Riforme Istituzionali
Rassegna stampa
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Corriere della sera 03-06-2006
 
Referendum - «Testo sbagliato, vincano i no. Difendiamo i principi della Carta»
 
di Franco Bassanini e Leopoldo Elia
 
I due giuristi: contrari al mantenimento di norme ingestibili che assecondano logiche e interessi di parte
 
ça va sans dire, mais ça va encore mieux en le disant”: provocato dall’intervento di Giovanni Sartori, il No di Barbera e Ceccanti sgombra il terreno dai tentativi di dividere il campo dei contrari alla riforma costituzionale. E’ un campo compatto nel respingere un testo che non è solo una riforma sgangherata, un meccanismo farraginoso, un “brutto compitino” (Calderisi-Taradash); ma che può rendere meno governabile il nostro paese, meno efficace la nostra democrazia; e compromettere “valori ed equilibri costituzionali” che la Corte costituzionale ha dichiarato imprescindibili per la nostra forma di governo.
Nel campo del no (e dunque nel Comitato promotore del referendum) si ritrovano inevitabilmente conservatori e innovatori: o, meglio, riformisti moderati e riformisti radicali. E’ giusto così: chi se ne sorprende finge di dimenticare la logica binaria di ogni referendum che richiede una risposta unica e globale. Obietta Panebianco che votando SI si potrebbero salvaguardare le parti buone del testo, mentre le parti cattive potrebbero essere corrette in seguito. Ma, in tal caso, sarebbe molto difficile modificare una riforma ormai consolidata dal voto popolare: di fatto, come rilevato da Barbera e Ceccanti, essa diventerebbe intoccabile e insuscettibile di correttivi.
Che ne sarebbe, allora, anche dei (pochi) elementi positivi? Il superamento del bicameralismo paritario si tradurrebbe in una paralizzante frammentazione di competenze fra Camera e Senato; le correzioni al titolo V (come il ritorno dell’energia e delle grandi infrastrutture alla piena competenza statale) verrebbero annegate in un contesto di forte conflittualità fra Stato e Regioni (dove finisce la competenza statale in materia di tutela della salute e quella, altrettanto esclusiva, delle regioni in materia sanitaria?) e di paralizzante scontro fra spinte neocentraliste (se l’interesse nazionale fosse usato come una clava) e pulsioni separatiste (le competenze esclusive delle regioni in materia di polizia locale, agricoltura, commercio, turismo e gran parte dell’industria: un punto da troppi ignorato). Né Panebianco è riuscito a superare le fondamentali obiezioni di Sartori (e di quasi tutti i costituzionalisti italiani) contro la inedita forma di governo delineata dalla legge di riforma, che stravolge proprio quegli “equilibri fondamentali della forma di governo” ricordati sia dalla Corte costituzionale che da Giorgio Napolitano nel suo messaggio alle Camere. Si può rafforzare la coesione delle maggioranze e la stabilità dei governi, seguendo modelli consolidati (il premierato britannico, il cancellierato tedesco): ma non si possono mescolare elementi della forma presidenziale e di quella parlamentare, togliendo nel contempo i contrappesi che rendono democratiche (e flessibili) le une e le altre.
La priorità assoluta è dunque la vittoria del No. In caso contrario, prevarrebbe la conservazione: la conservazione di una riforma sbagliata e ingestibile.
La vittoria del NO non sbarra la strada a riforme diverse da quella bocciata dal referendum. Ne è prova il fatto che i partiti dell’Unione, copromotori del referendum, hanno tutti sottoscritto un programma che, accanto a una forte e motivata scelta per il No nel referendum, contiene un significativo elenco di riforme istituzionali utili, impegnandosi a proporle alla opposizione in un confronto aperto. Il NO per “salvare la Costituzione” è dunque un impegno a difendere i principi e i valori fondamentali della Costituzione repubblicana da una riforma che può comprometterli; ma anche un impegno per riforme istituzionali che possono agevolare la realizzazione di quei principi e quei valori, la concreta attuazione dei diritti e delle libertà, della dignità di ogni persona affermati nella Costituzione.
“Un risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948 non può essere scambiato per puro conservatorismo”: ha detto Giorgio Napolitano. La summa divisio non passa tra conservatori e riformisti, ma tra chi propugna riforme coerenti con principi e valori che restano del tutto validi e attuali (anche perché comuni a tutte le moderne democrazie liberali), e riforme che invece li contraddicono e ne renderebbero più ardua la realizzazione. E tra chi propugna riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza; e chi pensa invece che si debba innanzitutto ristabilire il principio della supremazia e della stabilità della Costituzione: che va ammodernata sì, ma sulla base di una vera condivisione tra maggioranza e opposizione. Nessun paese può progredire senza coraggiose riforme. Ma nessun Paese può progredire se ogni nuova maggioranza rifà la Costituzione secondo logiche (e interessi) di parte; se i diritti, le libertà e le regole democratiche sono alla mercè del vincitore delle elezioni.


Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2006
 
Speciale "Referendum costituzionale" 2006
 
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