A pochi giorni di distanza
dall'approvazione, da parte della sola Camera, della nuova legge elettorale,
la maggioranza di centrodestra ha votato, in seconda lettura e sempre alla
Camera, il Ddl di revisione costituzionale genericamente definito "La Devoluzione".
Il progetto di riscrittura
della Costituzione è quindi arrivato in dirittura d'arrivo, in attesa
dell'ultimo voto da parte del Senato.
Unico elemento nuovo del
quale tenere conto, quindi, nel cercare di analizzare il "che cambia?",
l'approvazione della nuova legge elettorale erroneamente definita di tipo
proporzionale.
Il sistema della distribuzione
dei seggi, infatti, è proporzionale soltanto all'interno delle coalizioni.
Diversamente, stabilita la coalizione vincente, fosse anche solo al 25-30%,
questa riuscirebbe ad ottenere la maggioranza parlamentare, realizzandosi
così un maggioritario di coalizione al posto di quello dei collegi
uninominali.
Una legge elettorale, quindi,
che si integra pienamente con la tendenze in atto, dal 1993 ad oggi, passando
anche per la Bicamerale presieduta dall'Onorevole D'Alema ed il Nuovo Titolo
V varato dal precedente Governo di Centrosinistra, di realizzare la bipolarizzazione
forzata del sistema istituzionale.
Pertanto, non rendendosi
necessari ulteriori approfondimenti, e anche al fine di mantenere il ricordo
di alcuni momenti politici salienti che in qualche modo hanno condizionato
la stesura del testo che sta per essere sottoposto alla seconda ed ultima
votazione al Senato, si ripropone l'approfondimento già inserito
il primo dicembre 2004, con i soli aggiornamenti già apportati il
28 marzo 2005.
Come già premesso nei precedenti
approfondimenti sui testi di revisione costituzionale portati avanti dalla
maggioranza di governo, anche per il nuovo testo
di riforma costituzionale licenziato dalla Camera dei Deputati (confermato
in prima lettura dal Senato il 23 marzo 2003) è d'obbligo chiedersi
se, ancora una volta, tutta questa attenzione si rivelerà, come
per le altre proposte, tempo perso.
Diversamente che per gli altri testi,
però, i dubbi sono più legati all'attuale congiuntura politica
(nell'eventualità che il taglio delle tasse vada in porto, non ci
sarebbe da sorprendersi se il Presidente del Consiglio Berlusconi decidesse
di passare velocemente all'incasso con conseguenti elezioni anticipate)
che per la necessità, per la maggioranza di governo, di rivedere
l'impianto complessivo.
Rimangono, invero, alcuni aspetti estremamente
contraddittori, frutto della mediazione raggiunta all'interno delle forze
politiche di centro destra, e, proprio per questo, di difficile rimessa
in discussione.
Nel complesso, si può in ogni caso
constatare la realizzazione di un'idea di riforma costituzionale in grado
di chiudere il ciclo avviato con la Bicamerale presieduta dall'On. D'Alema
e le riforme approvate nella precedente legislatura con i governi di centro
sinistra.
Un simile giudizio, certamente, sembrerebbe
essere smentito dalle accese cronache parlamentari (vedi dichiarazioni
di voto: Camera;
Senato). Nella sostanza,
però, l'identità di vedute dei due schieramenti per la gran
parte delle questioni toccate dal progetto di riforma sono sin troppo evidenti.
Andando a vedere nel concreto, si scopre
che tra il progetto del Governo e il testo in vigore, approvato dall'Ulivo
alla fine della scorsa legislatura, le differenze sono minime:
- rimane invariato il modello
di "legislazione concorrente" (formula ambigua che non riesce a nascondere
le profonde differenze con il modello di legislazione concorrente tedesco);
- nulla cambia anche riguardo
ai limiti posti all'intervento statale al fine di garantire l'uguaglianza
dei cittadini (diversamente dalla Costituzione tedesca, che utilizza gli
strumenti della legislazione concorrente per garantire eguali condizioni
di vita, il nuovo Titolo V ha introdotto l'assurdo e odioso principio
della "tutela dei livelli essenziali"); e
in tal senso, la reintroduzione dell'interesse nazionale, più
che riparare il danno, porterà soltanto ulteriori elementi d'incertezza;
- anche l'introduzione della
cosiddetta "devolution" di Bossi, infine, non cambia, sostanzialmente,
quanto già sancito in Costituzione a seguito della riforma ulivista:
la sanità e la scuola di serie A per le regioni ricche e
di serie B per quelle più povere sono già presenti
nel nuovo Titolo V là dove non sono previste, per l'appunto, le
eguali condizioni di vita. Paradossalmente,
quindi, il ritorno d'importanti materie alla legislazione esclusiva dello
Stato, quali la sicurezza sul lavoro e la tutela della salute, fanno sì
che la riforma federale del centro destra sia da preferire a quella votata
dall'Ulivo e questo nonostante il contentino formale ricevuto dalla Lega
di Bossi sulla cosiddetta devolution.
Passando ad esaminare le novità
introdotte, la più rilevante è certamente costituita da quell'interesse
nazionale da porre al vaglio del Parlamento in seduta comune
(non più del solo Senato federale come nel testo
licenziato dal Senato - marzo 2004) che potrebbe condurre all'annullamento
di una legge regionale:
Art. 127, comma 2
Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale pregiudichi l’interesse nazionale della Repubblica, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione invita la Regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi quindici giorni il Consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Governo, entro gli ulteriori quindici giorni, sottopone la questione al Parlamento in seduta comune che, entro gli ulteriori quindici giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, può annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica, entro i successivi dieci giorni, emana il conseguente decreto di annullamento. |
Art. 120, comma 2
Lo Stato può sostituirsi alle Regioni, alle Città metropolitane, alle Province e ai Comuni nell'esercizio delle funzioni loro attribuite dagli articoli 117 e 118 nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali e nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà. |
Art. 119
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. ... |
Come per il progetto votato dal Senato
nel marzo 2004, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un bicameralismo
di difficile comprensione e, soprattutto, portatore di pericolose tensioni
politiche ed inefficienze.
Uno degli aspetti più "originali"
del testo della Camera dei deputati, infatti, è quello di aver previsto
una sorta di bicameralismo che in linea di principio assegna al Senato
federale, non legato alle sorti del Governo da alcun tipo di rapporto fiduciario,
competenze riguardanti materie attinenti la sfera tipica dell'azione di
governo; d'altro canto, però, in virtù di un aggrovigliato
combinato di disposizioni, le competenze del Senato Federale possono essere
limitate a seconda degli umori del Presidente della Repubblica e/o dei
Presidenti delle Camere.
Art. 70
La Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma,fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte della Camera, a tali disegni di legge il Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali la Camera dei deputati decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Il Senato Federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte del Senato, a tali disegni di legge la Camera dei deputati, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali il Senato decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. La funzione legislativa dello Stato è esercitata collettivamente dalle due Camere per l’esame dei disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), e 119, l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 120, secondo comma, il sistema di elezione della Camera dei deputati e per il Senato federale della Repubblica, nonché nei casi in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato o alla legge della Repubblica, di cui agli articoli 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo e quinto, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, e 133, secondo comma. Se un disegno di legge non è approvato dalle due Camere nel medesimo testo i Presidenti delle due Camere possono convocare, d’intesa tra di loro, una Commissione, composta da trenta deputati e da trenta senatori, secondo il criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere, incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due Assemblee. I Presidenti delle Camere stabiliscono i termini per l’elaborazione del testo e per le votazioni delle due Assemblee. Qualora il Governo ritenga che proprie modifiche a un disegno di legge, sottoposto all’esame del Senato ai sensi del secondo comma, siano essenziali per l’attuazione del suo programma approvato dalla Camera ovvero per la tutela delle finalità di cui all’articolo 120, secondo comma, il Presidente della Repubblica, verificati i presupposti costituzionali, può autorizzare il Primo ministro ad esporne le motivazioni al Senato federale, che decide entro trenta giorni. Se tali modifiche non sono accolte dal Senato, il disegno di legge è trasmesso alla Camera dei deputati che decide in via definitiva a maggioranza assoluta dei suoi componenti sulle modifiche proposte. L’autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica di cui al precedente comma può avere ad oggetto esclusivamente le modifiche proposte dal Governo ed approvate dalla Camera dei deputati. I Presidenti del Senato federale della Repubblica e della Camera dei deputati, d'intesa tra di loro, decidono le eventuali questioni di competenza tra le due Camere, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, in ordine all'esercizio della funzione legislativa. I Presidenti possono deferire la decisione ad un comitato paritetico, composto da quattro deputati e da quattro senatori, designati dai rispettivi Presidenti. La decisione dei Presidenti o del comitato non è sindacabile in alcuna sede. I Presidenti delle Camere, d’intesa tra di loro, su proposta del comitato, stabiliscono sulla base di norme previste dai rispettivi regolamenti i criteri generali secondo i quali un disegno di legge non può contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi. |
Art 88, comma 2:
Il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indíce le elezioni nei seguenti casi: a) su richiesta del Primo ministro, che ne assume la esclusiva responsabilità; b) in caso di morte del Primo ministro o di impedimento permanente accertato secondo le modalità fissate dalla legge; c) in caso di dimissioni del Primo ministro; d) nel caso di cui all'articolo 94, terzo comma. Il Presidente della Repubblica non emana il decreto di scioglimento nei casi di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma, qualora alla Camera dei deputati, entro i venti giorni successivi, venga presentata e approvata con votazione per appello nominale dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, una mozione nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si designi un nuovo Primo ministro. In tal caso, il Presidente della Repubblica nomina il nuovo Primo ministro designato. |
Art. 94
Il Primo ministro illustra il programma di legislatura e la composizione del Governo alle Camere entro dieci giorni dalla nomina. La Camera dei deputati si esprime con un voto sul programma. Il Primo ministro ogni anno presenta il rapporto sulla sua attuazione e sullo stato del Paese. Il Primo ministro può porre la questione di fiducia e chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo, nei casi previsti dal suo regolamento. La votazione ha luogo per appello nominale. In caso di voto contrario, il Primo ministro si dimette. Non è comunque ammessa la questione di fiducia sulle leggi costituzionali e di revisione costituzionale. In qualsiasi momento la Camera dei deputati può obbligare il Primo ministro alle dimissioni, con l'approvazione di una mozione di sfiducia. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un quinto dei componenti della Camera dei deputati, non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione, deve essere votata per appello nominale e approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti. Nel caso di approvazione, il Primo ministro si dimette e il Presidente della Repubblica decreta lo scioglimento della Camera dei deputati ed indìce le elezioni. Il Primo ministro si dimette altresì qualora la mozione di sfiducia sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. In tal caso si applica l’articolo 88, secondo comma. Qualora sia presentata e approvata una mozione di sfiducia, con la designazione di un nuovo Primo ministro, da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, il Primo ministro si dimette e il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro designato dalla mozione. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione e deve essere votata per appello nominale. |
Diversamente, è proprio a causa
del meccanismo di elezione maggioritario che gli elettori sono costretti
a subire la politica dall'alto.
Con quale criterio, infatti, si può
pensare che l'elettore eventualmente deluso da una determinata coalizione
possa votare chi determinate scelte non le fa, l'altra parte (perché:
“che bello, c'è l'alternanza!”), è un mistero ancora
tutto da scoprire.
Ma è proprio intorno a questo mistero,
purtroppo, che si sta giocando il futuro istituzionale del nostro paese.
Mailing List di Riforme istituzionali |