Corriere.it 24-01-2006
Perché trascinare tutto?
Lo sconcerto del Colle
Il Presidente: il premier sulla data del 9 aprile si era impegnato Incontro
con Casini, oggi vede Pera: sono pareri non vincolanti
«Ma quando si vuole un accordo, non si dovrebbe usare un po'
di diplomazia?». E' questa la domanda che echeggia nello studio di
Ciampi alla lettura delle rassegne stampa, gonfie dei rilanci berlusconiani
per posticipare lo scioglimento delle Camere.
Naturalmente è una domanda retorica, quella di Ciampi, dato
che il forcing del Cavaliere oscilla tra sgarbo, prepotenza e minaccia,
con l'effetto di irrigidire il capo dello Stato nella propria posizione.
Che resta ferma, così almeno è filtrato anche dal colloquio
di ieri sera con il presidente di Montecitorio, Casini.
«Domenica sera, dunque appena 24 ore fa, il premier ha ribadito
qui, davanti a me, che la data del voto resta quella del 9 aprile. Quell'impegno
non vale già più? Perché quest'ipotesi di trascinare
tutto a maggio?», dice ancora il capo dello Stato, parlando con alcuni
consiglieri preoccupati di edulcorare con il lessico della burocrazia la
sua irritazione per una sfida che rischia di sgangherarsi sino alla rappresaglia.
«Il presidente è freddamente concentrato, punto e basta»,
è quanto ripetono, laconicissimi.
Insomma: il Colle si chiude nel gelido silenzio dei momenti difficili.
C'è da chiudere la partita entro la settimana e, per quanto possibile,
evitando uno scontro istituzionale che avvelenerebbe ancor di più
il clima del Paese. Il primo dei due pareri che la Costituzione lo obbliga
a sentire (secondo l'articolo 88), Ciampi l'ha raccolto incontrando in
serata Pier Ferdinando Casini. Mezz'ora scarsa di colloquio, per una notarile
registrazione: la maggioranza chiede una decina di giorni di ossigeno supplementare,
l'opposizione è contraria. Ciò che dovrebbe ripetergli oggi
Marcello Pera, riferendo senza probabili varianti la posizione dei capigruppo
del Senato.
E qui viene il problema. Infatti, la calendarizzazione del 29 gennaio
come ultimo giorno della legislatura era nata da un accordo tra centrodestra
e centrosinistra, su una proposta del ministro Pisanu poi sottoscritta
e ufficializzata dallo stesso Berlusconi nella conferenza stampa di fine
anno. Ciampi non aveva mai indicato date, tranne suggerire che le urne
fossero aperte prima di Pasqua (il 9 aprile, appunto, data anch'essa accettata
da entrambi i fronti) per evitare la congestione di voto politico, amministrativo,
referendum costituzionale ed elezione del nuovo capo dello Stato.
Ora, per rigettare un simile accordo ne serve un altro, bipartisan,
ha ammonito domenica Ciampi, durante il faccia a faccia con il premier.
Consapevole che la vera posta in gioco, più che qualche provvedimento
legislativo, è un uso brado delle tv prima dell'entrata a regime
della par condicio, che scatta con la convocazione dei comizi. Consenso
che Palazzo Chigi non fa nulla per costruire, rendendo virtualmente impossibile
ogni cambiamento di percorso per Ciampi. Il quale, nel momento di tirare
le somme, deciderà in solitudine. Non a caso, sul Colle si ricorda
che la prerogativa di congedare il Parlamento è di esclusiva competenza
presidenziale: i pareri dei presidenti delle Assemblee sono «non
vincolanti». Quel potere sarà esercitato «senza subire
interferenze».
Marzio Breda
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