Riforme Istituzionali
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il manifesto 02-06-2006

  Costituzione, nouvelle vague per tempi migliori
 
La proposta di Zagrebelsky all'assemblea del Centro riforma dello stato: recuperare la cultura costituzionalista per introdurre quei principi e quei diritti che la Carta del '48 esclude. Le opinioni di Tronti, Rodotà, Ferrara e altri.
Preoccupa la vulgata modernizzatrice: non aprire spiragli
 
Andrea Fabozzi
 
Una «nouvelle vague costituzionalista». Il momento è quello che è, con una riforma considerata la peggiore possibile che pende sul capo della Carta del '48, venti giorni al referendum. Il momento dunque di difendere la Costituzione o addirittura di «salvarla» dalla devolution come si propone il comitato per il «No» alla riforma approvata nella scorsa legislatura e soggetta adesso al referendum confermativo. Eppure Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta, ha scelto questo momento per avanzare la sua proposta. Con tutte le cautele del caso, del resto Zagrebelsky è un costituzionalista con un cursus honorum che lo mette al riparo da ogni sospetto di cedimento alla «moda» della modernizzazione. Può permettersi la provocazione, e anche - come ha fatto ieri mattina - di avanzarla aprendo i lavori dell'assemblea del Centro studi per la riforma dello stato, il luogo a più alta densità di costituzionalisti di sinistra.
Per Zagrebelsky esiste una linea di apertura alle riforme costituzionali che si colloca nel solco della continuità con il '48. Sta a metà tra chi vuole mantenere intatta la lettera della Carta e chi lavora per una transizione a qualcosa di diverso - una nuova forma repubblicana - e si colloca in una diversa continuità: quella con l'idea craxiana anni Ottanta della grande riforma. «Sessant'anni hanno posto grandi problemi costituzionali che fino ad ora abbia trascurato», ha detto il presidente emerito della Consulta. Proponendo anche una lista di questi «silenzi costituzionali». «Non esaustiva», ma già lunga: «Il tema degli stranieri e della nozione di cittadinanza. I nuovi diritti rispetto allo sviluppo delle tecnologie, la difesa della privacy. I diritti degli anziani. Il rapporto cittadini-amministratori. I beni pubblici: non c'è una riga in Costituzione - ha notato Zagrebelsky - su tutto quello che va comunque difeso dalla privatizzazione. Come non c'è una riga sui temi della biopolitica, la nascita, la vita e la morte, i limiti e le responsabilità ella scienza. Eppure su questi argomenti assistiamo a un dibattito che più costituzionale di così non potrebbe essere dal punto di vista della posta in gioco». E Zagrebelsky non si è fermato nemmeno davanti al tema più sensibile per i costituzionalisti specie se di sinistra: «In un contesto di sovranità aperta - ha detto - bisognerebbe stabilire qualche principio che vincoli le nostre autorità nazionali nella conduzione della politica estera. Andrebbe ripreso il tema della guerra e della pace, dal momento che la guerra non è più dichiaratamente tale. Rispetto alle operazioni di polizia internazionale e agli interventi umanitari la nostra Costituzione non dice nulla e dunque lascia spazio a tutte le controversie». E' il terreno in qualche misura tabù dell'articolo 11, quello de «L'Italia ripudia la guerra...». Terreno scivolosissimo, infatti il professore aggiunge subito di parlare «con tremore di fronte al rischio che si cambi molto in peggio». E in definitiva riconduce il suo ragionamento a un invito tutto politico: «Teniamo in vita la prospettiva di una nouvelle vague costituzionalista nel solco della Carta del '48, anche se nell'orizzonte attuale non è realistico». Perché al punto in cui è il dibattito assistiamo piuttosto un fenomeno di «de-costituzionalizzazione». E proprio la campagna per il referendum del 25 giugno ne è la prova con posizioni come quella del «No, ma» che nella sostanza approvano lo spirito se non la lettera delle riforme varate dal centrodestra.
Posizioni che Mario Tronti - che ha tenuto l'altra relazione all'assemblea del Crs, avendone anticipato in parte i contenuti in un'intervista ieri al manifesto - considera espressione di una «controrivoluzione conservatrice». «Bisogna togliere a quest'idea della modernizzazione - ha detto Tronti - il carattere apparentemente innovatore». Anche perché come ha notato Stefano Rodotà la proposta del fronte del «No, ma» - avanzata dai professori Augusto Barbera e Stefano Ceccanti - di una convenzione «nei fatti redigente della nuova Costituzione» non è altro che la conferma dello svilimento del ruolo del parlamento». Colpa anche o forse soprattutto del centrosinistra «prigioniero della vulgata modernizzatrice» tradottasi nelle commissioni bicamerali «strumento di una politica che si sentiva debole e riusciva solo a imputare tutti i suoi difetti e le sue debolezze alla Costituzione». Per il dopo referendum Rodotà immagina limitati interventi di «manutenzione costituzionale» probabilmente riferiti soprattutto al Titolo V, ma condivide con Zagrebelsky l'aspirazione alla «ripresa di una politica costituzionale». Quello che Eligio Resta chiama «ridare spazio alla corrente calda della politica». E di cui però Gianni Ferrara vede soprattutto i rischi. E parimenti Umberto Allegretti insiste per distinguere nettamente lo spazio per la riflessione costituzionale dalla traduzione di tutto questo in interventi diretti sul testo.
Ferrara risponde direttamente a Zagrebelsky quando nota che «l'articolo 11 può essere bene interpretato anche alla luce dell'egemonia mondiale degli Stati uniti». E ancora che con Kelsen si deve considerare guerra «qualsiasi intervento armato di qualunque genere sul territorio di un altro stato». In definitiva prima che al rinnovamento costituzionale per Ferrara è più giusto affidarsi alla «prosecuzione logico interpretativa degli enunciati normativi». Se la nouvelle vague è piena di rischi, l'ermeneutica offre appigli più sicuri. A maggior ragione in una fase politica come quella attuale. E a venti giorni dal referendum.


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2006
 
Speciale "Referendum costituzionale" 2006
 
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