L’ipotesi di rimessione, ovvero di trasferire un processo ad altro giudice
e ad altra sede a causa delle condizioni ambientali, è del tutto
eccezionale nel nostro ordinamento perché deroga al principio costituzionale
secondo cui “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito
per legge.”
Il codice di procedura penale del 1930 prevedeva all’art.55 la rimessione
“per gravi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto.”
Tale formula era del tutto insoddisfacente per la sua genericità
che non consentiva una individuazione precisa dei casi di spostamento del
processo, tanto è vero che in numerosi casi venne utilizzata in
modo assai discutibile ingenerando sospetti di manipolazione del processo.I
casi più significativi si sono registrati in alcuni processi per
delitti di mafia negli anni ’60, nel processo per la strage di Piazza Fontana,
in quello per il disastro del Vajont ed in quello per le schedature Fiat.
Per tale ragione la Corte di Cassazione ha seguito, specie dai
primi anni ottanta, un’interpretazione restrittiva della ipotesi di rimessione
per legittimo sospetto, tanto da accogliere un limitatissimo numero di
richieste.
Per questo la indicazione della legge delega del 1987 sul nuovo codice
di procedura penale, che richiamava “la remissione…per gravi e oggettivi
motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto”, venne attuata specificando
nella previsione del codice attuale anche le circostanze in cui può
prefigurarsi un “legittimo sospetto”; la remissione, infatti, può
aver luogo con riferimento a gravi situazioni locali che pregiudicano la
sicurezza o l’incolumità o la libertà di determinarsi delle
persone che partecipano al processo, tali da turbarne lo svolgimento e
non altrimenti eliminabili.
La proposta di legge Cirami, di modifica agli artt. 45-49 c.p.p., realizza
un passo all’indietro andando oltre le stesse previsioni del Codice Rocco.
Essa opera su piani differenziati, per un verso tentando di ampliare i
casi di trasferimento del processo dall’una all’altra sede giudiziaria,
per un altro rendendone più difficile la celebrazione dovunque essi
siano incardinati e per un altro ancora dettando una disciplina ambigua
e lacunosa dello stesso procedimento di rimessione.
I)- Sul primo versante, le modificazioni riguardano
la possibilità di spostare il processo per: a)- la semplice
sussistenza di situazioni locali (e non più di gravi
situazioni locali) in grado di pregiudicare la sicurezza e l’incolumità
pubblica; b)- legittimo sospetto, già previsto dal codice
fascista e motivatamente espunto da quello vigente.
Delle due nuove previsioni la prima, stante l’estrema genericità
della formulazione, presta il fianco a rilievi di illegittimità
costituzionale per violazione del principio del giudice naturale, in quanto
non viene ancorata ad un criterio selettivo delle circostanze da valutare
caratterizzato da un giudizio di particolare eccezionalità delle
stesse.
La seconda previsione, per i limiti interpretativi posti dalle sentenze
della Corte costituzionale 3.5.1963 n. 50 e 22.6.1963 n. 109 che, con riferimento
al legittimo sospetto di cui all’art. 55 c.p.p. abrogato, esclusero ogni
discrezionalità di valutazione della Corte di cassazione, ancorando
la nozione di “sospetto” a circostanze di natura oggettiva, non
dovrebbe modificare un quadro interpretativo consolidato, dal quale sono
pertanto escluse le chiavi introspettive di lettura e, quindi, le mere
congetture, le preoccupazioni, le illazioni, i dubbi, i timori.
II)- Sul secondo versante, la previsione dell’obbligo
di sospensione del processo prima dello svolgimento delle conclusioni
e della discussione e dell’interdizione alla pronuncia della sentenza finché
non sia definito il procedimento di rimessione, è in palese contrasto
con la sentenza della Corte costituzionale 22 ottobre 1996 n. 353 che dichiarava
l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 c.p.p. nella parte in
cui non consentiva al giudice di pronunciare la sentenza fino a quando
non era intervenuta l’ordinanza che dichiarava inammissibile o rigettava
la richiesta di rimessione.
Va, comunque, ricordato che lo stesso codice Rocco non ammetteva, se
non eccezionalmente (art. 57 c.p.p.), la sospensione del giudizio di merito
e che l’attuale art. 47 c.p.p. consente alla Corte di cassazione di sospendere
il processo in presenza, evidentemente, di valide ragioni; con la riforma
si vuole introdurre invece una sospensione automatica del processo, anche
se i motivi sono infondati.
III)- Sotto il terzo profilo, la mancata previsione
del potere di un giudice (sia esso la Corte di cassazione, come voleva
il codice Rocco, o il giudice designato da questa, come vuole l’attuale)
di dichiarare se, e in quale parte, gli atti compiuti conservino efficacia,
apre scenari nefasti, perché può essere intesa come esclusione
della possibilità che gli atti compiuti conservino efficacia, con
evidenti ricadute sulla efficacia dei processi e sul dovere di assicurarne
una ragionevole durata. Inoltre la sottrazione alla Corte di cassazione,
in questo caso giudice del merito, della facoltà di acquisizione
d’ufficio delle informazioni necessarie per la verifica di sussistenza
delle condizioni legittimanti lo spostamento del giudizio, introduce nel
procedimento un’area di incertezza e di opacità che potrebbe premiare
le più grossolane, aggressive e spregiudicate mistificazioni della
“parte” privata, specie considerando che quella pubblica, e cioè
la Procura presso il giudice di merito, non è presente all’udienza
dinanzi alla Corte suprema e non può svolgere un contraddittorio
“reale”.
L’effetto sicuramente più marcatamente negativo
di questa riforma si individua nella previsione della sospensione automatica
del processo. La previsione di una reiterazione, anche infinita di
istanze di remissione, giunge all’assurdo di poter bloccare per un tempo
indefinito un processo. Ma a ciò non può neppure porsi seriamente
rimedio ipotizzando una limitazione della sospensione alla prima richiesta
di rimessione. E’ infatti evidente che la prospettata limitazione verrebbe
nei fatti vanificata dalla possibilità, nei processi con più
imputati, di proporre, ciascuno per la prima volta e con motivi diversi,
una istanza di rimessione che ogni volta determinerebbe legittimamente
l’effetto sospensivo con l’ovvia conseguenza di paralizzare il processo.
Né può considerarsi utile un giudizio sommario sulla
sola sospensione del processo da parte della cassazione in sede di valutazione
dell’ammissibilità della richiesta di rimessione. Anzitutto perché
tale giudizio, per avere un significato, dovrebbe svolgersi in tempi estremamente
rapidi che non sono compatibili con la previsione dello svolgimento del
procedimento in pubblica udienza; ma ancor di più perché,
viste le caratteristiche del giudizio sulla istanza di rimessione, l’esame
della sola istanza di sospensione rischia di esaurire già il giudizio
sul fondamento della richiesta stessa.
Peraltro - come evidenziato - la norma attuale già consente
di formulare l’istanza di sospensione del processo e non si vede quindi
la necessità di creare un nuovo sub-procedimento che renderebbe
solo più macchinosa la decisione.
In ogni caso è agevole ritenere che un allargamento dei casi
di rimessione ad ipotesi poco precise e l’automatica sospensione del processo
faranno registrare un consistente aumento delle richieste di rimessione,
con l’effetto di rendere ancor più difficile il funzionamento della
Corte di cassazione già costretta ad esaminare circa 50.000 ricorsi
l’anno e con un pesante riverbero in termini di efficienza sull’intero
sistema processuale.
a cura di Magistratura Democratica