Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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il manifesto 4-06-2003
 
L'Europa sulla Carta 
 ROSSANA ROSSANDA
 
Chi ha interrogato in questi giorni il sito della Convenzione europea sperando che ne venisse una costituzione emozionante sarà deluso. Non è un documento grande, è soltanto grosso, un malloppo di titoli e articoli e paragrafi nei quali è escluso che, non dico un ragazzino a scuola, ma un adulto non ferrato sia in grado di capire che significa essere diventato europeo. Basterebbe questo a fare scuotere la testa a uno dei grandi padri della nostra costituzione: si ricordi, cara amica - mi diceva - che una legge di più di 12 articoli è una cattiva legge. E' vero che i nostri padri costituenti di articoli ne partorirono 129, ma brevi e chiari; quelli prodotti dalla Convenzione sono centinaia e oscuri. Lasciamo andare le due premesse appese alla citazione di Tucidide, che letta fuori dal suo contesto può sedurre anche Bossi, e i richiami alle origini che fanno arrabbiare Giovanni Paolo II. Sarebbe come se le dichiarazioni dello stato di Virginia e quelle francesi del 1789 si fossero basate sugli antenati - gli indiani o gli sbarcati dal Mayflower? i celti, i sassoni, i franchi o i romani? - invece che proporsi come nuovi patti capaci di dare un'identità proiettata nel presente e nel futuro. Una costituzione è questo.

Non è davvero il caso del profluvio di parole emesso dalla Convenzione. A scorrerlo si vede che è un corpaccio costruito attorno al vero scheletro - il sistema di libero scambio elaborato dalle due istituzioni comunitarie già esistenti, la Commissione e la Banca Centrale. Esso assicura solennemente «la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali» in regime di concorrenza pura (anche sui beni e servizi pubblici) nell'ambito d'una politica monetaria rigidamente controllata. Questa è la spina dorsale della carta, iscritta a cominciare dal vasto titolo III, sotto la voce «mercato interno», e nelle successive disposizioni finanziarie. Il modello sociale di produzione, che le altre costituzioni consentivano ma non imponevano, qui è imposto con relative sanzioni in caso di sgarro.

Rispetto alla minuzia su questo punto, colpisce la vaghezza che regola i diritti della persona. Non che alcuni di essi non siano importanti, come il divieto della pena di morte, ma perlopiù sono rimandati alle leggi esistenti nei singoli stati, con scialo di formule «salvo che», «tenuto conto di», etc.. Specie quelli sociali. Esempio scottante, l'occupazione. Questa costituzione non garantisce il diritto ad un posto di lavoro, solo mezzo di accesso al reddito per chi non sia proprietario, che il mercato non assicura e quindi esigerebbe politiche economiche apposite. Questo testo assicura solo il «diritto a lavorare», ma scarica il come trovare lavoro alle legislazioni locali. Alle quali peraltro vieta ogni intervento sostituivo all'impresa mentre impone una riduzione della spesa pubblica, cioè qualsiasi deficit spending; ogni «deficit eccessivo» subisce sanzione severa della Bce. Anche per il «licenziamento ingiustificato» si rimanda alle legislazioni locali: se vinciamo il referendum sull'articolo 18 ma Maroni non se ne dà per inteso, non è alla costituzione europea che potremo ricorrere.

Del resto è significativo che le parche indicazioni sui rapporti di lavoro siano iscritte sotto il titolo sorprendente di «Solidarietà». Le politiche economiche dell'Unione sono inchiodate entro i muri invalicabili del monetarismo. E' la costituzione sovietica alla rovescia.

L'Europa che ne esce è rigidamente liberista. E' il solo paradigma possibile e pensabile? No. Se è vero che fino a dieci anni fa si parlava dell'Europa come il continente dell'abominato modello socialista o di quello renano - dizione approssimativa che indicava come specifico dell'Europa occidentale un tipo di stato che si dava gli obiettivi proposti da Lord Beveridge e li realizzava attraverso politiche keynesiane.

Sostanzialmente riconosceva la disparità fra chi deteneva capitali e rendite e chi soltanto la propria forza di lavoro. Nessuna legge di natura o «economica» impediva all'Europa del Duemila di assumere e migliorare questo modello. Non l'ha scelto. Il lavoro è scomparso come pilastro dell'architettura istituzionale, negandone il coagulo come soggetto collettivo portatore di diritti. E in ogni campo, salvo la famiglia (anche questa non meglio identificata, dunque si suppone legittima ed eterosessuale), la persona resta isolata, indeterminata socialmente oltre che, potrebbero osservare le femministe, sessualmente - alla pari della merce, del capitale, dei servizi. C'è l'io e c'è il mercato. Basta. Non era mai stato così esplicitamente sancito. Neanche nel modello americano. E' curioso che di questo rivoluzionamento nessuno prenda atto, come se fosse fatale. E' vero che i cittadini si sono visti triturare diritti collettivi e sociali pezzetto per pezzetto negli anni novanta; del trattato di Maastricht o del Patto di stabilità neppure si è accorta l'Italia sotto il frastuono di Tangentopoli. Eppure erano i prodromi dell'oggi, prodotti e producenti le loro due istituzioni di comando, la Banca centrale europea e la nuova Commissione. E non è un caso che ambedue si siano validamente difese nella Convenzione: è di gustosa lettura, per esempio, la procedura di nomina dei dirigenti della Bce recepito dalla Convenzione, implicante il previo accordo dell'esecutivo uscente, sorta di diritto ereditario. Quanto alla Commissione, sono note le tensioni fra il Consiglio, oggi frutto degli accordi fra gli stati, domani anche del parlamento europeo, e la Commissione medesima che comprensibilmente si considera il vero esecutivo dell'Unione.

Soltanto a questo punto diventa rilevante il sistema attraverso cui si decide - a maggioranza o all'unanimità? - del quale si parla e ha parlato Carlo Azeglio Ciampi. Come si decide in politica estera o interna nell'Unione? Chi vorrebbe «una Ue che parli con una sola voce» sarebbe un europeista doc, chi vorrebbe più garanzie per gli stati sarebbe un conservatore. In altre parole: l'Europa è un'entità politica unica o una somma di stati? Se mettiamo l'accento sull'unità si deve decidere a maggioranza, se siamo una somma di stati si decide all'unanimità, lasciando di fatto a ciascuno un potere di veto. Questa seconda scelta è sospettata essere quella dell'establishment francese e dell'informale direttorio franco-tedesco che si è espresso contro Bush sulla guerra in Iraq.

E' difficile far funzionare una unità nella diversità, slogan che suscita bizzarri ricordi. E non si sfugge al disagio di una discussione puramente procedurale, che elude la complessità di un continente fino a ieri diviso e segnato dalle cicatrici di conflitti, che nessun marchingegno basta a cancellare e risorgono a ogni passo. Probabilmente l'unità europea esigeva un avvicinamento più articolato e più partecipato di quanto non sia una Convenzione separata e cavillosa, il cui frutto rivela un compromesso ogni due righe. Ma non solo: rivela clamorosamente l'assenza di un'ottica di rinnovamento in grado di contrattare sia con le pulsioni frettolosamente unitarie delle istituzioni economiche liberiste, sia di opporsi al sabotaggio delle destre nazionaliste.

C'è di più. Questa costituzione sembra pensata nel contesto internazionale del dopoguerra, quando sia la Carta delle Nazioni Unite, sia il bilanciamento fra le due superpotenze parevano assicurare all'Europa una condizione singolare. Dal 2002 l'Europa si trova sotto la pressione di una sola superpotenza, gli Stati uniti, oggi a vocazione arrogantemente universalista, fondata sulla preminenza militare. Come si colloca rispetto ad essa? Sulla guerra nel Medio oriente è saltata la unità «occidentale» che pareva implicita. E i tentativi di riavvicinamento di questi giorni nascondono sotto le buone maniere diversità profonde nella concezione dei rapporti e del diritto internazionale. Impossibile eludere la questione: l'Europa si vuole un interlocutore alla pari degli Stati uniti o un alleato che non pone condizioni? Fa sgomento pensare che se fosse prevalso il principio di maggioranza saremmo stati costretti ad andare alla guerra in Iraq. E più potremmo esserlo con l'allargamento dell'anno prossimo a venticinque paesi, che non a torto gli Usa considerano una loro vittoria.

La storia non è finita, neanche negli Stati uniti, ma a breve le cose stanno così. E non solo in questa direzione. La Ue si deve definire anche sulla globalizzazione che in questi anni si è estesa e ha prodotto una grande soggettività contestatrice. Ma questa costituzione si barrica nei confronti del cosiddetto sud del mondo: è vergognoso quel che dice e non dice sulle migrazioni. Insomma, la Convenzione sembra aver lavorato senza accorgersi che il mondo attorno ad essa cambiava. Questo è il nocciolo del problema: nel come si decide rientra prepotentemente il che cosa si decide.

Sarebbe cieco provincialismo lasciare questo progetto di costituzione, come l'idea stessa d'una Europa, fuori dalle discussioni dei popoli, o almeno della loro maggioranza pensante. Gli emendamenti saranno abbandonati alle sole destre nazionaliste, che volentieri la lascerebbe marcire? Dentro e fuori le istituzioni, le sinistre si devono svegliare.


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2003
 
 
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