il manifesto 08-10-2005
Eversione elettorale
Raniero La Valle
Domani il centro sinistra scenderà in piazza per protestare
contro la nuova legge elettorale proposta dalla maggioranza. Ma contro
che cosa protesterà? Se fosse solo per il danno che ne riceverebbe
per un minor numero di eletti, o per dover improvvisamente cambiare le
proprie strategie, sarebbe una ben mediocre protesta, e non potrebbe davvero
interessare la maggior parte dei cittadini. Ma c'è ben di più,
e c'è un allarme ben più grave che si deve far risuonare.
La cosiddetta legge elettorale proposta dalla destra al potere infatti non è solo un attentato al centro-sinistra per fare della sua eventuale vittoria una vittoria mutilata, sottraendogli decine di seggi; e nemmeno il suo carattere iniquo consiste nel fatto che si sia voluto imporre il cambiamento delle regole del gioco all'ultimo minuto, quando ormai ci si era preparati alla durissima battaglia elettorale imminente tenendo conto delle vecchie regole. Queste due cose sono gravi, ma non tanto gravi da configurare un attacco alla Costituzione e alla Repubblica. Se si trattasse solo di questo, cioè di un ritorno, sia pure fuori tempo massimo, dal maggioritario al proporzionale, per salvare il salvabile della destra in rotta, sarebbe un gioco durissimo, ma non fuori della democrazia.
E anche i proporzionalisti della sinistra, pur di uscire dallo sconcio del sistema maggioritario, avrebbero potuto essere tentati di sostenerlo. Invece, come hanno fatto sapere dopo una loro assemblea a Roma, hanno respinto il progetto della destra «con sdegno». Perché con sdegno? Perché la legge, così come è stata proposta, è in realtà lo strumento mediante il quale si può instaurare un regime. La proposta elettorale della destra sovverte con legge ordinaria la Costituzione della Repubblica prima della riforma costituzionale in corso d'opera, e in modo ancora più radicale. Essa stabilisce prima di tutto che la maggioranza di governo sia fissata per legge in almeno 340 deputati alla Camera (su 630) e 170 seggi al Senato (su 315), dunque ben più della maggioranza assoluta, e che tale numero di parlamentari sia assegnato d'ufficio al partito o alla coalizione di partiti che, con qualsiasi percentuale, abbia anche solo un voto in più di ogni altro partito o coalizione. Se non si formassero le coalizioni, anche un singolo partito, ad esempio col venti per cento dei voti, si vedrebbe assegnati tutti questi seggi. Se questa norma fosse stata in vigore nei decenni della cosiddetta Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana avrebbe avuto sempre 340 deputati e 170 senatori, non ci sarebbe stato bisogno della legge truffa, non ci sarebbero stati né il centrismo, né il centro-sinistra, né la solidarietà nazionale, non ci sarebbe mai stato un governo Craxi e non ci sarebbe stato bisogno di sequestrare ed uccidere Moro; semmai si sarebbe dovuto uccidere Berlinguer se per caso il partito comunista avesse fatto il sorpasso e preso anche un pugno di voti in più della Dc. In nessuna democrazia del mondo, per quanto maggioritaria, c'è una simile norma.
In secondo luogo la legge stabilisce che ogni partito, sia che si presenti da solo sia che sia collegato ad altri in una coalizione, deve dichiarare il nome e il cognome del candidato alla presidenza del Consiglio. Perciò si stabilisce un obbligo verso di lui sia del Presidente della Repubblica, che perderebbe così il suo potere di nomina secondo l'art. 92 della Costituzione, sia dei 340 deputati e 170 senatori, che avrebbero in tal modo un vincolo di mandato, contro l'art. 67 della Costituzione; e Follini che dice a Berlusconi «io no», sarebbe un fuori-legge.
In terzo luogo si stabilisce che ogni partito deve depositare il programma elettorale, e tutti i partiti che si collegano in una coalizione devono presentare lo stesso programma: il che vuol dire che ogni differenza tra i partiti collegati deve scomparire. Fini deve volere le stesse cose di Bossi, e Bertinotti le stesse di Mastella, e per prendere Pannella bisogna farsi tutti radicali ex-lege; e così la proporzionale che dovrebbe servire a salvare le identità; si rovescerebbe nella più grande omologazione e mistificazione; e a giustificarla resterebbe solo la lotta di potere.
In quarto luogo si stabilisce che, senza preferenze, gli eletti sarebbero
designati in liste bloccate secondo l'ordine deciso dai capi-partito, per
cui tutti i candidati si trasformerebbero in clienti, e i parlamentari
in vassalli, e il Parlamento in una aggregazione di feudi con al vertice
un principe, e ai livelli inferiori un gruppo di baroni ciascuno con i
suoi valvassori e valvassini. Nemmeno la legge Acerbo, né quella
che permise ad Hitler di prendere il potere, erano così. Ma questa
sarebbe la legge costitutiva di quella che fu una Repubblica, se essa superasse,
così com'è, la prova parlamentare. Speriamo così:
perché Ciampi non è Facta, l'ultimo presidente del Consiglio
dell'Italia prefascista, e perciò non potrà non rinviare
la legge alle Camere per la violazione di un numero impressionante di articoli
della vigente Costituzione.
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