Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Magistratura Democratica 11-09-2002
 
SCHEDA SULLA PROPOSTA DI LEGGE CIRAMI (Modifica agli arrt. 45-49 c.p.p.)

L’ipotesi di rimessione, ovvero di trasferire un processo ad altro giudice e ad altra sede a causa delle condizioni ambientali, è del tutto eccezionale nel nostro ordinamento perché deroga al principio costituzionale secondo cui “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.”
Il codice di procedura penale del 1930 prevedeva all’art.55 la rimessione “per gravi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto.”
Tale formula era del tutto insoddisfacente per la sua genericità che non consentiva una individuazione precisa dei casi di spostamento del processo, tanto è vero che in numerosi casi venne utilizzata in modo assai discutibile ingenerando sospetti di manipolazione del processo.I casi più significativi si sono registrati in alcuni processi per delitti di mafia negli anni ’60, nel processo per la strage di Piazza Fontana, in quello per il disastro del Vajont ed in quello per le schedature Fiat.
 Per tale ragione la Corte di Cassazione ha seguito, specie dai primi anni ottanta, un’interpretazione restrittiva della ipotesi di rimessione per legittimo sospetto, tanto da accogliere un limitatissimo numero di richieste.
Per questo la indicazione della legge delega del 1987 sul nuovo codice di procedura penale, che richiamava “la remissione…per gravi e oggettivi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto”, venne attuata specificando nella previsione del codice attuale anche le circostanze in cui può prefigurarsi un “legittimo sospetto”; la remissione, infatti, può aver luogo con riferimento a gravi situazioni locali che pregiudicano la sicurezza o l’incolumità o la libertà di determinarsi delle persone che partecipano al processo, tali da turbarne lo svolgimento e non altrimenti eliminabili.
 
La proposta di legge Cirami, di modifica agli artt. 45-49 c.p.p., realizza un passo all’indietro andando oltre le stesse previsioni del Codice Rocco. Essa opera su piani differenziati, per un verso tentando di ampliare i casi di trasferimento del processo dall’una all’altra sede giudiziaria, per un altro rendendone più difficile la celebrazione dovunque essi siano incardinati e per un altro ancora dettando una disciplina ambigua e lacunosa dello stesso procedimento di rimessione.
   I)- Sul primo versante, le modificazioni riguardano la possibilità di spostare il processo per: a)- la semplice sussistenza di situazioni locali (e non più di gravi situazioni locali) in grado di pregiudicare la sicurezza e l’incolumità pubblica; b)- legittimo sospetto, già previsto dal codice fascista e motivatamente espunto da quello vigente.
Delle due nuove previsioni la prima, stante l’estrema genericità della formulazione, presta il fianco a rilievi di illegittimità costituzionale per violazione del principio del giudice naturale, in quanto non viene ancorata ad un criterio selettivo delle circostanze da valutare caratterizzato da un giudizio di particolare eccezionalità delle stesse.
La seconda previsione, per i limiti interpretativi posti dalle sentenze della Corte costituzionale 3.5.1963 n. 50 e 22.6.1963 n. 109 che, con riferimento al legittimo sospetto di cui all’art. 55 c.p.p. abrogato, esclusero ogni discrezionalità di valutazione della Corte di cassazione, ancorando la nozione di “sospetto” a circostanze di natura oggettiva, non dovrebbe modificare un quadro interpretativo consolidato, dal quale sono pertanto escluse le chiavi introspettive di lettura e, quindi, le mere congetture, le preoccupazioni, le illazioni, i dubbi, i timori.
   II)- Sul secondo versante, la previsione dell’obbligo di sospensione del processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e dell’interdizione alla pronuncia della sentenza finché non sia definito il procedimento di rimessione, è in palese contrasto con la sentenza della Corte costituzionale 22 ottobre 1996 n. 353 che dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 c.p.p. nella parte in cui non consentiva al giudice di pronunciare la sentenza fino a quando non era intervenuta l’ordinanza che dichiarava inammissibile o rigettava la richiesta di rimessione.
Va, comunque, ricordato che lo stesso codice Rocco non ammetteva, se non eccezionalmente (art. 57 c.p.p.), la sospensione del giudizio di merito e che l’attuale art. 47 c.p.p. consente alla Corte di cassazione di sospendere il processo in presenza, evidentemente, di valide ragioni; con la riforma si vuole introdurre invece una sospensione automatica del processo, anche se i motivi sono infondati.
   III)- Sotto il terzo profilo, la mancata previsione del potere di un giudice (sia esso la Corte di cassazione, come voleva il codice Rocco, o il giudice designato da questa, come vuole l’attuale) di dichiarare se, e in quale parte, gli atti compiuti conservino efficacia, apre scenari nefasti, perché può essere intesa come esclusione della possibilità che gli atti compiuti conservino efficacia, con evidenti ricadute sulla efficacia dei processi e sul dovere di assicurarne una ragionevole durata. Inoltre la sottrazione alla Corte di cassazione, in questo caso giudice del merito, della facoltà di acquisizione d’ufficio delle informazioni necessarie per la verifica di sussistenza delle condizioni legittimanti lo spostamento del giudizio, introduce nel procedimento un’area di incertezza e di opacità che potrebbe premiare le più grossolane, aggressive e spregiudicate mistificazioni della “parte” privata, specie considerando che quella pubblica, e cioè la Procura presso il giudice di merito, non è presente all’udienza dinanzi alla Corte suprema e non può svolgere un contraddittorio “reale”.
    L’effetto sicuramente più marcatamente negativo di questa riforma si individua nella previsione della sospensione automatica del processo. La previsione di una reiterazione, anche  infinita di istanze di remissione, giunge all’assurdo di poter bloccare per un tempo indefinito un processo. Ma a ciò non può neppure porsi seriamente rimedio ipotizzando una limitazione della sospensione alla prima richiesta di rimessione. E’ infatti evidente che la prospettata limitazione verrebbe nei fatti vanificata dalla possibilità, nei processi con più imputati, di proporre, ciascuno per la prima volta e con motivi diversi, una istanza di rimessione che ogni volta determinerebbe legittimamente l’effetto sospensivo con l’ovvia conseguenza di paralizzare il processo.
Né può considerarsi utile un giudizio sommario sulla sola sospensione del processo da parte della cassazione in sede di valutazione dell’ammissibilità della richiesta di rimessione. Anzitutto perché tale giudizio, per avere un significato, dovrebbe svolgersi in tempi estremamente rapidi che non sono compatibili con la previsione dello svolgimento del procedimento in pubblica udienza; ma ancor di più perché, viste le caratteristiche del giudizio sulla istanza di rimessione, l’esame della sola istanza di sospensione rischia di esaurire già il giudizio sul fondamento della richiesta stessa.
Peraltro - come evidenziato - la norma attuale già consente di formulare l’istanza di sospensione del processo e non si vede quindi la necessità di creare un nuovo sub-procedimento che renderebbe solo più macchinosa la decisione.
In ogni caso è agevole ritenere che un allargamento dei casi di rimessione ad ipotesi poco precise e l’automatica sospensione del processo faranno registrare un consistente aumento delle richieste di rimessione, con l’effetto di rendere ancor più difficile il funzionamento della Corte di cassazione già costretta ad esaminare circa 50.000 ricorsi l’anno e con un pesante riverbero in termini di efficienza sull’intero sistema processuale.
 
    a cura di  Magistratura Democratica

 

 


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