Tribunale dell'Aja: «Cessino i lavori in terra
palestinese» «Vengano risarciti tutti i danneggiati»
In primo luogo la Corte ricorda come il 10 dicembre 2003 il Segretario
generale delle Nazioni Unite ha comunicato alla Corte stessa la decisione
presa dall’Assemblea Generale di sottometterle per un parere consultivo.
La domanda è la seguente: «Quali sono le conseguenze legali
derivanti dalla costruzione del muro attualmente in via di realizzazione
da parte di Israele, potenza occupante, nel Territorio occupato palestinese,
incluso all’interno di e intorno a Gerusalemme Est, come descritto nel
rapporto del Segretario generale, tenuto conto delle regole e dei principi
della legge internazionale, inclusa la Quarta Convenzione di Ginevra del
1949 e le relative risoluzioni del Consiglio di sicurezze e dell’Assemblea
generale?». Storia
Allo scopo di indicare le conseguenze legali della costruzione del
muro nel Territorio occupato palestinese, la Corte deve prima stabilire
se la costruzione di tale muro violi o meno la legge internazionale. A
questo fine, essa stila dapprima una breve analisi storica dello status
del territorio coinvolto, dal tempo in cui la Palestina, essendo stata
parte dell’Impero Ottomano, fu, alla fine della Prima guerra mondiale,
oggetto di un mandato di classe «A» affidato dalla Lega delle
Nazioni alla Gran Bretagna. Nel corso di tale analisi, la Corte menziona
le ostilità del 1948-49, e la linea di demarcazione dell’armistizio
tra forze israeliane e arabe fissato dall’accordo di armistizio generale
del 3 aprile 1949 tra Israele e Giordania, cui si fa riferimento con il
termine di «Linea Verde». In chiusura della sua analisi, la
Corte sottolinea che i territori situati tra la Linea Verde e l’ex frontiera
orientale palestinese sotto il Mandato furono occupati da Israele nel 1967
durante il conflitto armato tra Israele e Giordania. Sotto la legge internazionale
d´uso comune, la Corte osserva, questi erano pertanto territori occupati
nei quali Israele aveva lo status di potenza occupante. La Corte conclude
che tutti questi territori (inclusa Gerusalemme Est) rimangono territori
occupati e che Israele ha continuato a rivestirvi lo status di potenza
occupante.
Violazioni
La Corte procede poi ad accertare se la costruzione del muro abbia
violato le regole e i princìpi della legge internazionale ritenuti
rilevanti in vista della risposta al quesito posto dall’Assemblea Generale.
Prende atto a tal proposito delle tesi della Palestina e degli altri soggetti
coinvolti secondo le quali la costruzione del muro è «un tentativo
di annettere il territorio contrario alla legge internazionale» e
«una violazione del principio legale che vieta l’acquisizione del
territorio tramite l’uso della forza» e che «l’annessione de
facto di terra interferisce con la sovranità territoriale e conseguentemente
con il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione». Prende atto
anche del fatto che Israele, da parte sua, ha argomentato che solo scopo
del muro è difendere Israele stesso da attacchi di combattenti terroristi
lanciati dalla Cisgiordania e che Israele ha ripetutamente dichiarato che
la barriera è una misura transitoria (...)
La Corte prende atto del fatto che il percorso del muro così
come fissato (...) è stato tracciato in modo tale da includere all’interno
dell’area la grande maggioranza degli insediamenti israeliani nel Territorio
Palestinese Occupato (compresa la parte orientale di Gerusalemme)(...)
Pur prendendo atto dell’assicurazione fornita da Israele che la costruzione
del muro non mira all’annessione e che il muro è di natura transitoria,
la Corte ritiene che la costruzione del muro ed il suo connesso regime
creino un «fatto compiuto» (...)
La Corte ritiene inoltre che il percorso scelto per il muro esprima
in loco le misure illegali adottate da Israele rispetto a Gerusalemme e
agli insediamenti, come deplorato dal Consiglio di Sicurezza. Sussiste
anche un rischio di ulteriori alterazioni della composizione demografica
del Territorio Palestinese Occupato (...) Quella costruzione, insieme alle
misure precedentemente adottate, quindi impedisce seriamente l’esercizio
da parte del popolo palestinese del suo diritto all’autodeterminazione
e costituisce pertanto una rottura dell’obbligo israeliano di rispettarlo.
Dalle informazioni fornite alla Corte, in particolare dal rapporto
del Segretariato Generale, appare che la costruzione del muro ha portato
alla distruzione o requisizione di proprietà. Quella costruzione,
l’istituzione di un’area chiusa tra la Linea Verde e il muro stesso, e
la creazione di enclave, hanno inoltre imposto sostanziali restrizioni
alla libertà di movimento degli abitanti del Territorio Palestinese
Occupato. Si sono anche verificate gravi ripercussioni sulla produzione
agricola, e crescenti difficoltà per la popolazione interessata
nell’accesso ai servizi sanitari, agli istituti educativi e alle primarie
risorse d’acqua (...)
In sostanza, la Corte afferma, sulla base dei dati disponibili, di
non essere convinta che lo specifico percorso scelto da Israele per il
muro fosse necessario al conseguimento dei suoi obiettivi di sicurezza.
Il muro, lungo il percorso scelto, e l’annesso regime ledono in modo grave
una serie di diritti dei palestinesi residenti nel territorio occupato
da Israele, e la lesione risultante da tale percorso non può essere
giustificata con esigenze militari o requisiti di sicurezza nazionale o
ordine pubblico. La costruzione di tale muro pertanto costituisce una rottura
da parte di Israele di molti degli obblighi ai quali è sottoposto
in virtù dell’applicabile legge umanitaria internazionale e degli
strumenti per il rispetto dei diritti umani.
Autodifesa
L’Art.51 della Carta delle Nazioni Unite, rileva la Corte, riconosce
l’esistenza di un inerente diritto all’autodifesa in caso di attacco armato
di uno Stato contro un altro Stato. Comunque, Israele non sostiene che
gli attacchi ai quali è esposto siano imputabili a uno Stato straniero.
La Corte rileva anche che Israele esercita controllo nel Territorio
Palestinese Occupato e che, come Israele stesso afferma, la minaccia alla
quale si riferisce per giustificare la costruzione del muro si origina
all’interno, e non all’esterno, di quel territorio. La situazione si rivela
quindi differente da quella contemplata dalle risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza 1368 (2001) e 1373 (2001) e pertanto Israele non potrebbe
in alcun caso invocare tali risoluzioni a sostegno della sua pretesa di
esercitare un diritto all’autodifesa (...)
Alla luce del materiale presentato, la Corte non è convinta
che la costruzione del muro lungo il percorso scelto fosse il solo mezzo
per salvaguardare gli interessi di Israele contro il pericolo che ha invocato
come giustificazione della costruzione. Sebbene Israele goda del diritto,
e invero abbia il dovere di rispondere ai numerosi e mortali atti di violenza
rivolti contro la sua popolazione civile, al fine di proteggere la vita
dei suoi cittadini, le misure adottate devono rispettare la legislazione
internazionale applicabile. Israele non può fare appello a un diritto
di autodifesa o a uno stato di necessità misconoscendo l’erroneità
dei presupposti della costruzione del muro. La Corte conseguentemente ritiene
che la costruzione del muro, e l’annesso regime, siano contrari alla legislazione
internazionale.
Conseguenze legali
La Corte prende atto del fatto che Israele è in primo luogo
obbligato a conformarsi agli obblighi internazionali che ha violato con
la costruzione del muro nel territorio Palestinese Occupato. Conseguentemente,
Israele deve conformarsi all’obbligo di rispettare il diritto del popolo
palestinese all’autodeterminazione e ai suoi obblighi imposti dalla legge
umanitaria internazionale e dalla legge internazionale sui diritti umani.
Inoltre, deve assicurare la libertà di accesso al Luoghi Sacri che
sono sotto il suo controllo dalla fine della Guerra del 1967.
Israele ha l’obbligo di interrompere immediatamente i lavori di costruzione
del muro innalzato nel Territorio Palestinese Occupato, compresi i terreni
all’interno e nei dintorni di Gerusalemme Est. Dal punto di vista della
Corte, la cessazione delle violazioni degli obblighi internazionali di
Israele comporta in pratica lo smantellamento immediato di quelle parti
della struttura situate all’interno del Territorio Palestinese Occupato,
compresi i terreni all’interno e nei dintorni di Gerusalemme Est. Tutti
gli atti legislativi e regolamentari adottati in vista della sua costruzione,
e dell’istituzione dell’annesso regime, devono trovare immediata abrogazione
o neutralizzazione, eccetto dove siano di persistente rilevanza per l’obbligo
di Israele di riparare. La Corte rileva inoltre che Israele è sottoposto
all’obbligo di riparare il danno causato a tutte le persone fisiche o giuridiche
coinvolte. Israele è sottoposto all’obbligo di restituire la terra,
i frutteti, gli uliveti e altre forme di proprietà immobile sequestrati
a qualsiasi persona fisica o giuridica a scopi connessi alla costruzione
del muro. Nel caso in cui tale restituzione si dimostri materialmente impossibile,
Israele ha l’obbligo di risarcire le persone in questione per il danno
subito (...)
Nazioni Unite
Infine, la Corte è del parere che le Nazioni Unite, e in special
modo l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza, dovrebbero considerare
quale azione ulteriore sia richiesta al fine di porre termine alla situazione
illegale (...) La Corte ritiene che la sua conclusione, stando alla quale
la costruzione del muro da parte di Israele nel Territorio Palestinese
Occupato è contraria alla legge internazionale,debba essere collocata
in un contesto più generale. Dal 1947, l’anno dell’adozione della
risoluzione 181 (II) dell’Assemblea generale e della conclusione del Mandato
per la Palestina, si è verificato un susseguirsi di conflitti armati,
atti di indiscriminata violenza e misure repressive sul territorio precedentemente
sottoposto a mandato. La Corte vuole enfatizzare che sia Israele che Palestina
hanno l’obbligo di osservare scrupolosamente le regole stabilite dalla
legislazione umanitaria internazionale, di cui uno dei principali obiettivi
è la protezione della vita della popolazione civile. Azioni illegali
e decisioni unilaterali sono state portate avanti su tutti i fronti, mentre,
nella prospettiva fatta propria dalla Corte, è possibile porre termine
a questa tragica situazione solo attuando in buona fede tutte le risoluzioni
del Consiglio di Sicurezza, in particolare le risoluzioni 242 (1967) e
338 (1973). La «road map» approvata dalla risoluzione 1515
(2003) del Consiglio di Sicurezza rappresenta lo sforzo più recente
compiuto per iniziare le negoziazioni che condurranno alla conclusione
sperata.
(traduzione di Gabriela Jacomella e Maria Serena Natale)
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