Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Corriere
della sera 31-05-2006
Referendum, votare «no»
per avviare una Costituente
di Augusto Barbera, Stefano Ceccanti
E’ da oltre un mese che, in varie occasioni,
abbiamo dichiarato il nostro «no» al referendum costituzionale
del 25 giugno. Non è un Ni, ma un No rafforzato che riteniamo più
efficace perché allarga il fronte a coloro che pur di avere una
riforma qualsiasi sono tentati dal Sì o dall’astensione. Il motivo
del nostro No è semplice. Si tratta di una riforma «sgangherata»,
che raggiunge risultati opposti a quelli che dice di voler perseguire.
La funzionalità del governo viene ulteriormente compromessa dal
potere di veto concesso a piccolissimi partiti; il bicameralismo non è
affatto superato, le differenze tra Camera e Senato aumentano il rischio
di paralisi; nulla è chiarito sulla sovrapposizione di competenze
della cosiddetta devolution. Perché un autorevole commentatore come
il professor Giovanni Sartori sul Corriere abbia definito questa posizione
come un «ni» ci è incomprensibile dal punto di vista
tecnico e soprattutto da quello politico. Noi sosteniamo, e non da oggi,
che nella Costituzione deve essere introdotto il principio della scelta
popolare del governo, analogamente a quanto già accade con ottimi
risultati nei comuni, nelle provincie e nelle regioni. Crediamo nella necessità
di forti garanzie costituzionali, di fronte a un esecutivo che fosse reso
più forte. Il professor Sartori sa bene che quel modello è
condiviso non solo da vari costituzionalisti, ma anche da scienziati della
politica autorevoli quanto lui, a partire da Maurice Duverger. Consideriamo
superato e ormai insostenibile il bicameralismo ripetitivo. E infine pensiamo
che debbano essere corretti gli errori della riforma del titolo V del 2001,
che ha dato la stura a un mare di controversie.
Proprio questi sono gli argomenti politicamente
più forti per votare «no». Perché nonostante
le buone intenzioni di Calderisi e di Taradash, è chiaro che se
vince il «sì» non si cambierebbe una Costituzione modificata
in 57 articoli e confermata dal «sì» popolare. Saremmo
quindi condannati a un meccanismo farraginoso.
Per cambiare seriamente proponiamo invece
un metodo costituente; e anche questa è una novità possibile
solo se vince il «no». Neppure questo piace al professor Sartori.
Pazienza. Ma a noi interessa rivolgerci alla parte più riformista
del Paese; a quelli che dopo la assurda legge elettorale vogliono riprendere
la battaglia per il maggioritario e sperano che la transizione si chiuda
con una Costituzione che detti le regole per un bipolarismo moderno e una
alternanza equilibrata. A questi diciamo che la vittoria del «no»
è la strada per un cambiamento vero. E diciamo soprattutto che la
bocciatura di questa riforma, mettendo la parola fine all’infausta stagione
dei cambiamenti unilaterali della Costituzione, aprirebbe le porte a quella
fase «costituente» che il Presidente Napolitano ha indicato
sin dal discorso alle Camere.
Chi l'ha detto che una battaglia binaria
funzioni meglio se condotta da posizioni estreme o del tutto reticenti
sui passaggi successivi? Mai le battaglie referendarie, soprattutto quelle
più incerte, sono state vinte sul versante del «no»
appaltandole, dichiaratamente o implicitamente, alle minoranze estreme
che non si fanno carico delle modifiche comunque necessarie. Ci sembra
che così facendo il nostro sia un No rafforzato, sia tecnicamente
sia soprattutto politicamente.
Firmano anche: Natale D’Amico, Enrico Morando
Antonio Polito, Mario Segni
Indice "Rassegna Stampa
e Opinioni" - 2006
Speciale "Referendum costituzionale"
2006