Riforme, Fini frena i presidenti delle Camere
«Non si schierino, presidenzialismo anche
a maggioranza». Pera d’accordo con Casini sul premierato
ROMA - Gianfranco Fini dà ragione al collega
di partito Ignazio La Russa che in una lettera aveva richiamato il presidente
della Camera Pier Ferdinando Casini a non «tifare» per il cancellierato
ma ad attenersi alla terzietà delle istituzioni. Fini fa suo quell’ammonimento
e ne precisa il senso. Casini aveva immaginato per l’Italia «un cancelliere
forte sul modello tedesco». La Russa prima e Fini poi, fautori da
sempre del presidenzialismo, gli dicono più o meno di non immischiarsi
nel dibattito politico sulle riforme che è materia precipua dei
partiti. Un gesto politico forte che certifica l’avvenuta caduta di amorosi
sensi tra il leader di An e il presidente della Camera. Non solo. A complicare
il quadro, di lì a poco giungono le parole di Marcello Pera in favore
dell’elezione diretta di un premier dotato di maggiori poteri di quelli
attuali. Parole dette al Quirinale dinanzi al presidente Ciampi e che rispecchiano
opinioni già note e in sintonia con Casini. Ma andiamo con ordine.
FINI - Il vicepremier parla alla presentazione
del nuovo libro di Bruno Vespa, accanto a lui siedono Marco Follini, Piero
Fassino e Francesco Rutelli. Vespa chiede a Follini un commento sulla lettera
di La Russa a Casini. Fini si intromette e offre l’interpretazione autentica.
La Russa, dice Fini, «ha richiamato il presidente della Camera a
un dovere che, ad avviso di La Russa e anche mio, i presidenti delle Camere
devono avvertire e a mio modo di vedere avvertono: in un momento in cui
riparte, tra mille difficoltà, il dibattito su quale forma di governo,
è il dovere di non prendere posizione per l’una o l’altra ipotesi».
L’intervento di Casini, obietta subito Follini, è stato «corretto
e appropriato».
Fini poi ribadisce la propria preferenza per
il presidenzialismo. E sottolinea che per realizzare le riforme è
necessario un ampio accordo. Ma che in mancanza di esso non si può
pensare di non farle. Un’opinione questa diversa da quella di Follini per
il quale invece occorre coinvolgere l’opposizione per evitare che durino
«soltanto una legislatura».
OPPOSIZIONE - A sinistra piace soprattutto il premierato e il completamento del sistema maggioritario. Massimo D’Alema ne parla come di una necessità. Occorre, dice, «un governo del premier scelto assieme alla sua maggioranza con una serie di pesi e contrappesi». Questa opzione, aggiunge il leader dei Ds Piero Fassino, serve «a respingere nettamente la deriva populista e plebiscitaria» e chiudendo «così i conti con una transizione istituzionale incompiuta». Infine Francesco Rutelli. L’esponente della Margherita ricorre a un’immagine biblica: «Chi sarà candidato dovrà fare il bagno nel fiume Giordano e uscire battezzato in modo solenne dal popolo».
«Perché dovremmo seguire le opposizioni?»
MILANO - «Dialogo sulle riforme? D'accordo.
Se però l'opposizione si mette di traverso come ci comportiamo?
Non facciamo più le riforme? Perché alla fine il rischio
è proprio questo: continuare a parlare e non toccare di una virgola
l'assetto dello Stato centralista. Significa impedire il federalismo. Io
sono rispettoso, molto rispettoso della Costituzione. La Costituzione è
al di sopra di tutti noi e detta le regole del gioco. Ma fra le regole
del gioco c'è forse il consociativismo? Non mi pare. Il consociativismo
è nemico delle riforme, le blocca». Umberto Bossi sale sull'aereo
per Roma un paio di ore dopo l'intervento del Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi che ha sollecitato centrodestra e centrosinistra al
confronto.
Ministro Bossi, il capo dello Stato ha detto
che la «strada del dialogo è la sola percorribile in direzione
di una visione di largo respiro dei problemi istituzionali che eviti modifiche
parcellari». Lei, al contrario, ha sempre sostenuto la necessità
di procedere a colpi di maggioranza. Ora cambia idea?
«Non cambio affatto idea: c'è una
maggioranza e la maggioranza vota le riforme. Si discute, ci si confronta
ma alla fine occorre venire al dunque. E se l'intesa non si trova si procede.
A maggioranza. Il Paese chiede le riforme e ha dato un segnale preciso
alle ultime elezioni. Non intendiamo rimangiarci la parola e le promesse
date».
Il che equivale a dire: non sono d'accordo
con Ciampi.
«Io non intendo minimamente contestare
il Presidente verso il quale nutro vero rispetto».
Però non ne condivide il monito: la
Costituzione non si presta ad essere riformata pezzo a pezzo ad ogni cambio
di maggioranza, pena la coerenza e la stabilità delle istituzioni.
Questo ha ribadito Carlo Azeglio Ciampi.
«Se non sbaglio era proprio Ciampi Presidente
della Repubblica quando fu approvata la riforma costituzionale del Titolo
V. La riforma dell'Ulivo. Passò con quattro voti. Non ci fu alcuna
intesa e non si gridò allo scandalo. Ciampi non parlò. Allora
il centrosinistra aveva la maggioranza in Parlamento e a maggioranza fu
modificata la Carta Costituzionale. Oggi invece si dovrebbe procedere in
modo diverso. Perché mai? Perché se governa il centrodestra
si deve inseguire il consociativismo? Perché la maggioranza deve
inseguire le opposizioni? Per fortuna il meccanismo consociativo è
morto ed è stato sepolto. Sarebbe davvero sbagliato, da parte nostra,
non tenere conto della volontà che hanno espresso gli elettori».
Lei non crede che le grandi riforme debbano
esser approvate con il concorso sia della maggioranza sia della opposizione?
«Va benissimo ma se l'opposizione non ci
sta che cosa resta? Se l'opposizione non le vuole? Continuiamo a rinviare?
A parlare senza concludere niente? No, ciò che valeva per il Titolo
V modificato a maggioranza dal centrosinistra varrà anche per le
grandi riforme del centrodestra.
Semmai visto che la Costituzione offre la possibilità
di referendum confermativo nel caso in cui le riforme non siano approvate
con la maggioranza dei due terzi in Parlamento sarà il popolo ad
avere l'ultima parola. Questa è la strada maestra».
Il Presidente Ciampi ha sottolineato che la
«stella polare» è l'articolo 5 della Costituzione. «La
Repubblica una e indivisibile».
«Nessuno intende toccare l'articolo 5.
Semmai si parla dell'articolo 117: la devoluzione, il trasferimento di
competenze dallo Stato alle Regioni».
Lei e Gianfranco Fini ribadite che le riforme
si approvano a maggioranza. Il Quirinale chiede un percorso diverso e un
coinvolgimento dell’opposizione. C'è il rischio di uno scontro istituzionale?
«Non credo proprio perché il governo
procederà lungo la strada maestra della Costituzione: eventuale
referendum confermativo se non sarà raggiunto il consenso dei due
terzi di Camera e Senato».
Pare di capire che il dialogo con l'opposizione
non ci sarà mai.
«Su alcuni temi è indubbiamente
difficile. Ad esempio sulla giustizia.
Com’è possibile votare la riforma della
giustizia con chi ha utilizzato una parte della magistratura per andare
al potere? Con chi ha una concezione così deformata del ruolo della
magistratura? Impossibile. Di conseguenza si deve andare avanti. C'è
una maggioranza che è legittimata dal popolo a fare le riforme.
E le deve fare».
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