Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Costituzione italiana e ripudio della guerra


 
La Stampa 19-03-2003
 
La guerra, dunque. Una guerra sulla quale la Costituzione italiana non è muta.
 
     di Massimo Luciani
 
Le disposizioni costituzionali in materia di guerra, è cosa nota, sono state elaborate in un momento storico lontano, nel quale non si potevano nemmeno immaginare i nuovi scenari tecnologici e geopolitici che hanno profondamente modificato il quadro dei rapporti internazionali. Non per questo, però, la Costituzione ha perduto, in questa parte, la sua forza normativa. Se la leggiamo con spirito obiettivo giungiamo rapidamente ad alcune conclusioni piuttosto semplici, che si possono riassumere così.

Primo. L’articolo 11 della Costituzione «ripudia» la guerra. Il ripudio non è un semplice rifiuto, ma un rifiuto accompagnato da una condanna (morale e giuridica). Non è anche, tuttavia, una totale rinuncia alla guerra. La Costituzione, anzi, prevede espressamente la possibilità che la guerra ci sia e impone addirittura un vero e proprio dovere di ricorrere alle armi di fronte all’aggressione da parte di un nemico: questo ci vuole dire l’articolo 52, quando dichiara che il dovere di difendere la Patria è «sacro».

Secondo. Se la guerra difensiva (anche a sostegno di alleati aggrediti) è consentita e anzi, in caso di attacco diretto al nostro paese, doverosa, le altre ipotesi di guerra sono illegittime, perché su di esse grava il ripudio opposto dall’articolo 11. Per sapere se il nostro paese possa legittimamente partecipare ad operazioni di guerra, allora, bisogna chiedersi se quella guerra sia o non sia difensiva. Se non lo è, la si deve ripudiare. Questo è forse il punto più delicato, ed è probabile che la Costituzione debba essere interpretata in modo adeguato alla nuova realtà dei fatti, che ci fa capire come - di fronte ai rischi connessi al terrorismo e alle armi di distruzione di massa, che possono colpire improvvisamente e irreversibilmente - la fattispecie della guerra difensiva non possa più essere limitata all’ipotesi di reazione a un’aggressione.

Terzo. Sempre l’articolo 11 vuole che il nostro paese rispetti le determinazioni delle organizzazioni che assicurano la pace e la giustizia fra le Nazioni, prima fra tutte l’Onu. E’ dubbio, però, che la stessa autorizzazione delle Nazioni Unite sia sufficiente a rendere legittima una guerra che non lo è dal punto di vista della nostra Costituzione.

Se questo è il contenuto delle disposizioni costituzionali, non è difficile concludere che la guerra nei confronti dell’Iraq non possiede nessuna delle caratteristiche della guerra ammessa. Anche se si parte da una nozione adeguatamente ampia di guerra difensiva, qui siamo certamente al di fuori dei suoi confini, per quanto estesi possano essere. E la conseguenza è semplice: se non è una guerra doverosa e non è una guerra consentita, è una guerra illegittima. E la Costituzione la ripudia.



il manifesto 19-03-2003
 «Illegale anche il supporto logistico»
 
Intervista a Umberto Allegretti: l'autorizzazione del governo violerebbe la Costituzione italiana e la Carta dell'Onu
 
   Ida Dominijanni
 
La concessione alla «coalition of willing» dell'uso delle basi militari in territorio italiano è l'oggetto del contendere principale del dibattito di oggi alla camera e al senato. Posta in gioco cruciale, perché da essa e non da altro dipende il tasso di partecipazione dell'Italia alla guerra preventiva di Bush, non avendo quest'ultimo chiesto al governo italiano altro che basi, spazio aereo e infrastrutture. L'Univo e Rifondazione, per una volta congiuntamente, sostengono che concedere le basi sarebbe illeggittimo perché violerebbe l'articolo 11 della Costituzione sul ripudio della guerra. La maggioranza oscilla fra le dichiarazioni radiofoniche di Frattini che non vuole tradire «gli amici americani» negando loro il supporto logistico e l'imbarazzo dei cattolici nel dover tradire il comando papale pacifista per sostenere il governo. Giriamo la questione della legittimità o illegittimità della concessione delle basi militari a Umberto Allegretti, costituzionalista e docente di diritto internazionale all'università di Firenze.

Fino a che punto la concessione dell'uso della basi americane comprometterebbe il governo italiano nella guerra?

La concessione dell'uso delle basi è a pieno titolo una forma di partecipazione alla guerra, come pure la concessione delle infrastrutture e del sorvolo dello spazio aereo nazionale. Nel caso di una guerra unilaterale e preventiva qual è l'attacco all'Iraq, concedendo le basi il governo italiano violerebbe contemporaneamente sia la Costituzione italiana sia la Carta delle Nazioni unite.

C'è chi sostiene però, Buttiglione in testa, che la concessione delle basi sarebbe dovuta nell'ambito del Trattato della Nato.

E' falso. L'articolo 11 del Trattato della Nato, che regola comportamenti e obblighi dei membri dell'alleanza, recita così: «Le disposizioni del presente Trattato saranno applicate dalle parti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali». E la nostra Costituzione, com'è noto, all'articolo 11 ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Dunque l'argomento di Buttiglione non tiene. Aggiungo che la Nato non può sostituire l'Onu: in mancanza di autorizzazione dell'Onu, se pure l'intervento fosse targato Nato sarebbe comunque unilaterale e illegittimo. La Nato è solo un'alleanza militare fra alcuni paesi: deve anch'essa sottostare al sistema delle Nazioni unite. In ogni caso, anche se a intervenire fosse la Nato, l'articolo 11 del Trattato Nato obbligherebbe il governo italiano al rispetto delle procedure fissate in Costituzione, cioè a convocare il parlamento. All'articolo 78, la Costituzione stabilisce infatti che lo stato di guerra - guerra difensiva ovviamente, l'unica contemplata dalla nostra Carta - dev'essere deliberato dal parlamento. Questo articolo va interpretato come una norma generale, per cui dev'essere autorizzato dal parlamento qualunque intervento militare all'estero.

Dalla maggioranza il ministro Giovanardi obietta che la partecipazione italiana alla guerra in Kosovo cominciò prima che il parlamento ne fosse informato. D'Alema replica, atti parlamentari alla mano, che non è vero e che l'invio del contingente militare italiano nel quadro dell'operazione Nato fu annunciata per tempo al parlamento dall'allora vicepresidente del consiglio Sergio Mattarella.

In Kosovo la Nato intervenne senza la copertura dell'Onu, che arrivò solo alla fine della guerra. E la discussione parlamentare, a quanto ricordo, fu effettivamente successiva, anche se di poche ore, all'inizio delle operazioni. Anche in quel caso dunque ci furono delle violazioni del diritto nazionale e internazionale, seppure imparagonabili a quelle attuali.

Il ministro Giovanardi si appella inoltre ad altri accordi internazionali per sostenere la necessità di concedere l'uso delle basi agli Statio uniti. Quali sono questi accordi, e che cosa comportano?

Si tratta di accordi in gran parte segreti o riservati: non li conosciamo e non è chiaro se siano trattati applicativi del trattato Nato o indipendenti da esso. Ma anche ammesso che esistano accordi che ci obbligano a concedere le basi, essi andrebbero applicati comunque secondo la Costituzione, come prescrive il Trattato della Nato che va a buon diritto considerato come il più solenne e quindi regolativo per tutti gli altri.

Alla vigilia della scadenza dell'ultimatum di Bush a Saddam Hussein, riepiloghiamo quante e quali violazioni del diritto internazionale ha collezionato la «strategia preventiva» di Bush?

La Carta delle Nazioni unite è stata stracciata sia sul piano procedurale sia sul piano sostanziale. Sul piano procedurale, perché il voto del Consiglio di sicurezza è stato evitato e il fronte favorevole alla guerra ha deciso di procedere unilateralmente. Sul piano sostanziale, perché la Carta dell'Onu non ammette il ricorso alla guerra - l'Onu è nata esattamente per scongiurarlo - se non come atto di legittima difesa o come ultima ratio dopo il fallimento di azioni pacifiche - e nel caso dell'Iraq le ispezioni sono ancora in corso e non si possono definire fallimentari.

La tesi di Bush e Blair, però, è che il combinato disposto delle risoluzioni dell'Onu numero 678, che autorizzò la guerra del `91, 687, che sospese quell'autorizzazione, e 1441, che accusa l'Iraq di aver violato la 687, autorizza e legittima, a questo punto, il ricorso alla guerra. In altri termini, la sospensione dell'autorizzazione all'uso della forza sarebbe scaduta.

E' un ragionamento che non sta in piedi. Se pure fosse vero che la 687 ha sospeso la 678 per un periodo di tempo che ora scade, la decisione di tornare alla 678 spetterebbe allo stesso organo che l'ha sospesa, cioè al Consiglio di sicurezza.

Ultima e decisiva domanda: l'orientamento del Presidente della Repubblica. Ciampi aveva respinto il coinvolgimento dell'Italia nella guerra attraverso l'invio di uomini e mezzi. Respingerà anche la concessione delle basi?

Non mi sentirei di esserne certo. Leggo che ha convocato per domani (oggi per chi legge, ndr.) il consiglio di difesa, e temo che l'abbia fatto proprio in ordine alla concessione delle basi.


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2003
 
 
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