Il presidente Onida sollecita un’ampia intesa: bisogna ascoltare le
istituzioni e il corpo elettorale
ROMA - Bisogna valutare con estrema attenzione le conseguenze che le
riforme nel campo delle istituzioni di garanzia possono generare. Non solo.
Occorre anche coinvolgere in questo processo tutti i soggetti prima di
prendere decisioni definitive. L’invito «sommesso» giunge dal
presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida. Ed è particolarmente
significativo che sia fatto nel corso della cerimonia di consegna del «premio
Giuseppe Chiarelli» al suo predecessore Gustavo Zagrebelsky e, soprattutto,
avvenga davanti al capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi che, sullo stesso
tema e con gli stessi accenti, ha speso parole preoccupate in molte occasioni.
Preoccupazioni raccolte in pieno ieri da Onida. L’intervento di Onida si
colloca all’indomani dell’approvazione alla Camera della riforma - ora
in attesa dell’esame del Senato - che introduce il federalismo, il premierato
e modifica anche gli equilibri tra istituzioni finora sanciti dalla Costituzione
del 1948.
IL FEDERALISMO - Il progetto di riordino stabilisce nuove regole sia
per l’elezione dei giudici della Consulta (il capo dello Stato, le supreme
magistrature e il Senato ne scelgono 4, la Camera 3) sia nel campo delle
prerogative del Presidente della Repubblica, riconoscendogli soprattutto
funzioni di garante della Costituzione. La Carta del ’48, rileva Onida,
ha «immesso il nostro Paese nella grande corrente del costituzionalismo
democratico». Una Costituzione che equivale a «un’eredità
ricevuta».
«CASA COMUNE» - E sviluppando l’idea sottesa in questa
similitudine, Onida osserva: «Come accade fra le persone, il momento
in cui gli eredi prendono coscienza e possesso del lascito dei loro padri
è un momento delicato, in cui possono emergere o riemergere talvolta
divisioni o perfino rancori tra i figli, ma è anche un momento di
memoria, di presa di coscienza e di assunzione di responsabilità
da parte di chi riceve l’eredità». Onida si augura che «questa
casa comune, questo inestimabile patrimonio costituzionale che vive ormai
arricchito da cinquant’anni di giurisprudenza della Corte sia rispettato
come merita». Fissati questi punti, Onida rileva orgogliosamente
che «la Corte Costituzionale è ben consapevole del suo ruolo
di guardiana della Costituzione, che le spetta insieme con altre istituzioni
di garanzia, e in particolare, con il Capo dello Stato».
I POTERI - Ed ecco il passaggio chiave, quello che farà poi
dire a Giuliano Pisapia di Rifondazione comunista («Sono parole sagge
e del tutto condivisibili») e che, al contrario, provocherà
le critiche del radicale Daniele Capezzone («Occorre ricompitare
la lezione della separazione dei poteri: l’esecutivo faccia l’esecutivo,
il legislativo faccia le leggi, il giurisdizionale le applichi e quindi
la Corte costituzionale non sconfini») e del leghista Alessandro
Cé («Ha fatto invasione di campo, le sue dichiarazioni sono
politiche, interferisce con il Parlamento»). La «natura delicata
e cruciale dei meccanismi della giustizia costituzionale» induce
Onida a esprimere «sommessamente l’auspicio che prima di mettere
mano, con decisioni definitive, a modifiche degli equilibri essenziali
assicurati da questi meccanismi, come è per la composizione stessa
della Corte costituzionale, si ponderino bene le possibile conseguenze
e si coinvolga intorno al Parlamento, che è la fonte, insieme eventualmente
al corpo elettorale, del potere di revisione costituzionale, il più
ampio arco di istanze istituzionali e sedi di riflessione». Attenzione
dunque - è il messaggio di Onida - ad andare avanti con la riforma
senza il consenso più ampio possibile non solo dei partiti ma anche
dei soggetti coinvolti.
Lorenzo Fuccaro
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