Costituzione, nouvelle vague
per tempi migliori
La proposta di Zagrebelsky all'assemblea
del Centro riforma dello stato: recuperare la cultura costituzionalista
per introdurre quei principi e quei diritti che la Carta del '48 esclude.
Le opinioni di Tronti, Rodotà, Ferrara e altri.
Preoccupa la vulgata modernizzatrice:
non aprire spiragli
Andrea Fabozzi
Una «nouvelle vague costituzionalista».
Il momento è quello che è, con una riforma considerata la
peggiore possibile che pende sul capo della Carta del '48, venti giorni
al referendum. Il momento dunque di difendere la Costituzione o addirittura
di «salvarla» dalla devolution come si propone il comitato
per il «No» alla riforma approvata nella scorsa legislatura
e soggetta adesso al referendum confermativo. Eppure Gustavo Zagrebelsky,
presidente emerito della Consulta, ha scelto questo momento per avanzare
la sua proposta. Con tutte le cautele del caso, del resto Zagrebelsky è
un costituzionalista con un cursus honorum che lo mette al riparo da ogni
sospetto di cedimento alla «moda» della modernizzazione. Può
permettersi la provocazione, e anche - come ha fatto ieri mattina - di
avanzarla aprendo i lavori dell'assemblea del Centro studi per la riforma
dello stato, il luogo a più alta densità di costituzionalisti
di sinistra.
Per Zagrebelsky esiste una linea di apertura
alle riforme costituzionali che si colloca nel solco della continuità
con il '48. Sta a metà tra chi vuole mantenere intatta la lettera
della Carta e chi lavora per una transizione a qualcosa di diverso - una
nuova forma repubblicana - e si colloca in una diversa continuità:
quella con l'idea craxiana anni Ottanta della grande riforma. «Sessant'anni
hanno posto grandi problemi costituzionali che fino ad ora abbia trascurato»,
ha detto il presidente emerito della Consulta. Proponendo anche una lista
di questi «silenzi costituzionali». «Non esaustiva»,
ma già lunga: «Il tema degli stranieri e della nozione di
cittadinanza. I nuovi diritti rispetto allo sviluppo delle tecnologie,
la difesa della privacy. I diritti degli anziani. Il rapporto cittadini-amministratori.
I beni pubblici: non c'è una riga in Costituzione - ha notato Zagrebelsky
- su tutto quello che va comunque difeso dalla privatizzazione. Come non
c'è una riga sui temi della biopolitica, la nascita, la vita e la
morte, i limiti e le responsabilità ella scienza. Eppure su questi
argomenti assistiamo a un dibattito che più costituzionale di così
non potrebbe essere dal punto di vista della posta in gioco». E Zagrebelsky
non si è fermato nemmeno davanti al tema più sensibile per
i costituzionalisti specie se di sinistra: «In un contesto di sovranità
aperta - ha detto - bisognerebbe stabilire qualche principio che vincoli
le nostre autorità nazionali nella conduzione della politica estera.
Andrebbe ripreso il tema della guerra e della pace, dal momento che la
guerra non è più dichiaratamente tale. Rispetto alle operazioni
di polizia internazionale e agli interventi umanitari la nostra Costituzione
non dice nulla e dunque lascia spazio a tutte le controversie». E'
il terreno in qualche misura tabù dell'articolo 11, quello de «L'Italia
ripudia la guerra...». Terreno scivolosissimo, infatti il professore
aggiunge subito di parlare «con tremore di fronte al rischio che
si cambi molto in peggio». E in definitiva riconduce il suo ragionamento
a un invito tutto politico: «Teniamo in vita la prospettiva di una
nouvelle vague costituzionalista nel solco della Carta del '48, anche se
nell'orizzonte attuale non è realistico». Perché al
punto in cui è il dibattito assistiamo piuttosto un fenomeno di
«de-costituzionalizzazione». E proprio la campagna per il referendum
del 25 giugno ne è la prova con posizioni come quella del «No,
ma» che nella sostanza approvano lo spirito se non la lettera delle
riforme varate dal centrodestra.
Posizioni che Mario Tronti - che ha tenuto
l'altra relazione all'assemblea del Crs, avendone anticipato in parte i
contenuti in un'intervista ieri al manifesto - considera espressione di
una «controrivoluzione conservatrice». «Bisogna togliere
a quest'idea della modernizzazione - ha detto Tronti - il carattere apparentemente
innovatore». Anche perché come ha notato Stefano Rodotà
la proposta del fronte del «No, ma» - avanzata dai professori
Augusto Barbera e Stefano Ceccanti - di una convenzione «nei fatti
redigente della nuova Costituzione» non è altro che la conferma
dello svilimento del ruolo del parlamento». Colpa anche o forse soprattutto
del centrosinistra «prigioniero della vulgata modernizzatrice»
tradottasi nelle commissioni bicamerali «strumento di una politica
che si sentiva debole e riusciva solo a imputare tutti i suoi difetti e
le sue debolezze alla Costituzione». Per il dopo referendum Rodotà
immagina limitati interventi di «manutenzione costituzionale»
probabilmente riferiti soprattutto al Titolo V, ma condivide con Zagrebelsky
l'aspirazione alla «ripresa di una politica costituzionale».
Quello che Eligio Resta chiama «ridare spazio alla corrente calda
della politica». E di cui però Gianni Ferrara vede soprattutto
i rischi. E parimenti Umberto Allegretti insiste per distinguere nettamente
lo spazio per la riflessione costituzionale dalla traduzione di tutto questo
in interventi diretti sul testo.
Ferrara risponde direttamente a Zagrebelsky
quando nota che «l'articolo 11 può essere bene interpretato
anche alla luce dell'egemonia mondiale degli Stati uniti». E ancora
che con Kelsen si deve considerare guerra «qualsiasi intervento armato
di qualunque genere sul territorio di un altro stato». In definitiva
prima che al rinnovamento costituzionale per Ferrara è più
giusto affidarsi alla «prosecuzione logico interpretativa degli enunciati
normativi». Se la nouvelle vague è piena di rischi, l'ermeneutica
offre appigli più sicuri. A maggior ragione in una fase politica
come quella attuale. E a venti giorni dal referendum.
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