Referendum - «Testo sbagliato,
vincano i no. Difendiamo i principi della Carta»
di Franco Bassanini e Leopoldo Elia
I due giuristi: contrari al mantenimento
di norme ingestibili che assecondano logiche e interessi di parte
“ça va sans dire, mais ça
va encore mieux en le disant”: provocato dall’intervento di Giovanni
Sartori, il No di Barbera e Ceccanti sgombra il terreno dai tentativi di
dividere il campo dei contrari alla riforma costituzionale. E’ un campo
compatto nel respingere un testo che non è solo una riforma sgangherata,
un meccanismo farraginoso, un “brutto compitino” (Calderisi-Taradash);
ma che può rendere meno governabile il nostro paese, meno efficace
la nostra democrazia; e compromettere “valori ed equilibri costituzionali”
che la Corte costituzionale ha dichiarato imprescindibili per la nostra
forma di governo.
Nel campo del no (e dunque nel Comitato
promotore del referendum) si ritrovano inevitabilmente conservatori e innovatori:
o, meglio, riformisti moderati e riformisti radicali. E’ giusto così:
chi se ne sorprende finge di dimenticare la logica binaria di ogni referendum
che richiede una risposta unica e globale. Obietta Panebianco che votando
SI si potrebbero salvaguardare le parti buone del testo, mentre le parti
cattive potrebbero essere corrette in seguito. Ma, in tal caso, sarebbe
molto difficile modificare una riforma ormai consolidata dal voto popolare:
di fatto, come rilevato da Barbera e Ceccanti, essa diventerebbe intoccabile
e insuscettibile di correttivi.
Che ne sarebbe, allora, anche dei (pochi)
elementi positivi? Il superamento del bicameralismo paritario si tradurrebbe
in una paralizzante frammentazione di competenze fra Camera e Senato; le
correzioni al titolo V (come il ritorno dell’energia e delle grandi infrastrutture
alla piena competenza statale) verrebbero annegate in un contesto di forte
conflittualità fra Stato e Regioni (dove finisce la competenza statale
in materia di tutela della salute e quella, altrettanto esclusiva, delle
regioni in materia sanitaria?) e di paralizzante scontro fra spinte neocentraliste
(se l’interesse nazionale fosse usato come una clava) e pulsioni separatiste
(le competenze esclusive delle regioni in materia di polizia locale, agricoltura,
commercio, turismo e gran parte dell’industria: un punto da troppi ignorato).
Né Panebianco è riuscito a superare le fondamentali obiezioni
di Sartori (e di quasi tutti i costituzionalisti italiani) contro la inedita
forma di governo delineata dalla legge di riforma, che stravolge proprio
quegli “equilibri fondamentali della forma di governo” ricordati sia dalla
Corte costituzionale che da Giorgio Napolitano nel suo messaggio alle Camere.
Si può rafforzare la coesione delle maggioranze e la stabilità
dei governi, seguendo modelli consolidati (il premierato britannico, il
cancellierato tedesco): ma non si possono mescolare elementi della forma
presidenziale e di quella parlamentare, togliendo nel contempo i contrappesi
che rendono democratiche (e flessibili) le une e le altre.
La priorità assoluta è dunque
la vittoria del No. In caso contrario, prevarrebbe la conservazione: la
conservazione di una riforma sbagliata e ingestibile.
La vittoria del NO non sbarra la strada
a riforme diverse da quella bocciata dal referendum. Ne è prova
il fatto che i partiti dell’Unione, copromotori del referendum, hanno tutti
sottoscritto un programma che, accanto a una forte e motivata scelta per
il No nel referendum, contiene un significativo elenco di riforme istituzionali
utili, impegnandosi a proporle alla opposizione in un confronto aperto.
Il NO per “salvare la Costituzione” è dunque un impegno a difendere
i principi e i valori fondamentali della Costituzione repubblicana da una
riforma che può comprometterli; ma anche un impegno per riforme
istituzionali che possono agevolare la realizzazione di quei principi e
quei valori, la concreta attuazione dei diritti e delle libertà,
della dignità di ogni persona affermati nella Costituzione.
“Un risoluto ancoraggio ai lineamenti
essenziali della Costituzione del 1948 non può essere scambiato
per puro conservatorismo”: ha detto Giorgio Napolitano. La summa divisio
non passa tra conservatori e riformisti, ma tra chi propugna riforme coerenti
con principi e valori che restano del tutto validi e attuali (anche perché
comuni a tutte le moderne democrazie liberali), e riforme che invece li
contraddicono e ne renderebbero più ardua la realizzazione. E tra
chi propugna riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza; e chi
pensa invece che si debba innanzitutto ristabilire il principio della supremazia
e della stabilità della Costituzione: che va ammodernata sì,
ma sulla base di una vera condivisione tra maggioranza e opposizione. Nessun
paese può progredire senza coraggiose riforme. Ma nessun Paese può
progredire se ogni nuova maggioranza rifà la Costituzione secondo
logiche (e interessi) di parte; se i diritti, le libertà e le regole
democratiche sono alla mercè del vincitore delle elezioni.