Corriere della
sera 21-04-2004
Dino Martirano
ROMA - L’accompagnamento coattivo alla frontiera dell’immigrato clandestino
è illegittimo se prima non vi è un controllo pieno del magistrato.
In altre parole, il meccanismo dell’espulsione amministrativa decretata
dal questore rischia di essere travolto per mancanza di garanzie nei confronti
dello straniero seppur privo di permesso di soggiorno. Ecco allora che
verrebbe meno uno dei cardini (legge 106 del 2002) sui cui poi si è
poggiata la «Bossi-Fini», ovvero il fiore all’occhiello della
maggioranza in materia di immigrazione. «Bocciato l’architrave di
quella legge», dicono i Ds. Il governo, comunque, è già
pronto a metterci una toppa con un decreto. Dopo mesi di attesa, la Corte
Costituzionale sarebbe in procinto di dichiarare illegittima l’espulsione
amministrativa dell’immigrato con accompagnamento coattivo alla frontiera.
Nella decisione, adottata in camera di consiglio prima di Pasqua ma ancora
non ufficializzata, la Consulta avrebbe riconosciuto che la norma in esame
è in contrasto con l’articolo 13 della Costituzione: «La libertà
personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione,
di ispezione o perquisizione personale se non per atto motivato motivato
dell’autorità giudiziaria e nei soli casi en ei modi previsti dalla
legge». Ancora: «In casi eccezionali di necessità ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere
comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non
li convalida entro le 48 ore successive, si intendono revocati e restano
privi di ogni effetto». Questo è scolpito nella Costituzione.
Ma nel caso dell’espulsione amministrativa dello straniero una marcia
indietro dopo l’allontanamento coattivo sembra oggettivamente impossibile.
Per questo la Corte (il relatore del provvedimento è il giudice
Carlo Mezzanotte) avrebbe dato ragione ai tribunali di Parma e di Roma
che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale:
perché la prevista convalida entro 48 da parte dell’autorità
giudiziaria del provvedimento di espulsione consisterebbe soltanto in un
controllo parziale e non in una verifica capace di garantire il contraddittorio
e il pieno diritto alla difesa. Una volta espulso, infatti, l’immigrato
ingiustamente accompagnato alla frontiera ha poche possibilità di
far valere il suo punto di vista.
Il meccanismo dell’espulsione amministrativa è incardinato nella
legge 106 del 2002, che ha preceduto di poco la Bossi-Fini e che ha modificato
la vecchia Turco-Napolitano. E c’è da dire che il giudice Carlo
Mezzanotte (tutt’altro una «toga rossa») aveva scritto l’ordinanza
105 del 2001 che passava al setaccio la legge Turco-Napolitano, ovvero
il fiore all’occhiello del centro sinistra. In quell’occasione, la Corte
aveva si riconosciuto l’accompagnamento coattivo alla frontiera, dopo il
trattenimento nei centri di accoglienza, ma aveva anche posto una condizione:
tutti gli atti del procedimento di espulsione devono essere sottoposti
al controllo pieno del giudice».
Presto la Corte (relatore il giudice Guido Neppi Modona) dovrà
pronunciarsi anche su un altro nodo della Bossi Fini: l’arresto obbligatorio
per l’immigrato recidivo che non rispetta l’ordine del questore ad abbandonare
il territorio nazionale. E se si tratterà di un’altra bocciatura,
per il governo la quadratura del cerchio si profila assai complessa.
il manifesto 21-04-2004
L'espulsione della Bossi-Fini
La Corte costituzionale ha bocciato il procedimento con cui gli immigrati
vengono espulsi e accompagnati alla frontiera. Il provvedimento sarà
reso pubblico nei prossimi giorni. Si preparano nuovi rigetti. Débacle
per il governo
CINZIA GUBBINI
ROMA - La Corte costituzionale ha emesso il primo verdetto di incostituzionalità
sulla legge sull'immigrazione Bossi-Fini. Si tratta ancora di indiscrezioni,
ma ormai abbastanza sostanziose da togliere ogni ombra di dubbio: secondo
i giudici della Consulta è contraria ai principi costituzionali
la norma che regola il provvedimento di espulsione con accompagnamento
alla frontiera del cittadino straniero. In particolare ad essere finito
nel mirino della Corte è il procedimento secondo cui il questore
«comunica» al magistrato l'espulsione coatta, ma il provvedimento
resta comunque «immediatamente esecutivo». Secondo i giudici
si ravvisa, in questo passaggio, un controllo soltanto formale da parte
del magistrato, infrangendo i principi del contradditorio e del diritto
di difesa. Il porvvedimento non è ancora stato reso pubblico, ma
secondo quanto si è appreso la decisione è stata siglata
in una delle ultime camere di consiglio prima di Pasqua, accogliendo le
eccezioni di costituzionalità sollevate dai trbunali di Roma e Parma.
Carlo Mezzanotte, in quota Forza Italia, è il giudice che stenderà
le motivazioni della sentenza. In una delle prossime camere di consiglio
ci sarà una seconda votazione.
Una vera débacle per il governo, se si considera che questa sentenza passerà alla storia come una delle più annunciate: la maggioranza era perfettamente a conoscenza dell'indirizzo della Consulta e si era già messo in moto per approvare un decreto legge di modifica dell'articolo 13 della legge, che per un curioso gioco di numeri viene messo in scacco dall'articolo 13 della costituzione, quello sulla limitazione della libertà personale. Il decreto prevedeva di passare le competenza sulla convalida, entro 48 ore, dell'espulsione amministrativa coatta ai giudici di pace, così da evitare un «ingolfamento» dei tribunali ordinari, che potrebbe comportare un effetto a catena sui tempi delle espulsioni e quindi sul trattenimento degli stranieri in attesa della decisione.
Ma nello stesso decreto si voleva incorporare una modifica anche rispetto all'articolo di legge - fonte di un bel filone di eccezioni di costituzionalità da parte dei giudici - che prevede l'arresto da sei mesi a un anno per gli immigrati rimasti sul territorio, nonostante abbiano ricevuto un decreto di espulsione. Una pena considerata eccessiva visto che il reato resta amministrativo. Anche su questo punto, si dice, la Consulta boccerà la Bossi-Fini. La «scappatoia» era, allora, quella di introdurre il famigerato reato di «permanenza clandestina». Un dibattito, questo, che va avanti dai tempi della discussione della legge e che alla fine era stato bypassato. L'Udc, infatti, era e resta fermamente contraria all'introduzione del reato di clandestinità. E forse è questo il punto principale su cui si è inceppato il decreto. Ambienti di Alleanza nazionale parlano di una «mancata convergenza di carattere politico». Il 18 marzo scorso doveva essere approvato dal consiglio dei ministri, poi Pisanu aveva avocato tutto a sé, e poi non se n'è fatto più nulla.
Un'altra brutta botta per il governo, che sulle leggi considerate principali incassa sconfitte cocenti. Dalla Gasparri, sui cui Ciampi non ha apposto la firma, al Lodo Schifani, anch'esso bocciato dalla Consulta.
In questo caso, poi, c'è una bella storia alle spalle: lo strano meccanismo del «silenzio-assenso» del magistrato previsto nel caso delle espulsioni coatte è già un tentativo maldestro di «parare» una precedente sentenza della corte costituzionale, la 105 del 2001, in cui si metteva in evidenza che quando si accompagna una persona alla frontiera si ravvisa una limitazione della libertà personale, e quindi è necessaria la convalida del giudice (non prevista dalla Turco-Napolitano). Il governo Berlusconi si trovò con questa patata bollente tra le mani, e prima di approvare la Bossi-Fini, emise un decreto in cui si coinvolgeva il magistrato ma, appunto, prevedendo una mera comunicazionedel provvedimento deciso dal questore. Diversi giuristi notarono che il meccanismo non poteva reggere a lungo, e ora sembra si sia arrivati alla resa dei conti.
«Spero sia solo il primo di una serie di bocciature, la legge Bossi-Fini è incostituzionale sotto diversi punti di vista - osserva Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci - e spero soprattutto che la posizione del centro sinistra sia forte, e smetta la rincorsa su questi temi alla politica della destra che risulta fallimentare».
Se il governo non approverà entro berve un decreto in grado di
rispondere ai punti di incostituzionalità sollevati dalla Corte,
si prevede una valanga di ricorsi contro le espulsioni.
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