è troppo clamorosa per poter essere chiusa
con il silenzio. Vedi caso, il conflitto d’interessi di Berlusconi lo vede
in primissimo luogo come un quasi-monopolista dell’informazio ne. Riassume
argutamente Enzo Biagi: «Tre reti tv sono sue, ed altre tre Rai lo
servono con l’intervistatore di servizio che si impegna persino a chiedere
che domande intendono fargli i frequentatori dei salottini televisivi».
Vedi caso, l’altro giorno è anche inopinatamente deceduta la possibile
televisione concorrente di Montecarlo. Piccola cosa; ma non avere nemmeno
concorrenti-pulce è sempre meglio. Aggiungi che Berlusconi ha già
in tasca metà della stampa che ne ha sposato sin dall’inizio la
causa, e che la restante metà non ne può ignorare i pesanti
condizionamenti. Dunque, in Italia sta scomparendo un principio fondante
della democrazia: la pluralità e concorrenzialità degli strumenti
di formazione dell’opinione. Come può un capo dello Stato, «custode
della Costituzione», far finta di niente e lasciar passare senza
fiatare un fatto di tanta gravità? Io spero, allora, che il presidente
Ciampi dica esplicitamente che firma come atto dovuto, ma che lui non avalla.
Questa esternazione è un suo diritto. Mi auguro che se ne avvalga.
Corriere della sera
03-11-2001
Il Quirinale e il conflitto di interessi Confronto
tra Sartori e Baldassarre
MILANO - Il capo dello Stato potrebbe firmare
una legge, come quella sul conflitto di interessi prospettata dal governo,
e allo stesso tempo manifestare il proprio dissenso? Lo scenario, avanzato
dal politologo Giovanni Sartori sul Corriere di ieri, fa discutere.
Il giurista Antonio Baldassarre, ad esempio, esclude che ciò possa
accadere. «Se il presidente della Repubblica promulga una legge -
sostiene il presidente emerito della Corte Costituzionale - lo fa perché
ritiene che non ci siano vizi di costituzionalità. E se non sussistono
eccezioni di costituzionalità, dunque, il capo dello Stato non può
prima promulgare e poi avanzare riserve. Se lo facesse cadrebbe egli stesso
in una grave forma di incostituzionalità». Ribatte il professor
Sartori: «Baldassarre mi attribuisce una tesi che non ho sostenuto
e poi la demolisce. Non ho mai detto che il capo dello Stato debba prima
promulgare la legge e poi avanzare riserve, ma che ne ha il diritto. Sul
prima e sul dopo non sono intervenuto, anche se implicitamente ritengo
che debba farlo prima. Volevo solo sostenere che il presidente della Repubblica
non è un muto e può esternare quando ritiene sia opportuno».
A giudizio di Baldassarre il capo dello Stato
potrebbe piuttosto «esprimere un veto sospensivo e inviare un messaggio
al Parlamento. Se però le Camere approvassero nuovamente la legge
a maggioranza assoluta, il presidente sarebbe costretto a promulgare il
provvedimento». «Tante grazie - replica Sartori - Sappiamo
che la Casa delle libertà ha la maggioranza in questo Parlamento.
Sarebbe un modo di procedere perfettamente inutile». Aggiunge il
politologo: «All’articolo 87 della Costituzione è scritto
che "il presidente della Repubblica autorizza la presentazione alle Camere
dei disegni di legge di iniziativa del governo". Vuole dire che ha facoltà
di autorizzare o meno. Mi chiedo: che cosa succederebbe se il presidente
non autorizzasse il progetto sul conflitto d’interessi?».