Corriere della
sera 17-01-2003
Il premierato un po' fasullo
di Giovanni Sartori
Berlusconi conferma che le riforme istituzionali
sono da fare, con l’intento di «rafforzare i poteri dell’esecutivo».
Come? Se guardiamo alle esperienze riuscite di altri Paesi, i modelli ai
quali rifarsi sono tre: semipresidenzialismo di tipo francese, premierato
di tipo inglese e cancellierato di tipo tedesco. Sulla carta sono tutti
e tre modelli accettabili. Ma in concreto, e cioè alla luce della
situazione italiana, la prima proposta, il modello francese, spaventa non
solo l’opposizione ma anche alcuni settori della maggioranza. L’argomento
è che il presidenzialismo, qualsiasi presidenzialismo, darebbe troppo
potere a chi già dispone, di fatto, di troppo potere (leggi: Berlusconi).
Argomento che prospetta una possibile convergenza tra destra e sinistra
sul premierato. Allora, il premierato. Dovrebbe essere, si diceva, il sistema
inglese. Ma i nostri «premieristi» ci raccontano di un sistema
inglese che non esiste e anche camuffano all’inglese il sistema israeliano.
Cominciamo dai falsi.
Il primo falso è di chi ci racconta che
in Inghilterra il premier è eletto direttamente dal popolo. Assolutamente
no. In Inghilterra non esiste nessuna scheda di voto che indichi il nome
del candidato premier. E nemmeno esiste nessun sottinteso a questo effetto.
Tantovero che il premier inglese può essere tranquillamente cambiato
in corso d’opera. Succede di rado. Ma è successo con Eden nel ’57,
con MacMillan nel ’63, con Harold Wilson nel ’76, e poi con la Thatcher
nel 1990. In tutti questi casi nessuno ha mai protestato né chiesto
nuove elezioni.
Il secondo falso sta nel raccontarci che il premier
inglese ha il potere di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni
quando vuole. Non è così. Il premier inglese ha il diritto
di anticipare le elezioni scegliendone la data. Ma questo è un avvantaggiamento
elettorale, e non (come viene erroneamente interpretato in Italia) un deterrente
inteso a spaventare un Parlamento riottoso.
Veniamo al pasticciamento, e cioè al travestimento
in panni inglesi del sistema israeliano. Israele è stato il solo
Paese al mondo ad aver sperimentato in modo tecnicamente corretto la elezione
diretta del capo del governo. Che è tale se all’elettore viene data
una scheda a sé con il nome e cognome dei candidati tra i quali
scegliere il premier. Il guaio è che l’esperimento è stato
disastroso e che, dopo tre elezioni, Israele se lo è già
rimangiato. Pertanto la formula israeliana è oramai improponibile.
E allora come si fa?
Si fa così: si indica sulla scheda del
voto parlamentare anche il nome del premier designato. Domanda: questa
indicazione equivale a una elezione diretta? Non è chiaro. Lo sarebbe
se l’indicazione fosse vincolante. Ma lo è? Non si sa. E così
stiamo viaggiando sul filo dell’equivoco. Aggiungo che a questo modo imponiamo
all’elettore italiano un «direttismo» truffaldino. Poniamo
che io sia un elettore di destra, ma che io preferisca Fini. Sono costretto
lo stesso a preferire Berlusconi perché il nome già stampato
sulla scheda è il suo. Se l’elezione diretta è vista come
un aumento di democrazia, i nostri premieristi hanno inventato una elezione
diretta senza scelta, e perciò una amputazione di democrazia.
Dicevo che il nostro è un travestimento
in panni inglesi del già defunto sistema israeliano. Lo è,
aggiungo, anche per un altro rispetto: il capo del governo che decide lo
scioglimento delle Camere. In Inghilterra il premier non ha, come si è
visto, questo potere. Ma lo aveva in Israele. Anzi questa è una
importante caratteristica del modello israeliano (quando era un modello).
E, vedi caso, quasi tutti i nostri premieristi la approvano per l’Italia.
Come si vede, la nuova stagione delle riforme
comincia subito male. Quantomeno in chiave di premierato. Ma se tanto mi
dà tanto, temo che sapremo sciupare e «infasullire»
qualsiasi modello. Un quadrupede deve avere quattro gambe. Ma noi ci stiamo
specializzando in quadrupedi a tre gambe che non potranno mai camminare.
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