So bene che nel contesto di una riforma fra le più controverse
della nostra storia queste proclamazioni di federalismo sono fra le poche
novità quasi unanimemente
condivise (è Domenico Fisichella la bandiera quasi solitaria
dei contrari). E so anche di avere io stesso contribuito a metterle in
circolazione, quando presentai, come
Ministro per le riforme del governo D´Alema, il disegno di legge
che avrebbe dato origine alla riforma poi approvata del Titolo V. Il disegno
di legge era proprio
intitolato "Ordinamento federale della Repubblica" e con queste parole
intendeva aprire il nuovo Titolo V, cosa che poi non accadde, perché
il Parlamento preferì
mantenere la preesistente formulazione, e cioè "Titolo V. Le
Regioni, le Province, i Comuni". Nonostante quindi le responsabilità
mie e di tanti altri, il federalismo non
è ancora entrato nella nostra Costituzione. Siamo ancora in
tempo, allora, a farci le domande che dovevamo farci prima: ma siamo davvero
sicuri di volerlo? E se lo
vogliamo, perché?
Non basta accampare il bisogno di più potere diffuso e di più
sussidiarietà. Né basta evocare la giusta necessità
di dotare l´Italia di una Camera più direttamente
rappresentativa delle Regioni. Il panorama sempre più variegato
dei sistemi costituzionali esistenti nel mondo ci dimostra infatti che
questi elementi non sono sufficienti
a caratterizzare uno Stato come federale, perché possono comparire
anche in Stati che federali non sono. Non a caso i giuristi parlano di
un "continuum" lungo il
quale si passa da ordinamenti che sono sicuramente federali ad altri
che invece non lo sono, pur essendo dotati di forme diverse di accentuato
regionalismo.
Nonostante però il "continuum", la distinzione tra federale
e non federale resta ed esprime ora storie diverse, ora aspettative diverse
e soprattutto quando si tratta di
aspettative è essenziale che sia chiaro di che cosa si tratta.
Stati federali sono sicuramente quelli che hanno alla loro origine
un patto federativo fra unità statali pre-esistenti, che decisero
di mettersi insieme, di creare un livello
di governo sovrastante e di conferirgli quote crescenti della loro
iniziale sovranità. A lungo si pensò che solo in questi casi
si potesse parlare di Stati federali, in
ragione di una tale origine storica e dei caratteri istituzionali che
ne conseguivano: così è per gli Stati Uniti, l´Australia,
la Germania. Ma poi abbiamo avuto Stati che
sono nati unitari e che sono diventati federali ed il caso più
noto è quello del Belgio. Qui non è la storia la ragione
del federalismo né lo è il bisogno di un più
accentuato rispetto del principio di sussidiarietà. La ragione
è la tensione non più gestibile fra comunità etnico-linguistiche
diverse e sono tali comunità a porsi come
entità federate, con l´intenzione e l´aspettativa
di ridurre al minimo le regole comuni e di decidere il più possibile
dei rispettivi destini ciascuna per proprio conto.
Non c´è dunque federalismo senza riconoscibili ed esplicitate
entità che si federano; ed anche se poi diversi degli elementi istituzionali
che ne escono coincidono con
quelli di Stati a forte regionalismo, la natura federale tende a produrre
un effetto complessivo, che fu colto con grande lucidità da Costantino
Mortati: in uno Stato
regionale le leggi e le scelte delle Regioni si inseriscono in un "sistema
di norme reciprocamente armonizzante", che fa da complessiva cornice unitaria.
In uno Stato
federale convivono sistemi normativi diversi (o perché pre-esistevano
o perché si vengono formando), che vengono ridotti ad unità
soltanto per aree e per settori
specifici.
E allora: sono quelli testé descritti i significati del federalismo
italiano? Riconosciamo nelle nostre Regioni l´involucro istituzionale
di identità etniche e culturali diverse?
Ed intendiamo correlativamente ridurre al minimo la nostra unità
ordinamentale, con leggi, tassazioni e protezioni di diritti in linea di
principio diversificate per regione,
salvo aree limitate di uniformità? A leggere il testo della
stessa riforma, per non parlare di ciò che emerge dalla legislazione
delle nostre Regioni, si direbbe
nell´insieme di no. La Lega ha parlato e continua a parlare di
nazione padana, ma è l´unica a farlo, non lo fa la riforma
che essa stessa sta approvando e non ci
pensano proprio le Regioni, le quali, quando tutelano la propria identità,
non fanno mai riferimento a tratti etnici o linguistici, ma alla loro qualità
ambientale, ai loro
prodotti tipici, al loro profilo storico culturale (salvo i limitatissimi
casi di Regioni o Province di frontiera a speciale autonomia, che hanno
gruppi etnici diversi).
Quanto all´unità ordinamentale, puntano in una direzione
effettivamente diversa le nuove competenze "esclusive" che si vogliono
attribuire a tutte le Regioni, ma è un
fatto che si prevede di accompagnarle con una nuova competenza trasversale
del Parlamento nazionale, grazie alla quale esso potrà sempre intervenire
(e nelle stesse
materie di competenza regionale "esclusiva") a tutela dell´unità
giuridica, sociale ed economica dello Stato.
Che cosa avrà allora di effettivamente federale la Repubblica
federale italiana? Diciamoci la verità: se la maggioranza di noi
ha accettato il federalismo al solo o
prevalente scopo di usarlo come specchietto per allodole per attirare
e tener buona la Lega, abbiamo tutti commesso una grave leggerezza. Primo,
perché la Lega
non è un´allodola, ma una forza politica, che necessariamente
ne farà comunque una piattaforma per dilatarne significati e conseguenze.
Secondo, perché in ragione
di ciò e del peso oggettivo che la nuova cornice federale non
potrà non avere, la sua presenza in Costituzione, circondata da
cautele e contrappesi volti a negarla, ci
prepara nella migliore delle ipotesi un futuro fatto di incertezze,
di contraddizioni e di conflitti. E dico nella migliore delle ipotesi,
perché ce n´è anche una peggiore,
che nasce da un cattivo pensiero che non riesco a cacciarmi dalla testa.
Non tutti sanno che quando si trattò di riconoscere la reciproca
indipendenza delle repubbliche già incluse nella Repubblica Jugoslava,
lo si fece sulla base di un
lodo, il lodo della Commissione presieduta da Robert Badinter, che
dilatò enormemente i principi del pre-esistente diritto internazionale.
In precedenza il diritto alla
auto-determinazione e quindi alla secessione era stato riconosciuto,
soprattutto nei processi di decolonizzazione, a chi avesse una originaria
indipendenza e avesse
subito un´occupazione straniera. Badinter lo riconobbe alle repubbliche
ex jugoslave, solo in quanto entità federali già dotate di
un governo e di poteri autonomi, a
prescindere dalla originaria indipendenza. Io mi auguro che Umberto
Bossi la secessione l´abbia messa da parte, ma non c´è
dubbio che la federalizzazione della
Repubblica, sulla base del lodo Badinter, mette un´arma legale
nelle mani di chi volesse sostenerla.
La conclusione è obbligata: se le cose stanno come penso e se
la larga maggioranza del Parlamento ha assentito alla federalizzazione
più per leggerezza che per
convinzione, onestà e responsabilità verso il futuro
vogliono che le si dica di no prima che sia troppo tardi e che si torni
a lavorare, migliorandolo, sul nostro bel
modello di Stato regionale. Mentre, se il Parlamento andrà avanti,
sarà davvero essenziale la voce dei cittadini.
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