Il vicepresidente del CSM Verde ha precisato meglio i termini della
sua proposta di reintroduzione del vecchio istituto dell'autorizzazione
a procedere: si tratterebbe, in fondo, di dare ai parlamentari quelle stesse
garanzie d'indipendenza di cui oggi gode la magistratura nei confronti
del potere politico.
Siamo ben oltre, quindi, la semplice presa d'atto di una situazione
di crisi istituzionale rispetto alla quale sembrerebbe giunto il momento
di scegliere il male minore.
No. Per Verde si tratta di restituire alla politica il medesimo principio
di inamovibilità, di cui godono i magistrati, laddove si potrebbero
verificare casi di uso strumentale della giustizia da parte del potere
giudiziario.
Formalmente, nulla di cui scandalizzarsi. Di fatto, però, l'ennesima
riproposizione di un principio per il quale qualsiasi maggioranza politica
potrebbe essere messa nelle condizioni d'interferire con l'attività
giudiziaria per difendere propri specifici interessi.
Come coniugare, allora, l'esigenza di tutelare i parlamentari dall'uso
strumentale e politico della giustizia, con quella, altrettanto rilevante,
d'impedire che i politici possano commettere reati e rimanere impuniti
perché non processabili?
Una soluzione potrebbe essere quella di scrivere in Costituzione, a
chiare lettere, che le Camere possono negare l'autorizzazione a procedere
nei soli casi di "fumus persecutionis" nei confronti dei propri appartenenti.
Ciò contribuirebbe a fare un minimo di chiarezza anche fra i
meno esperti della materia: troppo spesso, infatti, anche nell'opinione
pubblica, nei giudizi sulle inchieste riguardanti i politici sembrano prevalere
più le ragioni di opportunità che quelle legate al banale
principio che "la legge è uguale per tutti".
Banale principio della "legge uguale per tutti" che dovrebbe essere
rispettato, nel bene e nel male, in modo particolare da parte di chi fa
le leggi. Non è infrequente il caso, invece, di sentire i nostri
governanti sorprendersi per il trattamento subito: ciò che per i
comuni cittadini è più che sufficiente per elevare le imputazioni
e per far scattare gli eventuali provvedimenti di privazione della libertà,
diventa improvvisamente troppo eccessivo quando ad essere chiamati a rispondere
del rispetto delle leggi, con tutto ciò che ne consegue, sono gli
stessi parlamentari che sino a poco tempo prima le avevano condivise.
In tal senso, si potrebbe ricordare il comportamento di tutta la classe
politica della Prima Repubblica: nulla da rimproverarsi di fronte agli
eccessi repressivi consumati nei confronti di presunti terroristi, tossicodipendenti
e piccola criminalità; assalto ai giudici quando gli stessi metodi
sono stati usati nei confronti d'imputati dalle "mani pulite". A maggior
conferma, tornando ai giorni nostri, si guardi l'atteggiamento del Governo
italiano nei confronti del mandato di cattura europeo. Nessuna preoccupazione
di tipo garantista, nell'applicazione del mandato di cattura europea, per
i reati tipo pedofilia o terrorismo; massima preoccupazione per la deriva
forcaiola europea (forcolandia), invece, per le imputazioni relative a
reati di tipo finanziario.
Ma anche scrivendo a chiare lettere i limiti che le Camere dovrebbero
osservare per decidere se concedere o no l'autorizzazione a procedere,
come garantire l'osservanza di detti limiti?
A fondamento dell'istituto dell'autorizzazione a procedere non può
che esservi l'insindacabilità delle decisioni del Parlamento. In
altre parole, se oggi si decidesse di tornare al vecchio art. 68 della
Costituzione, con anche scritto nero su bianco i limiti che il Parlamento
dovrebbe osservare, a garanzia della corretta applicazione dell'istituto
dell'autorizzazione a procedere vi sarebbe soltanto una mera responsabilità
di tipo politico.
Troppo, troppo, poco!
Prudenza e onestà intellettuale consiglierebbero di lasciar
perdere; ma ben sapendo che certi "stimoli" non arrivano mai senza lasciare
il segno, conviene accettare sino in fondo la provocazione, la reintroduzione
di un istituto che oggi arriverebbe in soccorso dei guai giudiziari di
alcuni esponenti di "spicco" dell'attuale maggioranza parlamentare di governo,
rilanciando in maniera ancor più provocatoria ponendo tutti di fronte
alle inevitabili conseguenze di tale scelta.
Se vale il principio che i procedimenti penali a carico dei parlamentari possono essere sospesi, a giudizio della Camera di appartenenza, per l'evidente intento persecutorio dell'azione giudiziaria che li riguarda, deve valere anche il principio della corrispondente responsabilità dei magistrati. L'invocata immunità parlamentare per questioni di illiceità del comportamento dei magistrati non potrebbe rimanere senza conseguenze: vuoi perché sarebbe legittimo, per i magistrati stessi, difendere la liceità dei propri comportamenti; e vuoi perché il principio prima richiamato, "la legge è uguale per tutti", deve valere anche per i magistrati che, nell'ipotesi, si sarebbero macchiati di gravi reati.
Si preveda, quindi, sempre a chiare lettere, quali procedimenti di accertamento
delle responsabilità dei magistrati dovranno aver luogo a seguito
delle negate autorizzazioni a procedere, e quali gli organi competenti
chiamati a giudicare.
Certo, anche così non si potrebbe evitare l'assoluzione per
tutti, politici prima e magistrati dopo; ma quanto meno, anche senza conseguenze
penali, l'essere in qualche modo costretti ad entrare nel merito dovrebbe
rendere più evidenti, agli occhi di chi vota, ogni singola responsabilità.