Messaggio alle Camere: una legge contro le
posizioni dominanti, vigilanza sulla tv privata, ruolo centrale per la
Rai
Marzio Breda
Serve «una legge di sistema», che
regoli «l'intera materia delle comunicazioni, delle radiotelediffusioni,
dell'editoria di giornali e periodici e dei rapporti tra questi mezzi».
Serve un impianto strutturale normativo a «garanzia del pluralismo
e dell'imparzialità nell'informazione», che sono a loro volta
«strumento essenziale per realizzare una democrazia compiuta».
Serve ridefinire «limiti» e «freni» alle «posizioni
dominanti», che sono «ostacoli all'effettivo esplicarsi del
pluralismo». Serve «tenere presente il ruolo centrale del servizio
pubblico», cioè della Rai. E servono, infine, «spazi
a bilanciamento dei diritti» della maggioranza ma soprattutto delle
opposizioni.
Sono le 10 di ieri mattina quando Carlo Azeglio
Ciampi fa leggere a Silvio Berlusconi il suo primo messaggio alle Camere.
«Piena condivisione sui principi», dice il Cavaliere, siglando
il testo. Certo, condividerà tutto «volentieri», il
premier. E però è difficile credere che non percepisca alla
stregua di un richiamo personale l'invito a regolare subito la materia,
i cenni reiterati alle «concentrazioni», il monito a preservare
la centralità della tv di Stato.
VENT'ANNI DI LEGGI - Per introdurre il messaggio,
Ciampi cita una serie di norme degli ultimi vent'anni. Da quella dell'81,
che «fissa limiti precisi alle concentrazioni e detta norme puntuali
alla loro eliminazione», a quella del '90, che «definì
i princìpi fondamentali del sistema», a quella del '97, che
anticipò «il tema della convergenza multimediale tra telecomunicazioni
e radio-tv», anche qui con «il divieto di posizioni dominanti».
E richiama la Carta scritta dai padri repubblicani e la giurisprudenza
costituzionale, là dove (aprile 2002) «pone in rilievo che
la sola presenza dell'emittenza privata non è sufficiente a garantire
la completezza e l'obiettività della comunicazione politica»,
se non vi siano «ulteriori misure ispirate al principio della parità
di accesso delle forze politiche». Traduzione: le reti Mediaset non
bilanciano affatto il peso della Rai, se a esse non possono affacciarsi
i partiti estranei all’alleanza del premier.
I VINCOLI EUROPEI - Il capo dello Stato elenca
poi, per dare urgenza al discorso, «quattro recenti direttive del
Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Ue» che «dovranno essere
recepite entro il luglio 2003».
C'è tempo un anno, quindi, per risolvere
il caso italiano e adeguarsi al «concetto di libertà d'espressione»
tracciato a Bruxelles. Ciò che «comprende libertà d'opinione
e libertà di trasmettere informazioni e idee, nonché la libertà
dei mass-media e il loro pluralismo» e infine, (repetita iuvant)
«grande spazio all'esigenza di assicurare un regime concorrenziale».
IL FUTURO - Dice Ciampi: «Entro pochi anni
anche l'Italia disporrà delle nuove possibilità che l'evoluzione
della tecnologia mette a disposizione dell'emittenza radio-tv». Uno
sviluppo - l'era del digitale - che allargherà «le occasioni
di mercato e rappresenterà» da solo «un freno alla costituzione
o al rafforzamento di posizioni dominanti». Tuttavia, anche se cambierà
la «soglia critica» dei gruppi mass-mediatici (destinati a
crescere), saranno «necessarie nuove politiche pubbliche per guidare
il processo di trasformazione». Questo perché «pluralismo
e libertà dell'informazione» non potranno «essere conseguenza
automatica del progresso tecnologico».
UNA NUOVA CORNICE - Il combinato disposto di
nuova realtà tecnologica, norme Ue e indicazioni dell'Alta Corte
«richiede» per il presidente «una legge di sistema»
in grado di regolare l'intera materia. Nel sollecitare il Parlamento a
lavorarci su, ricorda che il Trattato di Amsterdam ci vincola a riconoscere
«il ruolo centrale del servizio pubblico». Come dire: la Rai
non va impoverita secondo la logica dell'audience, poiché la sua
funzione è «direttamente collegata alle esigenze democratiche,
sociali e culturali della società», oltre a «preservare
il pluralismo».
REGIONI E STATO - Ciampi sembra concordare con
la svolta federalista voluta dalla Lega a Viale Mazzini. Rammenta che la
Costituzione «riconosce alle Regioni un preciso ruolo nella comunicazione».
Ma aggiunge subito (quasi per raffreddare l'entusiasmo leghista per i festival
celtici) che, a fianco delle rappresentazioni di «pluralismo culturale»,
resta una barriera: «Lo Stato», che «svolge la sua funzione
di salvaguardia dell'unità della Nazione e dell'identità
culturale italiana».
PAR CONDICIO - «Pluralismo e imparzialità
dell'informazione», conclude Ciampi, «sono fattori di bilanciamento
dei diritti di maggioranza e opposizione», specie dopo il passaggio
dal proporzionale al maggioritario. «Quando si parla di "statuto"
delle opposizioni e delle minoranze, le soluzioni più efficaci vanno
cercate in un adeguato assetto dell'informazione». E una strada può
essere, suggerisce, quella di «estendere la vigilanza del Parlamento
all'intero circuito mediatico, pubblico e privato» (pertanto pure
a Mediaset, n.d.r.), «per rendere uniforme il principio della "par
condicio"».
Corriere della
sera 24-07-2002
Sartori: azione debole Ciampi deve fermare
il conflitto di interessi
Alessandra Mangiarotti
MILANO - Un presidente «molto debole nell’azione».
Che ha detto «cose sacrosante». Ma che ha sbagliato «strumento
e tempi» per rivolgersi alle Camere. E’ il presidente Carlo Azeglio
Ciampi visto dal politologo Giovanni Sartori. Che spiega: «Sui principi
elencati da Ciampi siamo tutti d’accordo: sono sacrosanti, sono i pilastri
della democrazia liberale. C’è però un problema: quello dello
strumento scelto. E c’è anche una mancanza». Iniziamo dal
problema.
«La Costituzione prevede tre tipi d’intervento
sul processo legislativo da parte del Capo dello Stato. L’autorizzazione
alla presentazione del disegno di legge, la sospensione della promulgazione
della legge con un messaggio alle Camere, l’invio di un semplice messaggio
al Parlamento».
Che è poi quello che ha fatto Ciampi.
«Certo. E che è anche quello che
serve meno. Un messaggio di principi è un messaggio inefficace.
Cossiga lo ha utilizzato più volte con esito zero: le Camere si
riuniscono, fanno una bella discussione (in questo caso si sono già
tutti d’accordo), dopodiché abbiamo fatto un bel buco nell’acqua».
Fin qui lo strumento. E la mancanza?
«Prima di parlare d’informazione il presidente
avrebbe dovuto affrontare e risolvere il problema del conflitto d’interessi.
Ora resta da capire se questo messaggio costituisce un alibi per non farne
uno quando andrà fatto, oppure se è un intervento in aggiunta
a quello che verrà».
Ovvero quando?
«Quando Ciampi avrà la possibilità
- e sarà l’ultima - di bloccare la legge Frattini. All’epoca dell’autorizzazione
alla presentazione della legge aveva il bastone dalla parte del manico,
non ha fatto nulla. Ora non gli resta che sospendere la promulgazione della
legge inviando un messaggio alle Camere».
E se così non fosse?
«Ci troveremmo di fronte a palesi violazioni
dell’ordinamento costituzionale sulle quali il presidente ha voluto chiudere
gli occhi. Proprio in un momento in cui la situazione è cambiata:
prima nel mondo dell’informazione tv c’era un duopolio, ora si è
instaurato di fatto un monopolio».
Ma Ciampi ha parlato di direttive comunitarie,
di pluralismo e di estensione della vigilanza a tutte le reti tv.
«Le direttive comunitarie come il messaggio
di Ciampi sono solo parole. Di volta in volta ci vogliono delle leggi.
La più importante delle quali oggi è quella del conflitto
d’interessi. Del resto...».
Del resto cosa?
«Del resto i segnali di arrendevolezza
fino ad oggi non sono mancati. Prima la legge sulle rogatorie caso colossale
di conflitto d’interessi), poi sul falso in bilancio, quindi sui beni culturali.
Tutti ballon d’essai : Berlusconi ha sondato fino a dove può
spingersi. Se Ciampi dovesse rinviare la Frattini alle Camere sarebbe grave
perché gli verrebbe a mancare l’avvallo del Capo dello Stato nei
confronti dell’opinione internazionale».
Dunque, professore, il suo giudizio sull’intervento
del presidente Ciampi è negativo?
«Non necessariamente. E’ un giudizio di
preoccupazione perché finora ho sempre visto un presidente molto
debole nell’azione».
C’E’ un bersaglio, un avversario occulto, dietro il messaggio sui problemi
dell’informazione, che il presidente Ciampi ieri ha rivolto al Parlamento?
La risposta circola già di bocca in bocca: è un altolà,
o comunque una presa di distanza, d’un presidente verso l’altro, dopo l’autocandidatura
di Silvio Berlusconi al Quirinale.
Se fosse vero, tuttavia, non si capirebbe perché mai il messaggio
rechi in calce la firma del presidente del Consiglio: ai suoi tempi Andreotti,
e per due volte, rifiutò la controfirma ad altrettanti messaggi
di Cossiga, lasciando a un suo ministro l’incombenza. Ma soprattutto -
in questa chiave di lettura - s’immergerebbe nel cicaleccio estivo una
vicenda di ben altro spessore, che chiama in causa precise responsabilità
costituzionali, e allunga la sua luce sul sistema. In primo luogo per il
metodo: in Italia come in Francia o negli Stati Uniti, il messaggio presidenziale
è un atto pubblico e solenne, che si rivolge al paese attraverso
i suoi rappresentanti in Parlamento.
E’ dunque, e al tempo stesso, un segnale d’attenzione verso le due
Camere; ce n’era davvero un gran bisogno, dato che gli ultimi governi (di
destra e di sinistra) ne hanno via via eroso i poteri, legiferando al loro
posto per decreto. Inoltre il messaggio impegna per intero la responsabilità
del capo dello Stato: non a caso ogni presidente in genere ne detta uno
soltanto durante il suo mandato. Nei nove precedenti, erano venute in gioco
le riforme, o altrimenti la giustizia; oggi è il turno della libertà
d’informazione, ed è la prima volta che succede.
Ecco: perché? Perché ogni democrazia, come ha scritto
Bobbio, si regge sul diritto di voto; ma questo diritto è una finzione
quando i cittadini non possono decidere fra proposte politiche diverse,
e per decidere devono conoscerle. Viceversa c’è un problema, c’è
un deficit di libertà e di pluralismo, dentro gli schermi della
televisione. C’è una legge vecchia, che ha dodici anni e li dimostra
tutti. Eppure il pluralismo è iscritto nelle tavole costituzionali,
in una quantità di norme che lo declamano senza praticarlo, nella
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Eppure la Consulta ha giudicato inadeguata la Mammì fin dal
1994. Adesso però il medesimo giudizio proviene, e nel modo più
formale, dal supremo garante delle regole. Un giudizio, e insieme una lezione:
quando avremo un presidente eletto dal voto popolare, un presidente governante,
chi potrà più svolgere il mestiere che oggi svolge Ciampi?
Corriere della
sera 26-07-2002
Messaggio importante, dibattito per pochi
L’AMARA RISPOSTA DEI BANCHI VUOTI
Aldo Grasso
O non hanno capito niente o più verosimilmente
hanno fatto orecchi da mercante. Ma è triste che ieri molti parlamentari
abbiano disertato le sedute di Camera e Senato convocate per discutere
il messaggio (il primo del settennato) del capo dello Stato sull’informazione,
tanto che sia Marcello Pera sia Pier Ferdinando Casini hanno espresso rammarico
per le troppe assenze. C’è in gioco la nostra democrazia e loro
marcano visita. Il richiamo di Carlo Azeglio Ciampi ha infatti la forza
calma di un vero rivolgimento. Se confrontato con le norme che da più
di vent’anni regolano la materia in questione, appare come sconvolgente.
In parole povere, il presidente ha detto: finora le leggi sull’editoria
e sulla tv sono servite a ratificare l’esistente, provvedimenti che guardavano
indietro per sanare una situazione complicata, spesso selvaggia; adesso
è tempo di guardare avanti, di legiferare tenendo presente le direttive
europee, il futuro tecnologico, la concorrenza, la salvaguardia irrinunciabile
del pluralismo. Se si può, senza isterismi e lotte di quartiere.
Com’è noto, la legge del 5 agosto 1990
n. 223, conosciuta come legge Mammì, aveva messo fine a un lungo
periodo di deregulation (almeno 14 anni) ed era frutto di un estenuante
iter parlamentare, con un’infinità di emendamenti e di compromessi.
Una legge nata vecchia, miope, costretta a ratificare fatti compiuti.
La Mammì, «aggiustata» in
qualche modo nel ’97 su sollecitazione della Consulta, resta un grande
esempio di come si governa in Italia: non facendo rispettare le norme,
non imponendo progetti lungimiranti, non scontentando nessuno.
Tutto nasce da un peccato originale, la legge
n. 103 del ’75 con cui si stabiliva il passaggio del servizio pubblico
dal governo al Parlamento. In astratto si voleva assicurare il principio
del pluralismo (lo stesso invocato da Ciampi); in concreto si sanciva una
solenne spartizione: Raiuno alla Dc, Raidue al Psi e la nascente Raitre
al Pci (la regola vale ancora oggi, cambiano solo i padroni che, ovviamente,
si guardano bene dal privatizzare la Rai). Da aberrazione nasce aberrazione:
quando anni fa Silvio Berlusconi sosteneva il principio che il possesso
di tre reti era l’unico modo per essere competitivi con la Rai, dava appunto
per scontata la fondatezza istituzionale e mercantile di «quella»
Rai.
Il Quirinale, invece, fa sapere che è
tempo di guardare avanti, che le attuali norme sono inadatte non solo a
regolare l’intero sistema delle comunicazioni ma, soprattutto, sono insufficienti
a garantire l’imparzialità nell’informazione. Qui sta la parte più
innovativa dell’appello di Ciampi. L’invito non riguarda soltanto il buon
governo, l’impianto normativo che dovrà regolare il mondo editoriale,
la cancellazione di quelle anomalie cancerose (dal conflitto d’interessi
alle concentrazioni editoriali), la saggezza politica nell’anticipare scenari
futuri. No, l’invito mette l’accento sulla centralità dell’informazione,
del servizio pubblico, riconosce il merito e la funzione dei media. Nelle
moderne democrazie la libertà di stampa è garanzia di sopravvivenza.
Bisognerebbe, però, non limitarsi ad aumentare
le autorità di controllo o di vigilanza ma prendere finalmente atto
che il pluralismo è la condizione dell’alternanza. Non si tratta
di fare processi a nessuno, né di generalizzare, ma la storia del
nostro giornalismo, salvo lodevoli eccezioni, non è esaltante: la
saggistica ha sempre sottolineato come ad esempio i tg siano storicamente
cresciuti sotto l’egida di ferree regole (il primato dei partiti, la lottizzazione,
eccetera) per cui hanno mostrato e mostrano difficoltà ad affrontare
temi spinosi. La stampa non è esente da critiche e difetti, specie
nell’anomalia di proprietà con altri interessi. Il richiamo del
Quirinale non è qualcosa di astratto, ci riguarda da vicino. Peccato
che i parlamentari fossero lontani.
Un'altra occasione sprecata
Cosimo Rossi
Mettiamola così: o il messaggio alle camere di Ciampi era fumo
negli occhi o il parlamento è un optional. Perché a guardare
i banchi ieri pareva proprio d'essere all'ultimo giorno di scuola. Senonché
le aule erano quelle di Montecitorio e Palazzo Madama, e il giorno era
quello del compito in classe. Mica per farla lagnosa, ma a detta dei (non)
protagonisti ieri si dibatteva sul messaggio «più incisivo»
mai inviato da un capo di stato «e che si addentra di più
nelle questioni vere della democrazia italiana» (Violante), di «un
punto decisivo della democrazia» (Bertinotti), dell'«autorevolezza
e la solennità» con cui il capo dello stato ha indicato «quanto
acuta e grave sia l'anomalia dell'informazione italiana e del conflitto
di interessi che investe il presidente del consiglio» (Fassino).
Invece macché. Gli oratori del centrosinistra (i generali) e quelli della maggioranza (i caporali) hanno rivolto i loro fiacchi interventi a un emiciclo semivuoto punteggiato da sbadigli, telefonate e rotocalchi; mentre in Transatlantico si sbrigava la pratica degli auguri di buone vacanze e della sosta d'ordinanza sui divani (dove l'ex premier D'Alema intratteneva colleghi e giornalisti).
Che da parte della destra si puntasse a fare il vuoto intorno al messaggio alle camere del presidente della Repubblica era più che prevedibile. L'operazione di sterilizzazione delle parole di Ciampi l'aveva iniziata per primo Silvio Berlusconi nell'istante in cui aveva «controfirmato» (mal)volentieri il monito del capo dello stato sul pluralismo che non c'è nel sistema informativo nostrano. Le truppe berlusconiane ieri si sono semplicemente attenute all'indicazione del premier disertando il dibattito parlamentare. Casini e Pera possono anche dolersene, ma tant'è...
Che invece il centrosinistra si sia presentato nelle aule in sandali da spiaggia e asciugamano sottobraccio potrebbe essere più sorprendente, se ormai non fosse un'abitudine. Anzi: un vizio, visto che è invalsa la prassi di marinare i lavori parlamentari in virtù dei numeri schiaccianti della maggioranza. Al punto che molte norme vengono approvate con meno voti di quanti potrebbero essere quelli dell'opposizione (265). Un esempio a caso? Le impronte agli immigrati.
E allora si ritorna al quesito inziale: le parole di Ciampi erano acqua fresca o il parlamento è inutile? Per due giorni le opposizioni ci hanno spiegato che il dettagliato messaggio di Ciampi alle camere era denso di riferimenti importanti sul valore del pluralismo, sulla centralità del servizio pubblico, sulla legittimità della par condicio targata Ulivo che il Cavaliere tanto avversa. In una parola: sulla democrazia. Ma se è questo che voleva dire il capo dello stato, quale occasione migliore di ieri per presentarsi in forza nelle aule parlamentari e puntare il dito contro disprezzo istituzionale della maggioranza, magari pretendendo la diretta televisiva? Oppure è nel giusto chi più malevolmente asserisce che il Quirinale ha abbaiato per non mordere nel momento in cui dovrà firmare la legge che stabilisce il conflitto d'interessi per tutti tranne che per Berlusconi, e che dunque tutto si riduce a un fiacco un gioco delle parti pre-vacanziero?
Può darsi che Ciampi fosse animato da propositi sinceri quando ha inviato il suo messaggio. Certo è, invece, che l'evanescenza è riuscita a trasformare in bolla di sapone quel messaggio del capo dello stato che era stato accolto con tanta enfasi.
E' una delle aporie del maggioritario, che vanifica il ruolo delle assemblee
elettive. Tuttavia questo non impedirebbe alle forze di centrosinistra
di riempire le aule parlamentari per fare e far sentire l'opposizione,
dato che le piazze non è certo l'Ulivo a riempirle. Altrimenti conviene
che il prossimo messaggio Ciampi lo mandi direttamente a Porta a porta.