La Stampa
18-02-2004
Massimo Luciani
Federalismo e inefficienza
E’ dai primi Anni Ottanta che la discussione sulla riforma costituzionale
ruota attorno al tema dell'efficienza e della governabilità. I Costituenti,
hanno detto in molti, erano stati attenti al pluralismo, anche istituzionale,
ma non avevano perseguito con altrettanto successo la razionalizzazione
del sistema parlamentare, la semplificazione, l'accelerazione delle decisioni.
Si tratta di argomenti che sono invocati ancora oggi da chiunque (a destra
o a sinistra) proponga ipotesi di revisione costituzionale, ma che hanno
ormai un sapore di paradosso.
Qualche perplessità si può nutrire già sulla necessità
di rafforzare il potere esecutivo: questa legislatura ha dimostrato che,
imprevisti a parte, il governo può far approvare con relativa facilità
in Parlamento le leggi che propone, sicché, semmai, l'esigenza che
si avverte è quella - opposta - di un recupero della sede parlamentare
come luogo di effettiva decisione politica. Anche l'idea di potenziare,
in particolare, il presidente del Consiglio lascia perplessi. In un sistema
politico che non è bipartitico, ma bipolare, non c'è stratagemma
istituzionale che possa rendere compatta una maggioranza indisciplinata,
perché il problema è solo ed esclusivamente quello dell'accettazione
di una leadership. Questo significa che la legittimazione popolare diretta
del presidente del Consiglio (desiderata anche da una parte del centrosinistra)
potrebbe acuire, non placare eventuali tensioni interne alla maggioranza.
E significa anche che la riduzione dei poteri del Capo dello Stato, a fronte
del rafforzamento di quelli del premier, si potrebbe pagare in termini
di stabilità del sistema e di capacità di ricucitura delle
tensioni interne alla maggioranza o tra maggioranza e opposizione. La cosa
più strana, però, è che pochi tengono conto delle
enormi difficoltà decisionali che sono state determinate dalla federalizzazione
del nostro sistema costituzionale. La riforma varata nel 2001 dal centrosinistra
ha causato una lunga serie di problemi interpretativi e applicativi. Il
centrodestra, ora, propone un'altra legge di revisione, che però
non fa tesoro degli errori della precedente maggioranza e rischia di creare
ulteriori ragioni di impaccio e di rallentamento dei processi decisionali.
Così, non si è considerato che uno dei problemi maggiori
che affliggono i rapporti tra Stato e Regioni è quello dell'incertezza
sulle rispettive competenze nelle singole materie. Nonostante questo, non
si prevedono rimedi validi e anzi si aggravano i dubbi (basta pensare al
fatto che la materia «istruzione» è disciplinata quattro
volte, e in quattro modi diversi). Si modifica, poi, la composizione del
Senato, differenziandolo dalla Camera anche quanto alle funzioni e rendendolo
in qualche modo più regionalizzato. Qui, per la verità, ci
sono ancora molti punti oscuri e sembra che non manchino i contrasti nella
stessa maggioranza. Di certo, nel testo sinora approvato non si regolano
con la dovuta precisione i sicuri conflitti di competenza tra Camera e
Senato, affidandone la soluzione all'intesa tra i presidenti delle due
assemblee: un'intesa che potrebbe anche non arrivare e alla cui mancanza
non si prevede un rimedio. Dopo tanto parlare di efficienza le forze politiche
sembrano curarsene dove è meno necessario e disinteressarsene, invece,
proprio sul terreno dei rapporti fra centro e periferia, dove la maggior
complessità dei processi decisionali che sempre consegue al federalismo
dovrebbe essere temperata da meccanismi adeguati di prevenzione e di composizione
dei conflitti.
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