Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Il Messaggero 17-08-2003
 
Le tante inchieste del Parlamento
 
   di Vincenzo Lippolis - Professore di Diritto Pubblico Comparato Università Federico II, Napoli

 
Le norme delle Costituzioni scritte possono restare identiche nel tempo, ma se cambia il sistema politico nel quale sono calate può variare la loro concreta applicazione ed esse possono assumere valenze diverse, anche impreviste. Ora l’attenzione s’incentra sulle commissioni d’inchiesta parlamentare, a seguito delle polemiche sorte per la proposta di esponenti dell’attuale maggioranza di istituirne una sul fenomeno Tangentopoli e sulla politicizzazione della magistratura.
L’art.82 della Costituzione delinea l’inchiesta come il più penetrante potere ispettivo-conoscitivo del Parlamento, che può essere azionato dalla maggioranza in quanto non è richiesto un quorum più elevato come per altre deliberazioni.
Nella cosiddetta Prima Repubblica, si era però affermata una consuetudine in base alla quale la maggioranza accoglieva generalmente le proposte d’inchiesta sostenute dalle minoranze. Era una ragionevole attuazione della norma costituzionale mediante la quale si dava spazio al controllo politico dell’opposizione in un sistema bloccato, con una maggioranza stabilmente incentrata sulla Dc e i suoi alleati e gli altri partiti esclusi dall’area di governo.
Con l’avvento del maggioritario e dell’alternanza le cose sono cambiate. Nella scorsa legislatura è saltata la vecchia consuetudine. Nonostante l’insistenza dell’opposizione nel richiederla, la maggioranza di centro sinistra respinse infatti una proposta d’inchiesta sulla corruzione politica e sull’intreccio politica e affari, in sostanza sul fenomeno Tangentopoli, la quale aveva qualche aspetto in comune con quella attualmente all’esame della Camera dei deputati, ma che era sicuramente meno penetrante nei confronti della magistratura.
In questa legislatura, il centro destra ha individuato nell’inchiesta parlamentare uno strumento utile alla sua politica, innanzi tutto per indagare sull’attività dei precedenti governi del centro sinistra (emblematica è la Commissione sulla vicenda Telecom-Serbia). E’ l’alternanza al governo che conferisce all’istituto nuove possibilità di utilizzazione rispetto al passato e lo trasforma da strumento di controllo voluto dall’opposizione a mezzo adoperato dalla maggioranza per mettere in difficoltà l’opposizione.
Ma la maggioranza ha anche ripreso l’idea dell’inchiesta su Tangentopoli, accentuando l’aspetto dell’accertamento di malfunzionamenti di organi giudiziari, in relazione ad una loro politicizzazione. L’opposizione ritiene che una tale inchiesta violerebbe i principi costituzionali che tutelano l’indipendenza della magistratura.
Il caso specifico, indipendentemente da quel che se ne può pensare nel merito, pone un problema generale: si può evitare che la maggioranza, forte dei numeri in Parlamento, utilizzi il potere di inchiesta in contrasto con principi costituzionali?
Si è detto che l’opposizione, rifiutandosi di partecipare, potrebbe impedire l’avvio dell’inchiesta poiché la Costituzione prevede una composizione della Commissione che deve svolgerla tale da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi parlamentari.
E’ un’idea che non trova però un solido appiglio nel sistema costituzionale. A parte il fatto che la composizione proporzionale è prevista anche per le commissioni con funzioni legislative, questa tesi finisce per affidare ad ogni singolo gruppo parlamentare il potere di impedire a sua discrezione la formazione di qualsivoglia commissione d’inchiesta. Poiché, infatti, la proporzionalità è stata intesa come garanzia di partecipazione di tutti i gruppi parlamentari, in concreto ogni deliberazione istitutiva di un’inchiesta dovrebbe essere assunta con una sostanziale unanimità. Ma la Costituzione non richiede alcuna maggioranza speciale per le deliberazioni relative alle inchieste.
Vi è di più. Le leggi istitutive delle inchieste affidano ai Presidenti delle Camere la nomina della Commissione. E’ un potere-dovere al quale essi non possono sottrarsi: se i gruppi si rifiutassero di indicare i nomi dei loro rappresentati (indicazione che avviene per prassi e non in base a norme cogenti), i Presidenti sarebbero tenuti ugualmente alla nomina dei componenti la Commissione perché in caso contrario si renderebbero responsabili della violazione di un obbligo stabilito nella deliberazione istitutiva dell’inchiesta.
Tutto ciò non significa che non possano esservi rimedi di fronte a proposte di inchiesta in contrasto con i principi costituzionali. Essi sono affidati non all’unilaterale iniziativa dei gruppi parlamentari, ma al filtro di organi di garanzia: al vaglio di ammissibilità di proposte incontrovertibilmente eversive dell’ordine costituzionale, di cui sono titolari i Presidenti delle Camere; nei casi, e sono la maggioranza, di inchieste istituite con legge, può intervenire il potere di rinvio del Presidente della Repubblica, che è esercitabile con una latitudine maggiore dei poteri dei Presidenti delle Camere; infine vi sono i rimedi esperibili davanti alla Corte costituzionale: non solo l’eccezione di costituzionalità della legge istitutiva dell’inchiesta, ma anche quello del conflitto di attribuzioni nel caso essa interferisca con l’esercizio di competenze di altri poteri dello Stato.
Le polemiche di questi giorni devono far sviluppare una riflessione su due versanti, distinti ma connessi.
Primo. Valutare in una prospettiva di riforma costituzionale come si vuole siano disciplinate le inchieste parlamentari. Da varie parti, infatti, si è prospettata l’idea di imitare il sistema tedesco e attribuire la potestà di instaurarle anche ad una minoranza qualificata. Ma in tal caso non vedo come si potrebbe negare che uguale potere possa avere la maggioranza. Se invece ci si preoccupa dei possibili abusi della maggioranza, si può pensare ad una strada opposta, che è quella di aumentare il quorum di decisione in modo che di essa sia partecipe sempre anche una consistente quota dell’opposizione. Si tornerebbe in tal modo ad una pratica simile a quella del passato.
Secondo. Nell’attuale situazione, che è ancora di transizione costituzionale e di progressivo affermarsi del sistema maggioritario, i partiti dovrebbero evitare che lo scontro politico si incentri proprio sull’utilizzazione e sul significato da dare agli istituti costituzionali. L’eccessiva rissosità delegittima il sistema e rende impossibile l’approdo ad un maturo bipolarismo di alternanza. Per avviare un’inchiesta parlamentare sarebbe opportuno sforzarsi di trovare un terreno d’intesa che segni, come ha detto il Presidente Casini, un «momento di unità istituzionale». Appare comunque necessario meditare sul fatto che l’istituzione di un eccessivo numero di Commissioni d’inchiesta può essere la spia di un Parlamento debole, impacciato nell’intervenire più concretamente. Il tempo e la fatica per varare e svolgere le inchieste potrebbero essere utilmente impiegati per affrontare riforme attese dai cittadini tra le quali - perché no? - anche quella dell’ordinamento giudiziario. 


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2003
 
 
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