Riforme Istituzionali
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Presidenzialismo all'italiana
Giovanni Sartori
Al di là delle riforme devolutive o federaliste
Berlusconi rilancia il presidenzialismo. Le due cose sono complementari?
Berlusconi lascia capire che lo sono. Il suo argomento è che tanto
più diventiamo un Paese «decentrato», tanto più
occorre un contrappeso, e cioè un centro forte. E’ proprio così?
Sì e no. Il centro forte è utile quando il federalismo si
basa su poteri concorrenti, su poteri condivisi (come nella riforma del
governo Amato), ma non serve quando si basa sulla cessione (devoluzione)
dei poteri. Se un potere diventa esclusivamente regionale, il centro non
c’entra più. Ciò precisato, se ci guardiamo attorno, scopriamo
per esempio che Germania e India sono federali ma non presidenziali; e
che, viceversa, Francia e Cile sono variamente presidenziali ma non sono
Stati federali. E dunque la connessione tra federalismo e presidenzialismo
non è necessaria. Se Berlusconi vuole ora con nuova insistenza il
presidenzialismo, è perché lo vuole per sé (né
lo nasconde). E il paradosso è che lo chiede mentre appoggia una
devoluzione che lo depotenzia. E’ vero, peraltro, che la richiesta è
antica. Il presidenzialismo era già iscritto nel programma elettorale
del Polo del 1994. E in tutti questi otto anni, ogni tanto ne abbiamo sentito
riparlare. Ma senza insistere e, soprattutto, senza mai precisare quale
presidenzialismo . Perché i presidenzialismi sono di due tipi,
americano e francese. Il primo viene detto «puro», mentre il
secondo viene detto «semipresidenzialismo». Entrambi si fondano
sulla elezione popolare del capo dello Stato; ma questo è il loro
solo punto in comune. In tutto il resto sono diversissimi. In questi giorni
Berlusconi ha finalmente svelato che lui punta sul semipresidenzialismo
di tipo francese. Bene. Perché il presidenzialismo puro di tipo
americano funziona male in quasi tutta l’America Latina, e funzionerebbe
ancora peggio in Italia. Per contro, non ci sono controindicazioni per
il modello francese (che tra l’altro è stato innestato su una IV
Repubblica che era molto simile, nella sua configurazione politica, a quella
del nostro Paese).
I problemi nascono quando il genio italico vuole
innovare. In dottrina è pacifico che il sistema semipresidenziale
è ottimizzato dal sostegno di un sistema elettorale maggioritario
a doppio turno. Invece no. Nella sua intervista al Corriere (10
dicembre) il ministro Urbani (che è poi il solo esperto in materia
costituzionale del governo) si pronunzia per un presidenzialismo «più
sistema elettorale proporzionale». Evidentemente obbedisce a ordini
superiori, visto che in passato ha sostenuto anche lui il doppio turno.
Ma convengo con lui che «non è certo impossibile» affiancare
il presidenzialismo al proporzionalismo. Dopodiché trasecolo, inorridito,
quando leggo che «il proporzionalismo può prevedere premi
di maggioranza e sbarramenti per i partiti più piccoli». Trasecolo
perché se questa è la proposta, allora è insensata.
Lo scopo dello sbarramento è di impedire
la frammentazione del sistema partitico. Ma questo ostacolo elettorale
funziona solo se i partiti non si possono alleare per scavalcarlo. In Germania
lo sbarramento è del 5 per cento. Ma verrebbe vanificato se, mettiamo,
sei partitini ciascuno con l’1 per cento del voto si «apparentassero»
arrivando così, assieme, al 6 per cento. D’altra parte il premio
di maggioranza presuppone alleanze, visto che premia, appunto, i partiti
che «insieme» vincono una maggioranza dei voti. Pertanto mettere
assieme sbarramento e premio di maggioranza equivale a cancellare con la
mano destra quel che fa la mano sinistra.
Dicevo che il federalismo non obbliga il presidenzialismo,
ma che nemmeno lo vieta. Inoltre ho concesso (pur preferendo il doppio
turno) che un presidenzialismo può anche essere costruito su un
sistema elettorale proporzionale. Ma chi propone «proporzionale »
sbarramento » premio di maggioranza» è soltanto uno
sprovveduto.
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