Riforme Istituzionali
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Dialogo sulle riforme: dopo lo scontro ... il "pensiero unico"?!


Corriere della sera  04-01-2003
 
Fini: trattiamo sul premier scelto dal popolo
Il leader di An: non si può ricominciare con le bandiere di partito. La protesta dei magistrati è di una gravità enorme

ROMA - Se non fosse perché è vicepremier, se non fosse perché è stato uno dei protagonisti della Bicamerale presieduta da D’Alema, avrebbe comunque titolo a parlare di riforme perché «io sono uno dei pochi sopravvissuti della commissione Bozzi». Vecchio non è Fini, sebbene ieri abbia festeggiato il suo 51° compleanno, però è bastato accostasse alla sua esperienza il nome dell’esponente liberale che guidò il primo tentativo di modifica delle istituzioni, per sottolineare quante volte il Palazzo ha invano tentato di riformarsi. Così, l’assenza di enfasi nelle sue parole non è solo dettata dalla prudenza di chi ha vissuto i fallimenti passati, ma dal fatto che per realizzare l’impresa servono ora «certe condizioni». Intanto che non ci siano condizioni, che non si parta con i diktat, «perché è ovvio che An è da sempre favorevole al modello semi-presidenzialista francese, ma non si può pensare di ricominciare daccapo, con le bandiere di partito, con l’idea che le riforme diventino armi per regolamenti di conti o per sparate propagandistiche. Altrimenti non si andrà da nessuna parte». E allora, se si vorrà discutere del nuovo assetto dello Stato, «bisognerà parlarne coniugando i verbi al futuro, pensando ciò che sarà, non disegnando la realtà del presente. Le riforme si fanno per i cittadini e non per i protagonisti del dibattito politico di oggi». Fra le tante cause dei precedenti naufragi, «la più forte - secondo Fini - fu che mancò la consapevolezza di stabilire un equilibrio complessivo di pesi e contrappesi tra le istituzioni. Ed è proprio il riferimento che ha fatto Ciampi nel suo messaggio di fine anno».

 
In realtà il capo dello Stato ha posto soprattutto un altolà al modello presidenzialista. Che effetto le ha fatto, visto che lei è stato uno dei sostenitori di Ciampi nella sua corsa al Quirinale?
«Il capo dello Stato non ha posto alcun veto e certo non sono pentito della scelta fatta a suo tempo, anzi. Ciampi in questo momento svolge al meglio il suo ruolo, che è di richiamo ai valori di una forte identità nazionale, unito all’idea della patria europea che sta nascendo. Ed è proprio questo il punto. L’Italia è al centro di un processo di doppia devoluzione: da una parte sta trasferendo quote di sovranità all’Europa e dall’altra sta delegando compiti alle Regioni. Si tratta di un sistema delicato, e in questa catena non si può immaginare che il governo centrale rimanga l’anello debole. Serve invece un esecutivo forte, che garantisca sia "interessi nazionali" in sede europea, sia "l’identità nazionale" nei rapporti con le autonomie locali. Tra i governatori, Storace è stato il primo a porre il problema, ma tutti i presidenti delle Regioni sono consapevoli di questa necessità. Se così non fosse, allora sì ci sarebbe il rischio di veder rompere il principio dell’unitarietà. È su questo tema che bisogna verificare se esiste una convergenza in Parlamento».

Vuol dire che è disposto ad accettare una ipotesi subordinata rispetto al semi-presidenzialismo?
«Intanto vorrei non si demonizzassero le posizioni che non si condividono. Non si può parlare di devolution e passare per qualcuno che vuole disgregare il Paese, non si può sostenere il presidenzialismo ed essere accusati di voler andare verso una deriva plebiscitaria di tipo venezuelano».

Ma se si lavorasse attorno al progetto del premierato?
«Se si è d’accordo con l’idea di rafforzare i poteri dell’esecutivo, allora significa che tutti prendono in considerazione l’idea di modificare gli attuali equilibri, comprese anche quelle che sono oggi le prerogative del Capo dello Stato. E si vedrà subito se c’è qualcuno che parla di premierato e pensa al cancellierato, se discute di ipotesi innovative e poi si arrocca su posizioni di retroguardia. A mio avviso esistono alcune colonne d’Ercole che prendono origine da un messaggio inviato alle Camere durante il suo settennato da Cossiga. L’allora presidente della Repubblica pose il problema su quale fosse il baricentro della legittimità di un governo. Io penso risieda nel corpo elettorale, pertanto le colonne d’Ercole di cui parlo sono il fatto che nessuna maggioranza parlamentare e nessun premier possono essere diversi da quelli scelti dagli elettori. In questo senso gli ultimi anni non sono passati invano, sono stati già acquisiti elementi di bipolarismo e di una corretta democrazia dell’alternanza. Ma questi elementi devono essere consolidati, proprio come dice Ciampi».

Ritiene che il premier scelto dagli elettori dovrebbe avere quindi il potere di nominare e revocare i ministri e soprattutto di sciogliere le Camere?
«Sì. Ciò significherebbe che non avrebbe più senso la fiducia parlamentare a un governo, mentre avrebbe ancora un senso il meccanismo della sfiducia. Ma l’atto di sfiducia al Governo del premier porterebbe alle elezioni. Simul stabunt, simul cadent . Attenzione però a non soffermarsi solo su questo tema, non si possono modificare alcuni Titoli della seconda parte della Costituzione senza toccarne altri. Le riforme vanno fatte tenendo in considerazione gli equilibri tra istituzioni e devono andare a regime insieme. Altrimenti è meglio non partire».

Se sta mandando un messaggio a qualcuno sia più esplicito.
«Non ho problemi: mi riferisco a quella riforma che viene considerata una fissazione monomaniacale di Berlusconi, e che invece è una necessità. Mi riferisco al problema della magistratura. E tra i magistrati c’è chi sembra non rendersi conto di quel che fa. Trovo di una gravità enorme la richiesta rivolta ai suoi iscritti dall’Anm, affinché inaugurino l’Anno giudiziario con in mano la Costituzione, come se la Costituzione fosse minacciata. E da chi?».

Provi a indovinare?
«Ma è grave che, nel momento in cui si cerca di ripartire con le riforme, una parte dei magistrati lanci il messaggio che il suo ordine è minacciato dalla politica».

Dicono di rifarsi al messaggio di Ciampi, che si è presentato in tv agli italiani con la Costituzione sulla scrivania.
«Si permettono di usare come un alibi Ciampi, che nel suo messaggio ha ribadito la necessità di tutelare l’indipendenza della magistratura. Nessuno vuol metterla in discussione. L’atteggiamento dell'Anm è pretestuoso, il suo comportamento è tipico di una mentalità politica, e il processo alle intenzioni è istituzionalmente inaccettabile».

A proposito di temi legati alla giustizia, sull’indulto An si è spaccata.
«No, il partito ha espresso la sua contrarietà. È falso che An lascerà libertà di voto. Il punto è un altro: trattandosi di una materia che riguarda la libertà, ed essendoci stato un appello del Papa rivolto alle Camere, se vi saranno singoli parlamentari che vorranno appellarsi alla loro coscienza, questo diritto andrà tutelato e garantito».

Come immagino vorrà veder garantito e tutelato il bipolarismo se partirà il processo costituente...
«Se opposizione e maggioranza inizieranno a discutere non verranno meno al loro ruolo e alla loro natura. Tra le cause che portarono al fallimento della Bicamerale guidata da D’Alema, ci fu anche l’idea - a mio avviso errata - che si stesse ricercando un inciucio. Strano destino quello del presidente dei Ds: fu lui il primo a coniare quell’espressione e poi a rimanerne vittima... Comunque, se l’accordo non si dovesse trovare, ciò non comporterebbe come conseguenza automatica l’impossibilità di fare le riforme. I padri costituenti furono previdenti, varando l’art. 138 della Costituzione. Ma mi auguro si possa trovare un’intesa. D’altronde l’anno si è già aperto con una notizia positiva».

A cosa si riferisce?
«All’andamento dei conti pubblici, che è migliorato. Ciò significa che Berlusconi non professa solo l’ottimismo della volontà ma anche quello della ragione, e che si iniziano a vedere gli effetti dell’azione di governo. Merito anche del ministro Tremonti, che negli ultimi tempi sembrava una sorta di San Sebastiano».

Qualche freccia l’aveva scagliata anche il suo amico Casini...
«La mia amicizia con il presidente della Camera è destinata a rafforzarsi. Oggi siamo chiamati a incarichi diversi e ciò implica anche obblighi diversi, non ci possiamo comportare come ai tempi in cui eravamo i leader dei nostri rispettivi partiti. Ma la mia stima nei suoi confronti è aumentata, e spero che la cosa sia reciproca».

L’opposizione ritiene comunque che sui conti pubblici non si avrà un effetto virtuoso duraturo, ma soltanto momentaneo e dovuto ai giochi di finanza creativa messi in atto dal ministro dell’Economia.
«Si tratta di operazioni già attuate in altri Paesi. Quanto alla finanza creativa di Tremonti, vorrei ricordare che Schröder sta valutando l’ipotesi di importare il meccanismo dello scudo fiscale in Germania. Non mi risulta che le idee di Visco fossero così apprezzate da essere importate persino in Paesi a guida socialdemocratica».

C’era Visco però al governo quando l’Italia entrò nell’euro.
«E oggi sarebbe sbagliato valutare la moneta unica esclusivamente per l’effetto che ha avuto sui prezzi al consumo. È vero che ha innescato una piccola ripresa dell’inflazione, ma è l’unico elemento negativo rispetto agli enormi vantaggi che ha prodotto. Sono d’accordo con l’analisi svolta da Giavazzi sul Corriere : l’euro è uno strumento indispensabile sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo politico. E la Convenzione europea, di cui mi onoro di far parte, sta lavorando proprio a quel progetto storico».

Francesco Verderami
 


La Stampa 04-01-2003
 
Barbera: sì al confronto, a certe condizioni
«Modello inglese, non soft»
 
ROMA IL premierato, creda, è l´unica via percorribile». All´inglese: governo del premier, con potere di nomina e revoca dei ministri e, soprattutto, di ricorso anticipato alle urne. Augusto Barbera, costituzionalista e ispiratore di D´Alema in questa nuova stagione di riforme, spegne le illusioni che in questi giorni percorrono settori dell´Ulivo. Quelle di un «premierato soft», senza potere di scioglimento delle Camere. Di più: «Bisogna dare al presidente del Consiglio quello che Berlusconi non ebbe nel `94, quello che nel `98 avrebbe permesso a Prodi di evitare la dissociazione di Bertinotti».
 
Ovvero dare per altra via a Berlusconi quello che lui oggi chiede attraverso il presidenzialismo. Si sente già lo stormire delle fronde dell´Ulivo.
«Le ripeto che è l´unica via. Diversamente, riprenderebbe vigore il presidenzialismo voluto dal centrodestra, che nella forma proposta da Berlusconi non è accettabile. Anzi, pericoloso. Come sappiamo il semipresidenzialismo alla francese, in caso di coabitazione è fonte di instabilità o di consociativismo. Viceversa, se dello stesso schieramento, il presidente della Repubblica è di fatto il capo del governo, ma senza controlli da parte del Parlamento. Il Polo potrebbe varare questo sistema a maggioranza. Mentre adesso siamo ancora in una fase in cui Bonaiuti avverte: il premierato può essere una buona mediazione. Il centrosinistra deve capire che non si può far contenti tutti. Una parte consistente dei Ds e della Margherita si muove già in questa direzione. Chi non è d´accordo, è perché ha vocazione proporzionalista e non è interessato al governo del Paese, come Bertinotti e settori della sinistra. Mentre invece, il premierato era già al primo punto delle riforme istrituzionali nel programma dell´Ulivo del `96».

Cesare Salvi però direbbe: perché fare questro regalo a Berlusconi?
«Perché c´è un fortunato velo d´ignoranza su chi vincerà le prossime elezioni. Io, a differenza di Salvi, ho fiducia nella vittoria del centrosinistra».

Il professor Sartori obietterebbe che in Inghilterra non c´è l´elezione diretta del premier...
«Obiezione di tipo formalistico. Anche negli Stati Uniti il presidente non è eletto dai cittadini, ma dai grandi elettori».

Insomma, dobbiamo importare un sistema di tipo inglese, ma restando alle coalizioni, senza il bipartitismo. Non è come cercare la quadratura del cerchio?
«Che è già stata realizzata. Con l´elezione dei sindaci e dei presidenti di regione e province».

Che non sono votati, però, col cosiddetto «Mattarellum»...
«Io lascerei la legge elettorale così com´è. Perché si sa come si entra nella discussione, ma non come se ne esce. Un esempio: la soglia di sbarramento al 4 per cento. Finirebbe come col finanziamento dei partiti, due minuti e l´abbatterebbero all´un per cento. Invece, come dice Ciampi, e anche Pera, manteniamo le nostre conquiste, con tutte le loro imperfezioni».

Ciampi ha fatto un espresso riferimento, nel suo discorso di fine anno, al maggioritario. Ma non al sistema inglese.
«Ciampi, quando ha sottolineato la necessità di un capo dello stato come garante, ha di fatto detto no al semipresidenzialismo. E anche al cancellierato, perché come è noto in Germania si vota col proporzionale. Dunque, resta il modello di tipo inglese, in cui il premier è anche un leader di maggioranza, e ha potere di revoca dei ministri».

E la regina come supremo garante.
«Può esserlo anche il presidente della Repubblica. Non eletto dai cittadini, ma dal Parlamento. Varando però anche la riforma del bicameralismo perfetto, arrivando a un Senato della autonomie. Vede, il punto debole del sistema è proprio questo: la fiducia va votata da una sola Camera. Come accade in Francia, in Inghilterra, in Germania. Perché il premier è un leader di maggioranza, e non si può correre il rischio che vi siano maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. E poi, sa una cosa? Questo è esattamente quanto avveniva nell´Italia pre-fascista. Le Camere venivano sciolte sulla base di una relazione proposta al re dal presidente del Consiglio, allegata in calce al decreto di scioglimento. E, a mio avviso, questo c´è già nella nostra Costituzione: le Camere possono essere sciolte, con parere non vincolante dei due presidenti del Parlamento controfirmato dal presidente del Consiglio. Scalfaro l´interpretò con un ruolo notarile del capo del governo, ma vi può essere l´interpretazione, discussa dalla Costituente, per cui è lo stesso premier l´autore della proposta».



il manifesto 04-01-2003
 
La svolta dell'Ulivo
Sulle riforme il confronto è già riaperto, ma la legge elettorale spacca il centrosinistra

Per ora Carlo Azeglio Ciampi preferisce non tornare sul tema delle riforme e dl dialogo tra i Poli. Quel che voleva dire l'ha detto nel messaggio di capodanno, e adesso, da Napoli, si limita a un laconico: «Spero che il 2003 sia un anno positivo per il dialogo». Se il presidente sceglie la massima prudenza non è perché sia insoddisfatto dalla reazione degli schieramenti al suo appello, ma, al contrario, perché i risultati sono per il momento più che lusinghieri. Ma la fase è delicata: meglio evitare scossoni. E' nel centrosinistra che le parole del capo dello stato hanno inciso più a fondo. Da mesi gli stati maggiori della Quercia e della Margherita miravano a «tornare alla politica abbandonando le piazze», secondo fornula asai in voga nell'Ulivo. Le avances diessine non erano mancate, prima sulla giustizia, poi sulle riforme istituzionali, ma quasi a mezza bocca. La benedizione del Colle ha fatto piazza pulita di ogni timidezza. Quella che l'Ulivo ha lanciato nelle ultime 48 ore è una offensiva di pace in piena regola, che sarà coronata l'8 gennaio prossimo dalla presentazione del pacchetto di riforme proposte dal centrosinistra. Subito dopo sarà convocata l'assemblea dei parlamentari per discutere e controfirmare.
Che l'operazione arrivi in porto, cioè che sia davvero possibile trovare un punto d'accordo tra gli ulivisti e i berluscones, è più che dubbio. Gli stessi leader del centrosinstra non nascondono scetticismo e pessimismo. Ma l'intenzione di provarci c'è davvero. «Tutto l'Ulivo - dichiara per la Margherita Dario Franceschini - deve avere la consapevolezza che sulle riforme costituzionali non ci si può porre il problema se dialogare o meno». E' la stessa posizione espressa dal coordinatore della Quercia Chiti. E sono proprio Chiti e Franceschini a dare per già raggiunto l'accordo tra le varie componenti dell'Ulivo sul progetto di restauro istituzionale.
In realtà le cose sono meno rosee. Il principale nodo irrisolto è la legge elettorale. L'Udeur di Mastella, ma anche una robusta componente trasversale che comprende una parte dei Ds e della Margherita, chiedono il ritorno al proporzionale, o almeno a un sistema misto: il risultato sarebbe il cancellierato su modello tedesco. Ma proprio bloccare il ritorno al proporzionale è una delle molle principali che spiegano il fervore dialogante dell'Ulivo e soprattutto dei Ds. «La via maestra - insiste Chiti - è quella del governo del premier, realizzabile senza modifiche dell'attuale legge elttorale». Alla fine, si può scommttere che sul capitolo legge elettorale l'8 gennaio non verrà detta una parola. La soluzione del nodo verrà rinviata a data da destinarsi.
Sulle altre proposte (sostituzione del senato con una camera delle autonomie locali, statuto dei diritti dell'opposizione, sistema codificato di garanzie sul pluralismo delle tv) lo scontro è meno esplicito, ma è difficile credere che i senatori accetteranno davvero l'harakiri senza colpo ferire.
Infine, regna ancora la massima ambiguità su uno dei punti chiave: i poteri che il centrosinistra concederebbe al premier direttamente eletto (o al cancelliere). Il punto dolente è la facoltà di sciogliere le camere. Gli ulivisti ripetono infatti che va salvaguardata la funzione super partes del presidente della repubblica. Solo che una volta sottrattogli il potere di sciogliere le camere, del ruolo di garanzia del Quirinale resterebbe ben poco, e il premierato finirebbe per somigliare assai al presidenzialismo di Berlusconi. La formula verso la quale l'Ulivo si sta orientando è questa: il primo ministro potrebbe essere sfiduciato dalle camere, ma in questo caso potrebbe decidere le elezioni anticipate.
Neppure sull'opportunità di aprire il confronto, però, l'Ulivo è davvero unito. Verdi e Pdci frenano a tavoletta e mettono in guardia dal procedere con troppa fretta. Il correntone diessino, o almeno una sua vasta componente, è pregiudizialmente contrario a riaprire il dialogo. Non è un caso che ieri il quotidiano vicino alle posizioni dalemiane Il Riformista abbia lanciato un viuolento attacco personale contro Pietro Folena, uno degli esponenti del correntone più ostile al nuovo corso sulle riforme. Rifutare le riforme o «non partecipare a modellarle», conclude il quotidiano, «sarebbe l'ennesimo esercizio di tafazzismo». Non è un mistero che la sterzata dialogante abbia anche una precisa funzione interna al centosinistra: chiudere i conti con il «movimentismo» dell'ultimo anno.
Gli estremi per uno scontro tra i più seri all'interno dell'Ulivo ci sono tutti, e se restano ancora sotto traccia c'è un motivo preciso. I leader dell'Ulivo, anche a porte chiuse, ripetono che la rinuncia alla devolution bossiana è la condizione pregiudiziale per ogni passo ulteriore sulla via delle riforme. Ed è un impegno che, se rispettato, potrebbe terminare il dialogo prima che sia davvero iniziato.

Andrea Colombo

Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2003
 
 
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