Presidenzialismo e colpi di teatro
Giovanni Sartori
Il Cavaliere ama i colpi di teatro. È
un’arte di cui è maestro (e anche allievo). E così ieri l’altro,
di punto in bianco, passeggiando su e giù per il Transatlantico
di Montecitorio, ha dichiarato che occorre passare a un sistema presidenziale
e che lui è pronto a sacrificarsi. Ha detto proprio così:
«Se passa la riforma presidenziale francese o americana, sarebbe
naturale che io mi presentassi come candidato alla presidenza della Repubblica,
ma lo farei con sacrificio». Si tratta di un sacrificio balneare,
annunziato soltanto per vivacizzare l’estate, oppure di un sacrificio da
prendere sul serio? Secondo me, è da prendere sul serio. Intanto,
covava da tempo. E poi questa volta è stato progettato da un think
tank (un pensatoio) detto «Officina» che si è riunito
per vari mesi. In verità, di pensatori in grado di pensare quel
pensatoio ne ha pochi, al massimo un paio. Ma questa circostanza lo rende
particolarmente temibile.
Vedremo. Ci sarà tempo. Al momento restiamo
all’esordio. Un esordio che è stato davvero singolare. Una riforma
di tipo presidenziale è una riforma che rivoluziona da capo a fondo
il nostro sistema costituzionale. È una cosa molto seria, che dovrebbe
essere ben meditata. Inoltre, non deve essere un vestito fatto su misura,
fatto apposta, per un particolare candidato. Invece Berlusconi non cerca
nemmeno di nascondere che il presidenzialismo serve a lui, che dev’essere
fatto per lui. Non so se questa sia megalomania, ma certo è malagrazia.
Una seconda osservazione è che dopo tanti
anni (dal 1994) di toccate e fughe sul presidenzialismo Berlusconi e il
suo pensatoio dovrebbero finalmente avere idee chiare. Eppure no. Berlusconi
lascia intendere che per lui il presidenzialismo all’americana e il semi-presidenzialismo
alla francese vanno entrambi bene, come se fossero formule interscambiabili.
Invece si somigliano quanto io somiglio a Marilyn Monroe (ammetto di esagerare,
ma è per vedere se la differenza penetra). Può darsi che
a Berlusconi riesca di fare il satrapo in entrambi i casi (dopotutto, ci
riesce anche con un sistema parlamentare). Ma per i suoi successori (si
spera che ne avrà) non sarà così. Per i suoi successori
un presidenzialismo di tipo Usa sarebbe pessimo.
Una terza osservazione è che il pensatoio
berlusconiano non sa rinunciare ai pastrocchi all’italiana. I cervelloni
del Cavaliere ci propongono, come sistema elettorale del presidenzialismo,
il Tatarellum, e cioè il sistema adottato per le nostre elezioni
regionali. E il Tatarellum è un sistema proporzionale con premio
di maggioranza il cui maggior pregio è, appunto, di essere un pastrocchio.
Senza contare che la letteratura è pressoché unanime nel
ritenere che nessun presidenzialismo è avvantaggiato dall’adozione
del proporzionale. La Francia adopera il doppio turno, gli Stati Uniti
l’uninominale. I presidenzialismi proporzionalisti sono quelli sudamericani,
e cioè quelli che funzionano peggio.
Ma se la subitanea scesa in campo presidenzialista
di Berlusconi non convince, la reazione dell’opposizione convince ancora
meno. E’ evidente che la sinistra è stata presa in contropiede.
Il che non toglie che la sua reazione sia stata scomposta, oscillante fra
l’inconcludente e il rabbioso. La sinistra deve capire che non può
urlare al lupo ogni giorno e su tutto. Sarà anche vero che Berlusconi
ha cercato un diversivo (Castagnetti); ma la sinistra non può dimenticare
di aver votato, in Bicamerale, il semi-presidenzialismo alla francese.
Se andava bene allora, perché ora non va più bene? Questo
è il punto da spiegare. La risposta è che allora Berlusconi
non aveva ancora conquistato la Rai, e che il suo strapotere non era ancora
stato rinforzato dal disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi.
Questo è il problema. Un problema che è sempre più
tale anche per il Quirinale. Che si è trovato sull’uscio (pare senza
preavviso) una bella polpetta avvelenata.