Riforme Istituzionali
L'Opinione
 
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17/01/2002
 
Franco Ragusa
 
Reintroduzione dell'autorizzazione a procedere: sì, ma "responsabile"

Il vicepresidente del CSM Verde ha precisato meglio i termini della sua proposta di reintroduzione del vecchio istituto dell'autorizzazione a procedere: si tratterebbe, in fondo, di dare ai parlamentari quelle stesse garanzie d'indipendenza di cui oggi gode la magistratura nei confronti del potere politico.
Siamo ben oltre, quindi, la semplice presa d'atto di una situazione di crisi istituzionale rispetto alla quale sembrerebbe giunto il momento di scegliere il male minore.
No. Per Verde si tratta di restituire alla politica il medesimo principio di inamovibilità, di cui godono i magistrati, laddove si potrebbero verificare casi di uso strumentale della giustizia da parte del potere giudiziario.
Formalmente, nulla di cui scandalizzarsi. Di fatto, però, l'ennesima riproposizione di un principio per il quale qualsiasi maggioranza politica potrebbe essere messa nelle condizioni d'interferire con l'attività giudiziaria per difendere propri specifici interessi.
Come coniugare, allora, l'esigenza di tutelare i parlamentari dall'uso strumentale e politico della giustizia, con quella, altrettanto rilevante, d'impedire che i politici possano commettere reati e rimanere impuniti perché non processabili?
 
Una soluzione potrebbe essere quella di scrivere in Costituzione, a chiare lettere, che le Camere possono negare l'autorizzazione a procedere nei soli casi di "fumus persecutionis" nei confronti dei propri appartenenti.
Ciò contribuirebbe a fare un minimo di chiarezza anche fra i meno esperti della materia: troppo spesso, infatti, anche nell'opinione pubblica, nei giudizi sulle inchieste riguardanti i politici sembrano prevalere più le ragioni di opportunità che quelle legate al banale principio che "la legge è uguale per tutti".
Banale principio della "legge uguale per tutti" che dovrebbe essere rispettato, nel bene e nel male, in modo particolare da parte di chi fa le leggi. Non è infrequente il caso, invece, di sentire i nostri governanti sorprendersi per il trattamento subito: ciò che per i comuni cittadini è più che sufficiente per elevare le imputazioni e per far scattare gli eventuali provvedimenti di privazione della libertà, diventa improvvisamente troppo eccessivo quando ad essere chiamati a rispondere del rispetto delle leggi, con tutto ciò che ne consegue, sono gli stessi parlamentari che sino a poco tempo prima le avevano condivise.
In tal senso, si potrebbe ricordare il comportamento di tutta la classe politica della Prima Repubblica: nulla da rimproverarsi di fronte agli eccessi repressivi consumati nei confronti di presunti terroristi, tossicodipendenti e piccola criminalità; assalto ai giudici quando gli stessi metodi sono stati usati nei confronti d'imputati dalle "mani pulite". A maggior conferma, tornando ai giorni nostri, si guardi l'atteggiamento del Governo italiano nei confronti del mandato di cattura europeo. Nessuna preoccupazione di tipo garantista, nell'applicazione del mandato di cattura europea, per i reati tipo pedofilia o terrorismo; massima preoccupazione per la deriva forcaiola europea (forcolandia), invece, per le imputazioni relative a reati di tipo finanziario.
 
Ma anche scrivendo a chiare lettere i limiti che le Camere dovrebbero osservare per decidere se concedere o no l'autorizzazione a procedere, come garantire l'osservanza di detti limiti?
A fondamento dell'istituto dell'autorizzazione a procedere non può che esservi l'insindacabilità delle decisioni del Parlamento. In altre parole, se oggi si decidesse di tornare al vecchio art. 68 della Costituzione, con anche scritto nero su bianco i limiti che il Parlamento dovrebbe osservare, a garanzia della corretta applicazione dell'istituto dell'autorizzazione a procedere vi sarebbe soltanto una mera responsabilità di tipo politico.
Troppo, troppo, poco!
Prudenza e onestà intellettuale consiglierebbero di lasciar perdere; ma ben sapendo che certi "stimoli" non arrivano mai senza lasciare il segno, conviene accettare sino in fondo la provocazione, la reintroduzione di un istituto che oggi arriverebbe in soccorso dei guai giudiziari di alcuni esponenti di "spicco" dell'attuale maggioranza parlamentare di governo, rilanciando in maniera ancor più provocatoria ponendo tutti di fronte alle inevitabili conseguenze di tale scelta.

Se vale il principio che i procedimenti penali a carico dei parlamentari possono essere sospesi, a giudizio della Camera di appartenenza, per l'evidente intento persecutorio dell'azione giudiziaria che li riguarda, deve valere anche il principio della corrispondente responsabilità dei magistrati. L'invocata immunità parlamentare per questioni di illiceità del comportamento dei magistrati non potrebbe rimanere senza conseguenze: vuoi perché sarebbe legittimo, per i magistrati stessi, difendere la liceità dei propri comportamenti; e vuoi perché il principio prima richiamato, "la legge è uguale per tutti", deve valere anche per i magistrati che, nell'ipotesi, si sarebbero macchiati di gravi reati.

Si preveda, quindi, sempre a chiare lettere, quali procedimenti di accertamento delle responsabilità dei magistrati dovranno aver luogo a seguito delle negate autorizzazioni a procedere, e quali gli organi competenti chiamati a giudicare.
Certo, anche così non si potrebbe evitare l'assoluzione per tutti, politici prima e magistrati dopo; ma quanto meno, anche senza conseguenze penali, l'essere in qualche modo costretti ad entrare nel merito dovrebbe rendere più evidenti, agli occhi di chi vota, ogni singola responsabilità.
 


 
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