Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Corriere della sera 20-07-2002

 
Ma la proposta mette in imbarazzo la sinistra, rispuntano i «presidenzialisti»
 
Gianni Fregonara
 
 
ROMA - Il socialista Roberto Villetti la vede in modo un po’ tragico: «Non possiamo certo pensare che basti stenderci sui binari per fermare il treno berlusconiano, saremmo travolti». Raccontano che Arturo Parisi, vicepresidente della Margherita, avesse previsto già qualche tempo fa che l’idea di rilanciare la stagione delle riforme fosse l’unica mossa sensata di Berlusconi «per ricompattare la maggioranza e per spiazzarci». Perché nell’ironia con cui nel centrosinistra viene accolta la nuova mossa del premier, nell’insistere che è tutta una questione mediatica per nascondere i problemi nella maggioranza, si nasconde anche un certo imbarazzo: sulla riforma presidenziale non tutti la pensano allo stesso modo, sulle riforme istituzionali non c’è un accordo e il programma elettorale «lo abbiamo fatto apposta un po’ generico su questo punto», come spiega Paolo Gentiloni della Margherita.

E dunque non basta fare previsioni poco fauste per Berlusconi, come spiega il capogruppo dei Ds Luciano Violante: «Già è stato dimostrato che uno fa le riforme per essere favorito, rischia che il risultato sia negativo». L’ex presidente della Camera pensa a Mitterrand che fece cambiare la legge elettorale e a Jacques Chirac che provocò le elezioni anticipate e le perse. E’ più realista il dalemiano Peppino Caldarola che teme: «rischiamo di nuovo di farci trovare impreparati». E non a caso il coordinatore dei Ds Vannino Chiti, mentre i leader del partito sono impegnati a demolire Berlusconi, fa sapere alle agenzie che la Quercia ha ancora un suo modello istituzionale preferito che è il «governo del premier», una copia del sistema spagnolo o di quello tedesco.
In realtà durante la Bicamerale, lo corregge Caldarola, «dopo l’imboscata della Lega che bocciò il nostro progetto, decidemmo di votare il semipresidenzialismo alla francese, e anche per questo adesso sarà difficile gestire questo passaggio». Perché soltanto il «governo del premier» è quello che può tenere insieme tutto il partito. Con buona pace di quanti preferivano il presidenzialismo. A partire da Valdo Spini («ma io non rinnego la mia posizione») fino a Cesare Salvi che ha già cambiato idea qualche mese fa, sposando la proposta di legge di Nicola Mancino (Margherita) per introdurre il cancellierato.
Se nella scorsa legislatura, Massimo D’Alema, presidente della Bicamerale, accettò di appoggiare il sistema francese, oggi Luciano Violante frena. Tanto per cominciare nessuno si metta in mente di fare commissioni ad hoc per gestire le riforme: «Se ne parla in quella degli Affari Costituzionali». Anche se, aggiunge il capogruppo dei Ds, «non mi sembra che adesso questa sia una priorità. Il presidenzialismo alla francese era pensato per rispondere alla necessità di stabilità del sistema: oggi il nostro sistema è stabile, dunque non vedo perché insistere a cambiare».
Insomma, avanti adagio, perché altrimenti la coalizione rischia nuovi scossoni. Non sono soltanto i socialisti a mantenere la bandiera del sistema presidenziale (lo vollero ai tempi di Craxi, lo votarono in Bicamerale). Certo oggi c’è un buon motivo per andare cauti che nel centrosinistra unisce anche chi la pensa in modo diverso: il conflitto di interessi. «Questo passaggio dell’elezione di Berlusconi al Quirinale non sarebbe altro che l’ultimo passaggio verso una repubblica sudamericana», insistono i diessini del correntone, la minoranza anti Fassino.
Eppure l’opposizione intransigente al progetto della Casa delle Libertà non è considerata da tutti una tattica adeguata: «Se si parla di riforme in modo vero e serio non resta che sederci al tavolo», spiega Gentiloni, braccio destro di Francesco Rutelli. E non è un caso che metta le mani avanti: «Io sono per non fare crociate contro il presidenzialismo. Non condivido che si parli di rischi peronismo solo perché c’è questo centrodestra». Non è il solo Gentiloni a temere che una battaglia frontale contro le riforme non faccia altro che dare nuovi elementi di propaganda alla maggioranza. Ma certo anche nella Margherita gli ex democristiani non vogliono sentir parlare di presidenzialismo in nessuna variante, mentre Rutelli e Parisi non sono «pregiudizialmente contrari».
Ma non riemerge soltanto la contraddizione tra presidenzialisti e non. La proposta berlusconiana ridà fiato al variegato partito del proporzionale, nella maggioranza come nell’opposizione. Partito trasversale che nel Polo ha il suo profeta in Rocco Buttiglione, ma raccoglie consensi anche nella Lega e in parte di Forza Italia, e nel centrosinistra va da Mastella a Salvi, da Rifondazione ad un buon pezzo di Margherita. «Credo che se riusciremo a introdurre il sistema presidenziale, sarà accettabile il sistema elettorale attualmente in vigore nelle regioni», che è proporzionale di coalizione, propone il ministro Giuliano Urbani, esperto di questioni istituzionali. Nella maggioranza c’è chi pensa che sia meglio soprassedere, «altrimenti non faremo nulla».
La questione nell’opposizione è aperta. Per non parlare della più lontana ma non meno difficile scelta: chi sarà lo sfidante di Berlusconi? Prodi, Amato... la lista nel centrosinistra è già lunga.


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