di FRANCESCO COSSIGA - Presidente emerito della Repubblica
Caro Direttore, da cittadino e politico della prima gloriosa Repubblica
e della prima «appendice» di essa, seguo con molto interesse
il dibattito in corso su una eventuale riforma della legge elettorale.
Lo seguo con interesse anche perché il mio maestro Giuseppe
Capograssi, maestro di religione, di morale e poi anche di diritto, diceva
a me, giovane e non fortunato apprendista di diritto costituzionale sotto
la guida dell'altro mio maestro Giuseppe Guarino, che due sono le leggi
fondamentali in uno Stato democratico: anzitutto, poiché senza libertà
non vi può essere democrazia, il codice di procedura penale, che
dovrebbe essere il codice delle libertà del cittadino nei confronti
del più temibile «tiranno» dei tempi ultimissimi, e
cioè in tutto il mondo il giudice, nel nostro Paese i pubblici ministeri;
e poi le leggi elettorali, che sono lo strumento attraverso il quale l'unico
«sovrano reale», e cioè il popolo, delega l'esercizio
della sovranità all'unico «sovrano legale», che è
o, trattandosi del nostro Paese sarebbe meglio dire, «dovrebbe essere»
il Parlamento, affiancato ormai da Corte costituzionale, Consiglio superiore
della Magistratura e altri organi ancora non di derivazione popolare.
Il fatto che il capo istituzionale della maggioranza, Silvio Berlusconi,
e il capo politico, almeno sul piano morale e del merito, dell'opposizione,
Massimo D'Alema, propongano entrambi una riforma delle leggi elettorali,
penso sia nazionale che regionale, significa che le leggi attuali non vanno
bene. E hanno ragione, eccome!
Bisogna anzitutto premettere che le leggi elettorali devono essere
coerenti con la Costituzione. La nostra Carta fondamentale, il «piccolo
trattato di Yalta» del nostro Paese, che per il genio di Alcide De
Gasperi e di Palmiro Togliatti impedì, sulla base di un consociativismo
di fondo, che le due parti in cui il Paese era stato spezzato dalla cortina
di ferro si scontrassero in termini «non legali» e non pacifici.
Ho sempre ritenuto che coerente con la nostra Costituzione fosse soltanto
una legge elettorale proporzionalista, perché proporzionalista è
l'impianto del nostro Stato rappresentativo, pensato come «Stato
dei partiti e dei sindacati» ai tempi dell’unità antifascista
dei comitati di liberazione nazionale e del «mito fondante»
dell'unità della Resistenza intesa come «guerra di popolo:
patriottica, civile e - anche se non compiuta - di classe». Anche
per questo io votai contro il «pasticcio del Mattarellum»,
insieme alla limpida sinistra di allora. La versione pessima della sua
applicazione, per responsabilità grave della Corte di Cassazione,
quale ufficio centrale elettorale, è stata quella che di una legge
per l'elezione di deputati e senatori ha fatto una legge per la designazione
del capo dell'esecutivo: «Berlusconi presidente!» e «Rutelli
presidente!», con un accordo tra i due blocchi che ha ormai consolidato
questa interpretazione in una vera e propria «convenzione»
costituzionale, per la quale se il presidente del Consiglio dei ministri
eletto dovesse cessare dalla carica non vi è dubbio che il capo
dello Stato, almeno per motivi di «correttezza costituzionale»
dovrebbe sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni.
Pessima la proposta di Forza Italia, che cancella la scelta popolare
tra una pluralità di candidati e realizza una specie di doppio sistema
«plebiscitario»: listoni unici e unico capolista- candidato
«premier»! «Fuori tempo» e non conforme all'attuale
regime politico la proposta di D'Alema di adottare il sistema elettorale
uninominale con ballottaggio, non ho compreso se «chiuso»,
limitato soltanto ai due candidati primi votati, o «aperto»
a tutti i candidati votati, magari con una soglia di sbarramento e con
un meccanismo che garantisca il così detto «diritto di tribuna».
Sarebbe un ottimo sistema elettorale, ma per una repubblica semipresidenziale,
secondo il modello adottato dalla commissione bicamerale da lui presieduta.
La mia opinione è che se, «a Costituzione immutata»,
si vuole conciliare il «regime politico di alternanza» l'unico
sistema da adottare sia quello proporzionale con un premio di maggioranza,
e cioè o la «legge truffa» di degasperiana memoria o
una legge elettorale alla tedesca, la cui attuazione richiederebbe però
un numero non fisso di membri delle due Camere.
Il fatto è che ciò che ormai occorrerebbe mutare è
la Costituzione: e la strada è quella indicata da Luciano Violante
e da Giuliano Amato (e in tempi remoti anche da me e da Carlo Scognamiglio,
che ci prendemmo allora un sacco di male parole dalla destra, dal centrodestra,
dal centrosinistra e dalla sinistra... unite!): la elezione di una assemblea
costituente le cui proposte, o anche, come io ipotizzavo nel mio «famigerato»
messaggio presidenziale al Parlamento, le cui proposte alternative qualificatamente
votate anche se non approvate, sottoporre poi al voto del popolo per «blocchi
di materie omogenee».
Ma, sarà forse per l'età e per le malattie, io spero
ormai soltanto nella salvezza eterna!