Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Corriere della sera  19-12-2002

Riforme, Fini frena i presidenti delle Camere

«Non si schierino, presidenzialismo anche a maggioranza». Pera d’accordo con Casini sul premierato
 
ROMA - Gianfranco Fini dà ragione al collega di partito Ignazio La Russa che in una lettera aveva richiamato il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini a non «tifare» per il cancellierato ma ad attenersi alla terzietà delle istituzioni. Fini fa suo quell’ammonimento e ne precisa il senso. Casini aveva immaginato per l’Italia «un cancelliere forte sul modello tedesco». La Russa prima e Fini poi, fautori da sempre del presidenzialismo, gli dicono più o meno di non immischiarsi nel dibattito politico sulle riforme che è materia precipua dei partiti. Un gesto politico forte che certifica l’avvenuta caduta di amorosi sensi tra il leader di An e il presidente della Camera. Non solo. A complicare il quadro, di lì a poco giungono le parole di Marcello Pera in favore dell’elezione diretta di un premier dotato di maggiori poteri di quelli attuali. Parole dette al Quirinale dinanzi al presidente Ciampi e che rispecchiano opinioni già note e in sintonia con Casini. Ma andiamo con ordine.

FINI - Il vicepremier parla alla presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa, accanto a lui siedono Marco Follini, Piero Fassino e Francesco Rutelli. Vespa chiede a Follini un commento sulla lettera di La Russa a Casini. Fini si intromette e offre l’interpretazione autentica. La Russa, dice Fini, «ha richiamato il presidente della Camera a un dovere che, ad avviso di La Russa e anche mio, i presidenti delle Camere devono avvertire e a mio modo di vedere avvertono: in un momento in cui riparte, tra mille difficoltà, il dibattito su quale forma di governo, è il dovere di non prendere posizione per l’una o l’altra ipotesi». L’intervento di Casini, obietta subito Follini, è stato «corretto e appropriato».
Fini poi ribadisce la propria preferenza per il presidenzialismo. E sottolinea che per realizzare le riforme è necessario un ampio accordo. Ma che in mancanza di esso non si può pensare di non farle. Un’opinione questa diversa da quella di Follini per il quale invece occorre coinvolgere l’opposizione per evitare che durino «soltanto una legislatura». 

PERA - Marcello Pera rileva con «soddisfazione» che sembra farsi «migliore il clima tra le forze politiche». Ed è in questo «clima di rinnovato e civile confronto» che i partiti devono impegnarsi a completare la «transizione incompiuta». Come? Pera indica tre punti su cui intervenire. Innanzitutto sul federalismo. La devoluzione va armonizzata con la riforma della Costituzione approvata nella scorsa legislatura. Occorre poi creare un Senato federale. Infine la forma di governo. Un esecutivo stabile, argomenta Pera, deve essere sostenuto non soltanto da maggioranze numeriche ma deve «governare con efficacia per tutta la legislatura. I poteri di un esecutivo legittimato direttamente dai cittadini sono determinanti».

OPPOSIZIONE - A sinistra piace soprattutto il premierato e il completamento del sistema maggioritario. Massimo D’Alema ne parla come di una necessità. Occorre, dice, «un governo del premier scelto assieme alla sua maggioranza con una serie di pesi e contrappesi». Questa opzione, aggiunge il leader dei Ds Piero Fassino, serve «a respingere nettamente la deriva populista e plebiscitaria» e chiudendo «così i conti con una transizione istituzionale incompiuta». Infine Francesco Rutelli. L’esponente della Margherita ricorre a un’immagine biblica: «Chi sarà candidato dovrà fare il bagno nel fiume Giordano e uscire battezzato in modo solenne dal popolo».

Lorenzo Fuccaro


Corriere della sera  19-12-2002
 
Bossi: avanti senza consociativismo, come ha fatto l’Ulivo con questo Presidente

«Perché dovremmo seguire le opposizioni?»
 
MILANO - «Dialogo sulle riforme? D'accordo. Se però l'opposizione si mette di traverso come ci comportiamo? Non facciamo più le riforme? Perché alla fine il rischio è proprio questo: continuare a parlare e non toccare di una virgola l'assetto dello Stato centralista. Significa impedire il federalismo. Io sono rispettoso, molto rispettoso della Costituzione. La Costituzione è al di sopra di tutti noi e detta le regole del gioco. Ma fra le regole del gioco c'è forse il consociativismo? Non mi pare. Il consociativismo è nemico delle riforme, le blocca». Umberto Bossi sale sull'aereo per Roma un paio di ore dopo l'intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che ha sollecitato centrodestra e centrosinistra al confronto.
Ministro Bossi, il capo dello Stato ha detto che la «strada del dialogo è la sola percorribile in direzione di una visione di largo respiro dei problemi istituzionali che eviti modifiche parcellari». Lei, al contrario, ha sempre sostenuto la necessità di procedere a colpi di maggioranza. Ora cambia idea? 
«Non cambio affatto idea: c'è una maggioranza e la maggioranza vota le riforme. Si discute, ci si confronta ma alla fine occorre venire al dunque. E se l'intesa non si trova si procede. A maggioranza. Il Paese chiede le riforme e ha dato un segnale preciso alle ultime elezioni. Non intendiamo rimangiarci la parola e le promesse date». 
Il che equivale a dire: non sono d'accordo con Ciampi. 
«Io non intendo minimamente contestare il Presidente verso il quale nutro vero rispetto». 
Però non ne condivide il monito: la Costituzione non si presta ad essere riformata pezzo a pezzo ad ogni cambio di maggioranza, pena la coerenza e la stabilità delle istituzioni. Questo ha ribadito Carlo Azeglio Ciampi. 
«Se non sbaglio era proprio Ciampi Presidente della Repubblica quando fu approvata la riforma costituzionale del Titolo V. La riforma dell'Ulivo. Passò con quattro voti. Non ci fu alcuna intesa e non si gridò allo scandalo. Ciampi non parlò. Allora il centrosinistra aveva la maggioranza in Parlamento e a maggioranza fu modificata la Carta Costituzionale. Oggi invece si dovrebbe procedere in modo diverso. Perché mai? Perché se governa il centrodestra si deve inseguire il consociativismo? Perché la maggioranza deve inseguire le opposizioni? Per fortuna il meccanismo consociativo è morto ed è stato sepolto. Sarebbe davvero sbagliato, da parte nostra, non tenere conto della volontà che hanno espresso gli elettori». 
Lei non crede che le grandi riforme debbano esser approvate con il concorso sia della maggioranza sia della opposizione? 
«Va benissimo ma se l'opposizione non ci sta che cosa resta? Se l'opposizione non le vuole? Continuiamo a rinviare? A parlare senza concludere niente? No, ciò che valeva per il Titolo V modificato a maggioranza dal centrosinistra varrà anche per le grandi riforme del centrodestra. 
Semmai visto che la Costituzione offre la possibilità di referendum confermativo nel caso in cui le riforme non siano approvate con la maggioranza dei due terzi in Parlamento sarà il popolo ad avere l'ultima parola. Questa è la strada maestra». 
Il Presidente Ciampi ha sottolineato che la «stella polare» è l'articolo 5 della Costituzione. «La Repubblica una e indivisibile». 
«Nessuno intende toccare l'articolo 5. Semmai si parla dell'articolo 117: la devoluzione, il trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni». 
Lei e Gianfranco Fini ribadite che le riforme si approvano a maggioranza. Il Quirinale chiede un percorso diverso e un coinvolgimento dell’opposizione. C'è il rischio di uno scontro istituzionale? 
«Non credo proprio perché il governo procederà lungo la strada maestra della Costituzione: eventuale referendum confermativo se non sarà raggiunto il consenso dei due terzi di Camera e Senato». 
Pare di capire che il dialogo con l'opposizione non ci sarà mai. 
«Su alcuni temi è indubbiamente difficile. Ad esempio sulla giustizia. 
Com’è possibile votare la riforma della giustizia con chi ha utilizzato una parte della magistratura per andare al potere? Con chi ha una concezione così deformata del ruolo della magistratura? Impossibile. Di conseguenza si deve andare avanti. C'è una maggioranza che è legittimata dal popolo a fare le riforme. E le deve fare».

Fabio Cavalera


La Stampa 19-12-2002
 
Fini: sulle riforme andiamo avanti anche da soli
Maggioranza divisa. Casini e Pera si schierano con il Capo dello Stato
 
Il dialogo sulle riforme è «auspicabile». Ma se dovesse naufragare, la maggioranza «che ha assunto con gli elettori un impegno per cambiare le istituzioni», avrebbe il dovere di «condurre in porto il processo anche da sola». E tra queste riforme quella presidenzialista, «secondo il modello francese», sta particolarmente a cuore a Gianfranco Fini. Passano solo pochi minuti da quando il leader di An, a metà pomeriggio, dice la sua e le agenzie di stampa lanciano i primi flash sul discorso che Carlo Azeglio Ciampi sta pronunciando al Quirinale. E´ un anticipo del messaggio di fine anno e per il vicepresidente del Consiglio una mezza doccia fredda: sulle riforme una larga intesa è la via obbligata; l´indulto, inviso alla destra, sarebbe un provvedimento giustificato e utile; quanto al presidenzialismo, l´insistenza del capo dello Stato sulla necessità di completare le riforme avviate sembra relegarlo nella sfera dell´inessenziale e, forse, del dannoso. Non solo. Le posizioni di Ciampi si specchiano perfettamente in quelle di Marcello Pera. Il presidente del Senato mostra di preferire l´elezione diretta e il rafforzamento dei poteri del premier al presidenzialismo. E´ attento a non indicare, in un intervento ufficiale, un modello preciso, ma in una intervista di qualche giorno fa a Panorama ha indicato con chiarezza quale predilige. E il riferimento alla «promettente» circostanza che «in Senato siano stati presentati da esponenti della maggioranza e dell´opposizione disegni di legge che in alcuni punti sono sovrapponibili» esclude dall´orizzonte l´elezione diretta del presidente della Repubblica. Quanto al dialogo con il centrosinistra, alle parole Pera ha fatto seguire già i fatti: ieri mattina ha annunciato che, con il consenso dei due schieramenti, a gennaio si discuterà un nuovo regolamento della Camera alta in grado di tutelare tanto chi ha vinto le elezioni quanto chi le ha perse. E Pierferdinando Casini? Naturalmente è d´accordo su tutta la linea, visto che le riforme condivise sono un cavallo di battaglia suo e del suo partito. E che la sua preferenza per il cancellierato ha un minimo comun denominatore politicamente decisivo con quella del premierato: entrambe prevedono la sopravvivenza di un capo dello Stato eletto dal Parlamento con funzioni di garanzia. Il consenso di Casini chiude il cerchio e dimostra l´esistenza di un fronte istituzionale compatto che, a partire dal pranzo di qualche giorno addietro fra i tre presidenti, ha scatenato un´offensiva per il dialogo sulle riforme e per mettere fra parentesi l´ipotesi presidenzialista. Offensiva che sta coagulando uno schieramento politico trasversale, potenzialmente esteso anche a un tema come l´indulto, e che va dal centrosinistra all´Udc e promette di aprire crepe all´interno di Forza Italia. E´ una eventualità che preoccupa Fini, il quale vede come un incubo un esito del processo riformatore nel quale la Lega porta a casa la devolution, la sinistra e l´Udc il premierato e un clima di confronto e An nulla. Non è un caso che il vicepresidente del Consiglio, abbia sfogato ieri la sua irritazione nei confronti di Casini, invitandolo «a non prendere partito per l´una o l´altra delle posizioni in campo». Che le cose stiano così, lo provano anche le reazioni al discorso di Ciampi di ieri: entusiaste da parte di Rutelli, Fassino, D´Alema e Follini. Il quale, sull´opportunità del dialogo, ha usato toni ben diversi da quelli di Fini. Ha parlato di «abbattere la muraglia» e ha fatto appello all´opposizione affinché non salga sull´Aventino. Scettica è rimasta Alleanza nazionale che, per bocca del capogruppo alla Camera Ignazio La Russa, ha rivendicato il diritto di opporsi all´indulto. E apertamente critica la Lega: «Quello di Ciampi non è un discorso da grande riformista», ha commentato il presidente dei deputati Alessandro Cè, «il suo atteggiamento è parzialmente conservatore. Spero che nelle sue parole non ci fosse nostalgia per logiche del passato...». Quanto a Forza Italia, ieri si è trovata in imbarazzo. Il partito del premier ha affidato il commento al solo portavoce Sandro Bondi, il quale ha detto che il «dialogo è la via obbligata», ma ha subito aggiunto che si tratta di «una via irta di difficoltà» e ha depotenziato il discorso del capo dello Stato vedendovi «un appello» verso «un metodo e una meta che appaiono lontani e contraddetti in più circostanze». Silvio Berlusconi infatti, è scettico quanto e più di Fini sulla necessità di compiere le riforme in ogni modo e anche nel merito si è espresso pubblicamente per il presidenzialismo alla francese. Tuttavia, non ha mai escluso la subordinata di un premier con poteri rafforzati, ha spiegato di invidiare quelli che ha Tony Blair, ed è probabile che se tra questi poteri ci fosse anche quello di proporre lo scioglimento delle Camere, l´ipotesi per lui sarebbe accettabile. In ogni caso, che la prossima sfida sia per un posto da premier o da presidente della Repubblica, il Cavaliere è pronto. Ieri ha incassato lo scontato via libera di Fini e comincia a vedere più chiaro il profilo del suo possibile avversario. Pur con la cautela dovuta al fatto che mancano ancora tre anni e rotti al voto, nel centrosinistra si rafforza la candidatura di Romano Prodi. L´uomo che sconfisse Silvio nel `96.
Umberto La Rocca

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