Le norme delle Costituzioni scritte possono restare identiche nel tempo,
ma se cambia il sistema politico nel quale sono calate può variare
la loro concreta applicazione ed esse possono assumere valenze diverse,
anche impreviste. Ora l’attenzione s’incentra sulle commissioni d’inchiesta
parlamentare, a seguito delle polemiche sorte per la proposta di esponenti
dell’attuale maggioranza di istituirne una sul fenomeno Tangentopoli e
sulla politicizzazione della magistratura.
L’art.82 della Costituzione delinea l’inchiesta come il più
penetrante potere ispettivo-conoscitivo del Parlamento, che può
essere azionato dalla maggioranza in quanto non è richiesto un quorum
più elevato come per altre deliberazioni.
Nella cosiddetta Prima Repubblica, si era però affermata una
consuetudine in base alla quale la maggioranza accoglieva generalmente
le proposte d’inchiesta sostenute dalle minoranze. Era una ragionevole
attuazione della norma costituzionale mediante la quale si dava spazio
al controllo politico dell’opposizione in un sistema bloccato, con una
maggioranza stabilmente incentrata sulla Dc e i suoi alleati e gli altri
partiti esclusi dall’area di governo.
Con l’avvento del maggioritario e dell’alternanza le cose sono cambiate.
Nella scorsa legislatura è saltata la vecchia consuetudine. Nonostante
l’insistenza dell’opposizione nel richiederla, la maggioranza di centro
sinistra respinse infatti una proposta d’inchiesta sulla corruzione politica
e sull’intreccio politica e affari, in sostanza sul fenomeno Tangentopoli,
la quale aveva qualche aspetto in comune con quella attualmente all’esame
della Camera dei deputati, ma che era sicuramente meno penetrante nei confronti
della magistratura.
In questa legislatura, il centro destra ha individuato nell’inchiesta
parlamentare uno strumento utile alla sua politica, innanzi tutto per indagare
sull’attività dei precedenti governi del centro sinistra (emblematica
è la Commissione sulla vicenda Telecom-Serbia). E’ l’alternanza
al governo che conferisce all’istituto nuove possibilità di utilizzazione
rispetto al passato e lo trasforma da strumento di controllo voluto dall’opposizione
a mezzo adoperato dalla maggioranza per mettere in difficoltà l’opposizione.
Ma la maggioranza ha anche ripreso l’idea dell’inchiesta su Tangentopoli,
accentuando l’aspetto dell’accertamento di malfunzionamenti di organi giudiziari,
in relazione ad una loro politicizzazione. L’opposizione ritiene che una
tale inchiesta violerebbe i principi costituzionali che tutelano l’indipendenza
della magistratura.
Il caso specifico, indipendentemente da quel che se ne può pensare
nel merito, pone un problema generale: si può evitare che la maggioranza,
forte dei numeri in Parlamento, utilizzi il potere di inchiesta in contrasto
con principi costituzionali?
Si è detto che l’opposizione, rifiutandosi di partecipare, potrebbe
impedire l’avvio dell’inchiesta poiché la Costituzione prevede una
composizione della Commissione che deve svolgerla tale da rispecchiare
la proporzione dei vari gruppi parlamentari.
E’ un’idea che non trova però un solido appiglio nel sistema
costituzionale. A parte il fatto che la composizione proporzionale è
prevista anche per le commissioni con funzioni legislative, questa tesi
finisce per affidare ad ogni singolo gruppo parlamentare il potere di impedire
a sua discrezione la formazione di qualsivoglia commissione d’inchiesta.
Poiché, infatti, la proporzionalità è stata intesa
come garanzia di partecipazione di tutti i gruppi parlamentari, in concreto
ogni deliberazione istitutiva di un’inchiesta dovrebbe essere assunta con
una sostanziale unanimità. Ma la Costituzione non richiede alcuna
maggioranza speciale per le deliberazioni relative alle inchieste.
Vi è di più. Le leggi istitutive delle inchieste affidano
ai Presidenti delle Camere la nomina della Commissione. E’ un potere-dovere
al quale essi non possono sottrarsi: se i gruppi si rifiutassero di indicare
i nomi dei loro rappresentati (indicazione che avviene per prassi e non
in base a norme cogenti), i Presidenti sarebbero tenuti ugualmente alla
nomina dei componenti la Commissione perché in caso contrario si
renderebbero responsabili della violazione di un obbligo stabilito nella
deliberazione istitutiva dell’inchiesta.
Tutto ciò non significa che non possano esservi rimedi di fronte
a proposte di inchiesta in contrasto con i principi costituzionali. Essi
sono affidati non all’unilaterale iniziativa dei gruppi parlamentari, ma
al filtro di organi di garanzia: al vaglio di ammissibilità di proposte
incontrovertibilmente eversive dell’ordine costituzionale, di cui sono
titolari i Presidenti delle Camere; nei casi, e sono la maggioranza, di
inchieste istituite con legge, può intervenire il potere di rinvio
del Presidente della Repubblica, che è esercitabile con una latitudine
maggiore dei poteri dei Presidenti delle Camere; infine vi sono i rimedi
esperibili davanti alla Corte costituzionale: non solo l’eccezione di costituzionalità
della legge istitutiva dell’inchiesta, ma anche quello del conflitto di
attribuzioni nel caso essa interferisca con l’esercizio di competenze di
altri poteri dello Stato.
Le polemiche di questi giorni devono far sviluppare una riflessione
su due versanti, distinti ma connessi.
Primo. Valutare in una prospettiva di riforma costituzionale come si
vuole siano disciplinate le inchieste parlamentari. Da varie parti, infatti,
si è prospettata l’idea di imitare il sistema tedesco e attribuire
la potestà di instaurarle anche ad una minoranza qualificata. Ma
in tal caso non vedo come si potrebbe negare che uguale potere possa avere
la maggioranza. Se invece ci si preoccupa dei possibili abusi della maggioranza,
si può pensare ad una strada opposta, che è quella di aumentare
il quorum di decisione in modo che di essa sia partecipe sempre anche una
consistente quota dell’opposizione. Si tornerebbe in tal modo ad una pratica
simile a quella del passato.
Secondo. Nell’attuale situazione, che è ancora di transizione
costituzionale e di progressivo affermarsi del sistema maggioritario, i
partiti dovrebbero evitare che lo scontro politico si incentri proprio
sull’utilizzazione e sul significato da dare agli istituti costituzionali.
L’eccessiva rissosità delegittima il sistema e rende impossibile
l’approdo ad un maturo bipolarismo di alternanza. Per avviare un’inchiesta
parlamentare sarebbe opportuno sforzarsi di trovare un terreno d’intesa
che segni, come ha detto il Presidente Casini, un «momento di unità
istituzionale». Appare comunque necessario meditare sul fatto che
l’istituzione di un eccessivo numero di Commissioni d’inchiesta può
essere la spia di un Parlamento debole, impacciato nell’intervenire più
concretamente. Il tempo e la fatica per varare e svolgere le inchieste
potrebbero essere utilmente impiegati per affrontare riforme attese dai
cittadini tra le quali - perché no? - anche quella dell’ordinamento
giudiziario.
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